STORIA DELLA SPAGNA - Il regno di Granada


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L'ultimo Stato musulmano dell'Europa occidentale, costituito intorno alla sua capitale, Granada, misurava circa 30.000 kmq (grande come l'odierna Armenia o il Guatemala) e corrispondeva grosso modo alle tre attuali province di Malaga, Granada e Almeria.

La dinastia che lo governò fino al 1492 fu quella Nasride, il cui fondatore, Yusuf ibn Nasr, riuscì a rendersi autonomo dal califfato degli Almohadi, originario del Maghreb.

Quando Ferdinando III (1217-52), re di Castiglia, fu in procinto di conquistare l'ultimo baluardo islamico, Yusuf propose di pagargli un ingente tributo annuale, come fosse un suo vassallo, e Ferdinando, accettando, assicurò la pace per altri 20 anni.

Moschea di Cordova

Quella di Yusuf non fu ovviamente una manifestazione di lealtà dettata da motivi ideali. E' vero che quando si trattò di prendere Siviglia nel 1248 Yusuf aiutò Ferdinando, rinnovando altresì il giuramento di vassallaggio anche nei confronti di Alfonso X il Saggio (1252-84), successore di Ferdinando, ma è pur vero che ciò non impedì a Yusuf di allacciare stretti legami coi sovrani che detenevano il potere nel mondo musulmano. P.es. nel 1239 si proclamò vassallo anche del sovrano Almohade di Marrakech e contemporaneamente nei confronti del principe Hafside di Tunisi.

Yusuf in sostanza era abilissimo nel costruire reti di alleanze e protezioni e, nella fattispecie, non faceva che sfruttare le divisioni interne al mondo cristiano spagnolo. D'altra parte il suo regno, essendo multietnico, plurilingue e interconfessionale, costituiva una vera scuola di diplomazia politica e di tolleranza socioculturale.

La popolazione era tanto più numerosa quanto più i sovrani cattolici sbaragliavano le forze islamiche nelle altre regioni iberiche. Il regno di Granada non ha mai chiuso le frontiere ai profughi economici e politici, anche perché aveva continuamente bisogno di manovalanza da impiegare nell'esercito: tutte le città del regno erano cinte di possenti muraglie.

Inoltre i musulmani ivi residenti, gli arabi-siriani e yemeniti, i berberi, i cristiani mozarabi, gli ebrei... erano molto industriosi. Le zone montagnose p.es. erano famose per la sapiente arboricoltura che vi si praticava. I granadini erano grandi esperti di idraulica, di irrigazioni, di terrazzamenti. I raccolti di cereali, di canna da zucchero, di frutta... erano ottimi ed esportati in tutta Europa.

Il gelso, presente ovunque, permetteva una fiorente industria della seta, principale prodotto per i costosi mercati d'Italia e di Fiandre.

Risorse di tutto rilievo erano gli allevamenti di bovini, ovini e l'apicoltura. Non a caso il regno attirava molti mercanti catalani, valenciani, veneziani, ebrei, toscani e soprattutto genovesi, che fruivano di un regime di favore e che nel XV secolo ottennero il monopolio commerciale della frutta.

Da notare che gli arabi avevano anche il monopolio della fabbricazione e del commercio della carta, in quanto grandi estimatori della cultura scritta.

Ciò che non funzionava nel regno (ma questo era un problema di tutti i territori islamici in Spagna e persino di tutti i territori iberici sotto l'insegna cristiana) era la rivalità interna, soprattutto tra le famiglie aristocratiche, dinastiche, nonché tra queste famiglie, nel loro complesso, e la corona, che cercava in qualche modo di controllarle. Erano i conflitti tipici di un'organizzazione feudale divisa in classi, in cui i ceti proprietari volevano fruire di privilegi assoluti. L'unità politica, temporanea, era determinata dall'esigenza di combattere nemici comuni e sempre in relazione a un interesse da tutelare.

Yussuf ebbe a che fare con famiglie che si alleavano persino coi sovrani castigliani, pur di non veder compromessa la loro autonomia nei rapporti col governo centrale. In tutto il mondo arabo hanno sempre prevalso tipologie di Stato in cui le componenti claniche o tribali costituivano l'aspetto saliente, assolutamente irrinunciabile.

La tendenza a tutelare privilegi acquisiti, se non addirittura ad aumentarli, la si ritrova anche nei rapporti tra i grandi signori feudali di Castiglia e di Aragona, rivali nei loro rispettivi territori e nel rapporto tra le due regioni cattoliche.

Vi sono stati dei momenti in cui alcuni signori feudali castigliani si rifugiarono proprio a Granada per sfuggire al controllo dei loro sovrani. Ma lo fecero anche molti ebrei perseguitati e persino alcuni francescani in odore di eresia. Furono ospitati in tutta tranquillità, perché nel mondo islamico cristiani ed ebrei, pagando uno specifico tributo, venivano tollerati, benché fosse loro interdetta ogni forma di proselitismo.

Tutta la storia dei rapporti politici tra cattolici e islamici, nella Spagna feudale, può essere letta come lo scontro di due civiltà medievali, in cui l'elemento dell'autonomia locale vuole circoscrivere in limiti sempre più ristretti la tendenza centralizzatrice della corona. Sotto questo aspetto le civiltà che si confrontano sono equivalenti. E la vittoria finale sarà appannaggio dei cristiani solo perché in un lasso di tempo sufficientemente ampio il governo centrale riuscì ad avere la meglio sulle tendenze autonomistiche dei propri vassalli.

La guerra d'assedio contro Granada, durata 11 anni, fu vinta dai cristiani non tanto per la superiorità dell'artiglieria, quanto perché i dissidi interni al regno islamico e la mancata soluzione delle contraddizioni feudali non permettevano più alcuna valida difesa.

Se guardiamo il livello di produttività economica del regno di Granada (ma anche degli altri territori islamici che i cristiani avevano già conquistato), dobbiamo dire ch'esso era di molto superiore a quello dei regni cattolici. Pur non avendo mai posto le basi di uno sviluppo sociale in senso capitalistico, la civiltà islamica in Spagna fu sicuramente molto più mercantile di quella ispanica.

Le maggiori ricchezze di questi territori hanno sempre costituito per le forze cattoliche di governo, incapaci anch'esse di risolvere i conflitti causati al loro interno dai rapporti feudali, un oggetto di possibile conquista, nell'illusione di poter risolvere proprio quei conflitti (p.es. si concedevano parte delle terre conquistate ai contadini che avevano collaborato come militari, ma poi i rapporti feudali riportavano gli stessi contadini alla miseria).

Detto altrimenti, l'unificazione nazionale spagnola non avviene come quella italiana di 300 anni dopo, in cui le forze borghesi avevano necessità di costituire un unico mercato nazionale, ma, al contrario, avviene in nome di interessi feudali coi quali eliminare dal paese ogni traccia di cultura borghese, che pur si esprimeva entro i ristretti limiti di due religioni conservatrici: quella islamica e quella ebraica.

La cultura spagnola dei poteri dominanti non si integra mai con le culture "altre", soprattutto se queste culture rappresentano una forma di diversità dai rapporti feudali tradizionali, quale appunto era lo sviluppo dei commerci (che nella Spagna cattolico-feudale erano presenti solo nelle coste catalane). Nel solo anno 1510 furono bruciati almeno 80.000 libri di inestimabile valore solo perché erano scritti in arabo. La stessa cosa stavano facendo i coloni spagnoli nelle terre americane, coi documenti delle civiltà andine.

Si è in questo senso perduta una grande occasione di incontro e di scambio culturale, che avrebbe potuto essere proficua per tutte le civiltà iberiche.

Pensiamo soprattutto al fatto che a Cordova si formò il cosiddetto "momento andaluso" della filosofia araba, rappresentato dai due grandi pensatori, Averroè (1126-1198) e Maimonide (1135-1204), quest'ultimo autore ebraico della famosa Guida dei perplessi. Prima di loro c'era stato Avicenna (980-1037), altro grande filosofo arabo. Costoro posero le condizioni per la diffusione in Occidente del sapere aristotelico, pressoché dimenticato nel Medioevo latino.

Si può anzi dire che proprio in virtù dei loro commenti e delle loro traduzioni, la riscoperta dell'aristotelismo, nelle università europee, porterà al rinnovamento in senso umanistico della teologia cattolico-romana, che si trasformerà da agostiniana a tomista, e che segnerà un punto di non ritorno verso la trasformazione progressiva della teologia in filosofia.

Forse non tutti sanno che fino al Seicento avere un precettore arabo era cosa scontata per i figli delle famiglie più abbienti (come nel mondo latino classico averne uno di cultura greca). Papa Silvestro (999-1003) studiò da giovane presso diversi maestri arabi a Toledo. E persino il Cid Campeador, eroe anti-islamico, dovette la sua educazione a un maestro arabo di Granada.

Purtroppo - a testimonianza di quanti strappi vadano ricuciti - ancora oggi è raro trovare dei manuali di letteratura italiana che evidenzino il contributo decisivo della poetica araba andalusa su quella trobadorica romanza. Proprio i poeti andalusi idearono la poesia strofica, dove spesso dominava il tema esistenziale della "nostalgia".

E che dire dei componimenti descrittivi di palazzi e giardini? Qui si raggiunse un vertice ineguagliato nella letteratura occidentale. Gli edifici vengono descritti con metafore riprese dal mondo vegetale, che armonizzano l'opera umana con la forma paradisiaca per eccellenza, quella appunto del giardino.

A Granada addirittura le stesse fontane, le arcate, le alcove vennero materialmente impreziosite da versi poetici, scolpiti in uno stile calligrafico a motivi floreali, che parlano di ciò che decorano: infatti tutto è bello da vedere e da leggere insieme, in un rimando costante al piacere dell'occhio e a quello della poesia, che trasforma con la scrittura la parola in un fiore e il palazzo in un giardino.


Bibliografia


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015