STORIA DELLA SPAGNA - Considerazioni


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La storia della Spagna, dall'unificazione alla seconda guerra mondiale, è stata la storia di una continua resistenza nei confronti della strumentalizzazione di una cultura prevalentemente contadina da parte di una cultura cattolica integralistica, sempre nettamente favorevole, nelle sue istanze gerarchiche, ai poteri forti del latifondismo e del militarismo.

Questa resistenza, a partire dal secondo dopoguerra, è risultata vincente, ma solo nella misura in cui le forze del socialismo riformista hanno accettato senza riserve la penetrazione del capitalismo straniero nel loro paese, ovvero la subordinazione del primato della cultura cattolica al primato della cultura borghese.

Oggi la Spagna rientra nell'area dei paesi capitalistici avanzati, in quanto detiene il quinto posto nell'Unione Europea.

Julian Grimau de Pujades

La transizione al capitalismo è avvenuta nel corso del dittatura cattolico-franchista, che per poter sopravvivere indisturbata sino alla scomparsa naturale del dittatore, si è affidata interamente alla guida delle potenze occidentali (Usa, Regno Unito e, in parte, la Francia), risultate vincenti nell'ultimo conflitto mondiale, le quali hanno fatto sì che l'anticomunismo viscerale delle forze reazionarie spagnole potesse essere condotto non più soltanto in nome del cattolicesimo ma anche e soprattutto in nome del liberalismo borghese, con una funzione persuasiva rivolta più all'interno che non all'esterno del paese (nel mondo intero il compito veniva svolto dalle stesse suddette potenze). A questa transizione, finita la dittatura, hanno dato il loro appoggio incondizionato i due principali partiti di governo: quello popolare e quello socialista.

Dunque, se il nazifascismo italo-tedesco ha aiutato le forze reazionarie spagnole a far trionfare l'anticomunismo agrario e cattolico contro il tentativo della sinistra di socializzare la terra e la produzione industriale; il liberalismo anglo-americano ha fatto invece in modo che l'anticomunismo allargasse la sua base sociale ai ceti medi e alle classi borghesi.

Se il nazifascismo fosse risultato vincente nel corso della II guerra mondiale, la transizione al capitalismo sarebbe stata realizzata in Spagna dalla stessa Germania e anche dall'Italia, ovviamente in forme e modi diversi, in quanto elementi di influenza politica esplicita si sarebbero fortemente intrecciati con quelli dell'influenza economica.

Va detto tuttavia che l'orgoglio nazionale spagnolo avrebbe sopportato meno un'influenza esterna di tipo politico, per quanto culturalmente più avanzata (si veda la fallimentare esperienza napoleonica), che non un'influenza esterna di tipo semplicemente economico, quale poteva appunto essere quella garantita dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che essendo economicamente molto forti, avevano meno bisogno di avvalersi di strumenti politici diretti per imporsi. Un'influenza di tipo economico è più indiretta e presenta aspetti mistificanti che non possono essere immediatamente compresi con le categorie obsolete all'anticomunismo agrario e cattolico.

Tuttavia la Spagna non ha risolto neppure uno dei suoi problemi con l'aiuto delle sue sole forze interne. Ha semplicemente mutato lo scenario in cui essi si collocano.

La Spagna è un esempio eclatante di quanto sia difficile, complicato, il passaggio da un'economia prevalentemente feudale a una capitalistica in un mondo dove la spartizione dei territori, da parte delle potenze capitalistiche, può essere considerata come conclusa (con la seconda guerra mondiale). L'unico paese che in questo momento sta riuscendo in questa impresa, a prezzo di enormi sacrifici e contando unicamente sulle proprie forze, è la Cina, emulata dall'India, ma queste non sono nazioni da 40 milioni di abitanti con scarse risorse interne su un territorio di mezzo milione di kmq: qui vi si concentrano più di due miliardi di individui, le cui conseguenze internazionali relative all'accettazione del capitalismo riusciamo a percepirle, al momento, solo in riferimento alla competitività delle loro merci e della loro manodopera, nonché all'aumento vertiginoso dei prezzi petroliferi, frutto di una crescente domanda mondiale.

Contrariamente a quanto si possa pensare, l'inizio della decadenza economica della Spagna va fatto risalire proprio al momento della "reconquista", cioè al momento in cui vennero espulsi dal paese, sotto il pretesto dell'unificazione nazionale cattolica, gli ebrei e gli islamici, che in quel momento rappresentavano la punta più avanzata dei commerci e dell'artigianato. Con ciò ovviamente non si vuole sostenere che l'ebraismo o l'islamismo avrebbero potuto da soli portare il paese a una transizione borghese: lo impedivano siano le continue e pesanti interferenze della loro religione sul sociale e sull'economico, che costituivano un ostacolo insormontabile per i credenti cattolici, sia il fatto che l'attività mercantile dell'islam (di molto prevalente nel paese rispetto a quella ebraica) è sempre stata legata a un'ideologia feudale che discriminava chi non la professava e che in sostanza impediva l'unità di mercantilismo e laicismo.

Il caso in un certo senso volle che proprio nel momento in cui la Spagna realizzò l'unità nazionale, venisse scoperta l'America. Cioè proprio nel momento in cui si sarebbe potuto scegliere tra due strade:
1. democratizzare la vita rurale, trasformando l'unità nazionale in una rivoluzione contadina, come si cercherà di fare, per un momento, nella Germania luterana;
2. evolvere verso una rivoluzione borghese, mercantilistica, come già da tempo si stava facendo in alcuni territori italiani, nelle Fiandre, in Svizzera e in parte in Inghilterra: il che avrebbe comportato un inevitabile compromesso con le forze sociali ebraico-islamiche.

L'unità nazionale non rappresentò il volano per incoraggiare la rivoluzione industriale, e non venne fatta, diversamente dagli altri paesi europei, in nome di ideali borghesi. Anzi, il colonialismo oltreoceano non servì che a legittimare un potere basato non sul profitto ma sulla rendita. La Spagna poté restare un paese cattolico-feudale, politicamente assolutista, in un'epoca segnata dalla nascita del capitalismo, proprio perché poté beneficiare di un impero molto vasto, frutto non solo di conquiste coloniali ma anche di un'accorta politica matrimoniale in Europa.

E il paese si trovò a vivere un anacronismo per molti versi assoluto: difendere una cristianità medievale in un continente che stava diventando sempre più protestante, dove l'Italia comunale e signorile, umanistica e rinascimentale, costituiva un modello per tutti e dove però un papato politicamente in crisi pensò di potersi avvalere della forza dell'impero asburgo-ispanico per scatenare la sua grande riforma contro tutta la modernità e per far vivere all'Italia, consegnata agli spagnoli, il periodo più buio della sua storia.

Le forze feudali ispaniche s'illusero di poter risolvere le contraddizioni strutturali del servaggio semplicemente conquistando nuovi territori (il che in realtà spiega tutto il fenomeno europeo delle crociate, che gli altri paesi vissero come politica "estera", mentre la Spagna lo visse come politica "interna", salvo poi impostarlo, una volta scoperta l'America, come politica "estera", mentre gli altri paesi europei ponevano le basi, internamente, per la rivoluzione capitalistica).

La decadenza cominciò a imporsi non tanto o non solo perché s'impedì una transizione al capitalismo, quanto perché non si volle mai compiere una vera riforma agraria, che permettesse rapporti democratici nella società rurale. S'impedirono cioè nello stesso tempo sia la riforma agraria che la rivoluzione industriale, nell'illusione di poter vivere di rendita a tempi indefiniti, in virtù della dominazione coloniale.

La paura di perdere il proprio immenso impero ha sempre indotto la Spagna a usare metodi di terrore, che comunque non sono neppure paragonabili a quelli che i paesi capitalistici, tecnologicamente molto più avanzati, hanno impiegato per tutto il Novecento.

Senza l'aiuto dei capitali stranieri, finita la II guerra mondiale, la Spagna sarebbe diventata al massimo un terreno di conquista coloniale da parte delle potenze occidentali capitalistiche. Tale conquista -come già detto- è esistita ugualmente, ma in modo da salvaguardare una formale autonomia di governo al paese, la cui funzione di baluardo dell'anticomunismo europeo non poteva essere messa in crisi da un suo esplicito e diretto assoggettamento politico.

Alla Spagna, in quest'ultimo mezzo secolo, sono stati dati aiuti economici colossali, proprio perché potesse illudersi di continuare a svolgere autonomamente il suo ruolo di roccaforte anticomunista, ruolo che, se vogliamo, gli Stati Uniti e il Regno Unito attribuivano più che altro alla sua posizione geografica strategica, sia per il controllo del Mediterraneo occidentale, che per la barriera naturale dei Pirenei, un ruolo che si teneva in grande considerazione quando i paesi del "blocco socialista" sembrava dovessero dilagare in Europa occidentale, ma che dalla fine degli anni Ottanta è del tutto venuto meno. Oggi la Spagna è semmai un baluardo contro l'immigrazione proveniente dall'Africa.

Questo paese ha sempre voluto ostentare fierezza indomita, coraggio smisurato, fino allo sprezzo per la morte, coltivando idee militariste quasi come una forma di ossessione, e non è mai riuscito, con la stessa risolutezza, a realizzare alcuna democrazia sociale, non ha mai saputo lottare sino in fondo contro le proprie contraddizioni antagonistiche: servaggio, latifondismo, clericalismo, rendite parassitarie, assolutismo monarchico, centralismo politico, liberalismo economico, capitalismo...

Eppure se c'è una cosa che a livello europeo si situa lungo la linea che va dal socialismo utopistico anglo-francese, passando attraverso la Comune di Parigi, la rivoluzione d'Ottobre, il Biennio Rosso italiano e la Repubblica tedesca di Weimar, è proprio la Guerra Civile spagnola, che è stato l'ultimo tentativo di realizzare una democrazia sociale avente come obiettivo gli interessi delle masse popolari. Una guerra condotta dalla reazione cattolico-feudale in nome dell'anticomunismo più barbaro, quando in Spagna la presenza del partito comunista era del tutto insignificante, rispetto agli altri partiti politici e ad altre organizzazioni sindacali.

Proprio questo paese ha avuto, a più riprese, tutte le condizioni per diventare un unicum nella storia dell'Europa. Poteva diventare una nazione multietnica, interconfessionale, plurilingue, federalista, autonomista, regionalista..., ma sul piano politico ha fatto sempre il contrario di ciò che le condizioni storiche e naturali suggerivano. Tutte le opportunità sono state sprecate sull'altare del pregiudizio culturale, dell'arroganza di alcuni ceti e classi sociali.

La Spagna feudale ha sempre avuto un sentimento nazionale contrario a qualunque forma di modernità e quando, nell'America degli indios, ebbe la migliore possibilità di riconoscere l'anti-moderno, anzi il pre-moderno per eccellenza, ha preferito imporre il più spaventoso genocidio della storia.

Non ha saputo restare feudale e non ha saputo lottare sino in fondo contro il proprio feudalesimo. Non ha mai valorizzato il mondo rurale pur avendo una popolazione prevalentemente contadina. Non ha mai saputo valorizzare le etnie locali pur avendo queste dato tantissimo all'unificazione nazionale e pur provenendo da queste realtà storiche, le cui origini sono antichissime, un patrimonio culturale per l'intera umanità.

Ha sempre voluto imporre uno Stato centralista pur avendo per motivi storici una vocazione regionalista e federalista; uno Stato confessionale o il principio della religione maggioritaria, pur avendo fatto convivere per secoli le tre grandi religioni monoteiste della storia.

La Spagna è il paese delle contraddizioni irrisolte: ha inventato l'Inquisizione e, nello stesso tempo, il cristianesimo per il socialismo; ha avuto quarant'anni di dittatura pur essendo il paese più anarchico del mondo, caratterizzato da fortissimi regionalismi e, nel contempo, da un militarismo forsennato.

Ha inventato un fascismo tanto feroce quanto duttile, privo di carisma individuale, in grado di sopravvivere indisturbato ai ben più titolati, equipaggiati, indottrinati fascismi d'Europa: è stato addirittura capace di farsi accettare da tutte le democrazie del mondo.

Ha usato la politica nella maniera più corrotta possibile, pur non conoscendo la corruzione che altri Stati, di natura borghese, vivevano e ancora oggi vivono sul terreno socioeconomico.

E' riuscito a dimostrare d'essere un paese democratico pur avendo strutturato le Cortes come un contenitore privo di contenuto.

Ha sempre predicato valori aristocratici, come p.es. la purezza di sangue e di stirpe, pur essendo un paese dove il melting pot delle etnie raggiunse livelli ineguagliati nel resto d'Europa.

Oggi la Spagna deve il suo successo economico a una serie di fattori contingenti e dipendenti più che altro da fattori esterni. I miglioramenti più significativi si sono verificati a partire dal momento in cui ha fatto il suo ingresso nell'Unione Europea.

In particolare i fondi strutturali, unitamente a una favorevole politica fiscale, hanno favorito gli investimenti, soprattutto di società straniere, e contenuto in parte l'emorragia causata dal progressivo abbandono dell'agricoltura, che oggi coinvolge solo il 7% della popolazione, con un'incidenza sul Pil del 3%, a fronte d'una crescente terziarizzazione (64-68%, che fa lievitare il già enorme debito delle amministrazioni statali) e di una stabile industrializzazione (28-29%, di cui l'edilizia incide sul Pil per più del 7%).

L'edilizia è diventato un settore così esplosivo (occupa già più del 10% dei lavoratori) che il ministro dell'economia Solbes ha parlato di un'economia "drogata" dal motore delle costruzioni edili, nonché dal consumo interno, che indebita eccessivamente le famiglie, le quali infatti investono sì fortemente sul mattone, ma tendono anche a vivere al di sopra delle loro risorse, nell'illusione che la crescita economica sia indefinita.

In effetti, dopo la recessione iniziata alla fine degli anni '70, a causa dell'aumento dei prezzi petroliferi (il paese è importatore netto di petrolio), il Pil dal 1996 ad oggi è in costante crescita, al di sopra della media europea, cosa che permette al paese di contribuire al totale del Pil comunitario con un 7,6%, ponendosi al quinto posto, dopo Germania (21,8%), Regno Unito, Francia e Italia (13,3%).

Il motivo di questa crescita è dipeso dai prezzi relativamente bassi (per quanto l'inflazione si attesti da tempo sul 3-4%, superiore alla media europea) e dai salari bassi, che risultano indicizzati al costo della vita solo nei settori di punta (quelli siderurgico e minerario delle Asturie e dei Paesi Bassi: un'area molto forte anche sul piano finanziario coi due istituti bancari più importanti del paese: di Bilbao e di Santander, che sono notoriamente molto esposti con le economia sudamericane e che certamente devono aver sentito i contraccolpi del tonfo argentino del 2001).

I salari restano bassi perché notevole è la disoccupazione: 10-11%, di cui quella giovanile attestata al 22-23% (l'indice femminile è doppio di quello maschile). Questo senza considerare che i tassi di occupazione vengono spesso mascherati dall'elevata percentuale dei contratti temporanei.

Il vero settore trainante dell'economia spagnola è quello turistico, le cui entrate sono cinque volte superiori alle spese. La Spagna è la prima destinazione europea per numero di arrivi di turisti dall'estero. Praticamente sono queste entrate che permettono di equilibrare la bilancia commerciale, che da un quinquennio pende sul piatto delle importazioni (il deficit commerciale è raddoppiato dal 1992 ad oggi).

D'altra parte la moneta unica non permette politiche di svalutazione per favorire l'export, per cui la Spagna dovrà smetterla di considerarsi un'economia assistita e si dovrà confrontare con una vera competitività in termini di costi, qualità dei prodotti e di professionalità della forza-lavoro, anche perché dovrà prima o poi pensare di entrare nei più dinamici mercati asiatici e nordamericani, senza limitarsi unicamente a quello semi-statico dell'Europa.

E qui i problemi si fanno seri, sia perché il paese sconta notevoli ritardi tecnologici, compensati dalle forniture dei paesi capitalistici avanzati (tra cui un ruolo primario viene giocato dall'Italia), sia perché con l'ingresso dei nuovi paesi poveri nella UE, la Spagna non potrà più beneficiare dei fondi strutturali come prima. Non a caso tutti i governi iberici sono sempre stati favorevoli più a un rafforzamento che non a un allargamento dell'Unione.

Non solo, ma le imprese straniere presenti nel paese, dopo il crollo del "socialismo reale" e coi progressi economici di due colossi come Cina e India, si stanno progressivamente delocalizzando, sfruttando le opportunità di una manodopera a basso costo e di una fiscalità irrisoria.

Il futuro per la Spagna non è roseo, anche perché in questo momento non è più in grado di tornare all'agricoltura, abbandonata a se stessa dalla fine del dopoguerra. Certo, il paese resta tra i primi al mondo nella produzione del vino e restano ben salde le sue tradizioni nel campo degli allevamenti di ovini e caprini, ma è anche vero che il 35% del suolo è diventato povero e improduttivo, mentre il 45% è moderatamente fertile e l'erosione colpisce attualmente il 43% dell'intera superficie, in particolare la regione della Meseta, quella su cui da secoli si sono giocati i destini di una riforma agraria mai realizzata.

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Si può considerare la Spagna una sorta di "Stato-Nazione" da due punti di vista: quello prevalente è in relazione al fatto che la Castiglia ha voluto imporre se stessa su tutte le altre regioni, quello minoritario è in relazione al fatto che proprio in Spagna è sempre stata molto forte l'idea di un nazionalismo senza Stato, di cui si sono fatte carico soprattutto le regioni che più hanno voluto difendere la propria autonomia, la propria specificità dalla Castiglia e da altre regioni dominanti.

I movimenti nazionalistici catalano, basco o gallego, tanto per fare un esempio, si sentivano e in parte ancora oggi si sentono alternativi a quello spagnolo imposto dalla Castiglia e tendono persino a escludersi a vicenda, pur accettando l'idea di una nazione che riconosca le peculiarità locali-regionali.

Purtroppo la rivendicazione di una diversità del genere è sempre stata vista (anche dagli storici, di ieri e di oggi) come un limite all'idea di spagnolizzazione e non come una sua particolare ricchezza.

Una forte coscienza dell'identità spagnola sarebbe potuta maturare in una compagine statale in cui le realtà locali-regionali avessero avuto più peso dei poteri centrali. Lo Stato cioè avrebbe dovuto configurarsi come un ente coordinatore delle diverse realtà ed esigenze locali, in cui queste si sentissero equamente tutelate e rappresentate; un ente la cui funzione di raccordo e di indirizzo generale maturasse dal previo consenso di tutte le suddette realtà.

La Spagna avrebbe dovuto creare un parlamento delle sole regioni e autonomie locali, espressione di un concetto di "nazione" molto diverso non solo da quello che s'è venuto maturando al proprio interno, ma anche da quello che s'è imposto negli altri paesi europei, in cui la "nazione" è stata soffocata dal concetto di "Stato", espressione, quest'ultimo, della volontà di parte di una determinata classe sociale: la borghesia, alleata a vario titolo con le classi che storicamente l'hanno preceduta: agrari e clero.

La Spagna avrebbe potuto creare uno Stato-Nazione in cui il concetto di "Stato nazionale" avrebbe anche potuto non esistere, in quanto le leggi e l'amministrazione avrebbero potuto essere gestiti anzitutto a livello locale-regionale, e secondariamente come frutto di un'intesa multilaterale tra tutte le realtà territoriali.

Avrebbe potuto dimostrare la fattibilità di questa realtà inedita già al tempo della forte presenza araba ed ebraica. Avrebbe cioè potuto sviluppare le regioni più povere senza dover realizzare uno Stato centralista, semplicemente proponendo soluzioni reciprocamente vantaggiose, rinunciando all'idea di voler imporre una determinata ideologia su altre.

Avrebbe potuto fronteggiare il nemico esterno proprio valorizzando le realtà locali-regionali, mostrando ch'era nell'interesse di tutti che la difesa del territorio fosse frutto di una difesa comune.

Proprio in virtù della sua particolare situazione sociale, caratterizzata da una multiforme presenza di etnie, lingue, religioni, la Spagna avrebbe potuto realizzare una delle democrazie più avanzate del mondo.

Ancora oggi purtroppo è di ostacolo alla realizzazione di questo processo il fatto che si guardi l'autonomismo locale come un impedimento al rafforzamento e alla modernizzazione del paese.

Dobbiamo denunciare anche l'atteggiamento di quegli storici che guardano la Spagna con i parametri dell'interpretazione borghese, mettendo in relazione i limiti di un paese che per molto tempo è rimasto feudale coi vantaggi delle nazioni capitalistiche, quei "vantaggi" che in definitiva furono solo per poche categorie di persone, i cui valori democratici si riassumevano semplicemente nel salvaguardare il parlamentarismo e le libertà formali propagandate dalla cultura borghese.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015