STORIA DELLA SPAGNA - La guerra carlista


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Ferdinando VII di Borbone (1784-1833), dopo aver sposato Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie (1806-78), non avendo ottenuto un erede maschio, aveva designato come legittimo successore il fratello Don Carlos Isidro (1788-1855). Ma nel 1830 dal matrimonio era nata una figlia, Isabella (1830-1904), e il padre, con atto unilaterale senza precedenti, nello stesso anno abrogò la legge salica (1), annullando così la designazione di Don Carlos e proclamando la figlia legittima erede, che in quel momento aveva tre anni, per cui la reggenza sarebbe spettata alla madre Maria Cristina.

Ma Don Carlos rifiutò di riconoscere il testamento e organizzò un colpo di stato. Cominciò così una guerra intestina chiamata "le tre guerre carliste": 1833-1839; 1847-1860; 1872-1876, che contribuirono notevolmente al fallimento di cinque rivoluzioni borghesi.

Don Carlos, Alonso Sanchez Coello, 1564

Le questioni dinastiche finiscono coll'intrecciarsi in maniera complessa con le questioni economiche, relative alla lunghissima transizione spagnola dal feudalesimo al capitalismo, iniziata praticamente nel 1808, quando dietro l'influsso napoleonico si vide la nascita di una Costituzione rimasta peraltro inattuata, e conclusa nel 1978, con una Costituzione che riuscì a mettere insieme la vecchia tradizione monarchica e la nuova ideologia liberale.

Le linee di frattura che accompagnano le vicende socio-economiche e politico-istituzionali della Spagna riguardano la struttura regionale o accentrata dello Stato, la configurazione mono- o bicamerale del parlamento, la forma di governo parlamentare o di emanazione regia, la forma di Stato monarchica o repubblica e soprattutto, sul piano economico, la realizzazione di un blocco storico tra capitalisti e agrari o il definitivo superamento dei vecchi retaggi feudali.

Inizialmente il governo di Maria Cristina difendeva le posizioni dei liberali, dei massoni, dei cattolici costituzionalisti e delle frange più borghesi della società spagnola (specie quelle più sviluppate della Catalogna), che speravano di strappare alla corona concessioni politiche grazie all'appoggio dato a Isabella. Questi gruppi, maggiormente interessati a uno sviluppo della Spagna in senso capitalistico, sotto Ferdinando VII si erano trovati alquanto frustrati dopo la fase liberale inaugurata dalla Costituzione del 1812 e rimasta in vigore solo due anni, poi tornata in auge dal 1820 al 1823, finché venne affossata dalle potenze reazionarie della Santa Alleanza.

Intorno a Don Carlos invece si unirono i monarchici legittimisti, i cattolici tradizionalisti e soprattutto i reazionari antiliberali, i grandi proprietari terrieri delle regioni più arretrate: Aragona, Navarra, Biscaglia, Vecchia Castiglia, Leon, che, grazie alle alte gerarchie cattoliche, riuscirono a convincere notevoli masse contadine (anche basche e catalane) a chiedere il ripristino dell'Inquisizione e a lottare per la conservazione dei vecchi rapporti feudali, nonché a difendere l'autonomia delle province contro la politica centralista del governo.

Nel carlismo coesistevano infatti due diverse ideologie: una, che alla fine risultò prevalente, ridotta al classico "Dio, patria e famiglia" (questa corrente, più reazionaria, amò soprattutto Filippo II), l'altra faceva leva sulle possibilità autonome della cultura tradizionale e sul principio di autodeterminazione delle realtà regionali.

I reparti carlisti agivano prevalentemente nelle località montuose della parte settentrionale del paese, adottando la tattica della guerriglia, che sulle prime risultò vincente.

Per allargare il consenso tra gli strati della borghesia, il governo abolì i privilegi feudali delle corporazioni e i fueros (2), emanando nel 1834 una nuova Costituzione, che voleva giustificare il regime assolutistico con alcune riforme liberali, che però lasciarono insoddisfatta la grande borghesia. Come spesso succedeva in Spagna, ogniqualvolta si cercava di mettere in atto, dall'alto, delle riforme antifeudali, si finiva con l'essere incapaci di vera consequenzialità.

Nello stesso anno scoppiò un violento movimento anticlericale, con distruzione di molti monasteri. E l'anno successivo cominciarono a costituirsi nel paese delle giunte rivoluzionarie (organi locali del potere), che chiedevano il ripristino della Costituzione di Cadice del 1812, dove per la prima volta era apparso il termine "liberale".

Nel 1835 il governo borghese del banchiere Mendizàbal, per sedare le tendenze progressiste, emanò una serie di provvedimenti che da tempo ci si attendeva: abolizione del maggiorascato e di altri privilegi feudali; scioglimento degli ordini monastici, chiusura dei monasteri e confisca delle loro terre, da vendersi liberamente, il cui ricavato sarebbe dovuto servire anche per coprire i buchi del bilancio statale.

Ma l'anno dopo Maria Cristina, con la sua politica sempre oscillante tra il partito progressista e quello conservatore, si pentì d'aver concesso così ampi poteri al governo borghese, per cui licenziò il primo ministro e sciolse le Cortes.

Tuttavia, sotto la pressione delle rivolte catalane, la sovrana fu costretta ad approvare una nuova Costituzione, che diminuiva sensibilmente il censo elettorale, anche se la corona continuava a conservare il diritto di veto assoluto e di scioglimento delle Cortes.

Per tutta risposta Don Carlos, nel 1837, puntò col suo esercito su Madrid, intenzionato a conquistarla. Le forze liberali, comandate dal generale Espartero, ebbero la meglio e due anni dopo il comando dei ribelli carlisti concluse col governo di Maria Cristina un accordo che prevedeva l'amnistia politica, il riconoscimento delle autonomie locali e il mantenimento dei fueros.

I reparti carlisti si sciolsero, confluendo nei gruppi dirigenti dei nascenti movimenti autonomisti di Catalogna, Galizia e Biscaglia, mentre Don Carlos fuggì in Francia.

I liberali tuttavia non condivisero la necessità di distinguere la causa del carlismo da quella dei regionalisti, facendo ampie concessioni a questi ultimi. Essi anzi stabilirono di dividere la Spagna in 49 province secondo il modello centralista francese.

Subito divampò, incontenibile, la rivolta della Catalogna che costrinse la reggente Maria Cristina al ritiro dalla scena politica. Il generale Espartero, eletto reggente dal parlamento, assunse i pieni poteri per tre anni, riconfermando la vendita delle terre ecclesiastiche, il che gli attirò le ire di papa Gregorio XVI. Fece inoltre l'errore nel 1842 di bombardare Barcellona, che aveva chiesto maggiore autonomia.

Dalla vendita di queste terre i contadini più poveri non trassero alcun beneficio, perché impossibilitati ad acquistarle. Anzi, abolendo le forme di proprietà comune della terra, i diritti di raccolta della legna e i pascoli comuni (istituti che risalivano al Medioevo), il partito liberale non aveva fatto che peggiorare le condizioni dei contadini, i quali, per potersi difendere, non vedevano altra soluzione che appoggiarsi alle forze più conservatrici.

Il liberalismo, che non riuscì a promuovere alcuna vera riforma sociale ed economica, non fece altro che permettere la nascita di una nuova borghesia terriera, che non seppe affatto dimostrarsi produttiva, volta a cambiare i metodi di conduzione dell'agricoltura, ma si comportò come le vecchie classi feudali, basandosi sulla proprietà assenteista, quella che garantiva una rendita. Tale borghesia rurale infatti viveva in città e riceveva in maniera parassitaria i redditi di una terra povera.

Del resto i liberali isabelinos si basavano politicamente sul modello centralistico-castigliano tradizionale, così come l'esercito fu il loro punto di forza per mantenere il paese unito.

La regina Isabella II, sebbene avesse 13 anni, fu dichiarata maggiorenne (1843) da un colpo di stato del generale Narvaez, che abolì la reggenza, dichiarò lo stato di guerra, disarmò la Guardia Nazionale (sostituendola con la Gendarmeria), annullò il diritto di riunione, sottopose la stampa a censura e soprattutto sospese la vendita delle terre ecclesiastiche. La Costituzione del 1844 aveva un carattere del tutto reazionario e ridusse a zero la funzione delle Cortes.

Intanto nel 1845 Don Carlos abdicò in favore del figlio Carlos VI (1818-61), che, non meno del padre, fece di tutto per suscitare altri tentativi insurrezionali sino al 1860, scatenando così la seconda guerra carlista.

Nel 1846 la questione del matrimonio di Isabella aveva sollevato una crisi internazionale. Infatti, per iniziativa della regina madre, era stato deciso di celebrare un doppio matrimonio tra Isabella II e il cugino Francesco di Borbone, e tra la sorella minore, Maria Luisa, e Antonio duca di Montpensier, figlio del re dei francesi Luigi Filippo.

Se si tiene presente che il primo matrimonio era considerato privo di possibilità di essere fecondo, e che perciò il trono sarebbe passato ai figli della seconda coppia nominata, si può comprendere la viva preoccupazione del governo britannico che contribuì non poco alla caduta della monarchia francese nel 1848.

Nel 1854 il generale Leopoldo O'Donnell (1809-67), appartenente all'ala moderata dei progressisti, scatenò un'insurrezione, sulla base del "programma di Manzanares" (dal nome della città in cui fu proclamato), che prevedeva la convocazione delle Cortes, la diminuzione delle tasse, il ripristino delle autonomie locali e della Guardia Nazionale.

Tuttavia la Costituzione approvata nel 1856 aveva un carattere troppo moderato per soddisfare le esigenze dei liberali, i quali ormai stavano pensando seriamente di rivolgersi contro la stessa dinastia dei Borbone, chiedendo la sostituzione della monarchia con la repubblica.

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Fra i caratteri rilevanti del carlismo vanno messi non solo la difesa dell’unità cattolica nazionale e dell’alleanza fra trono e altare, ma anche il radicamento sociale negli ambienti rurali, dove una propaganda tardofeudale mirava a convincere le masse contadine che la conservazione del servaggio e del clericalismo sarebbero stati un'ancora di salvezza contro il duplice attacco condotto dal liberalismo e dal capitalismo.

Il carlismo trovò un terreno tanto più favorevole alla propria ideologia di societas christiana quanto meno le forze liberali riuscivano a garantire alle masse contadine, povere e analfabete, una situazione migliore di quella servile che da secoli vivevano.

Sotto questo aspetto, anche se le rivoluzioni borghesi in Spagna avessero determinato trasformazioni radicali, come p.es. in Inghilterra o in Francia, e non fossero state soltanto delle insurrezioni militari verticistiche, la situazione dei contadini non sarebbe affatto migliorata, ma anzi forse sarebbe peggiorata più drasticamente e più velocemente.

Il fatto che la lotta politica nella Spagna ottocentesca non fosse tanto tra un'arretrata aristocrazia feudale e un'avanzata borghesia produttiva, ma prevalentemente tra due fazioni di proprietari terrieri, vecchi e nuovi, che invece di affidarsi alla politica per risolvere i loro conflitti, tendevano sempre più ad affidarsi alle forze armate, non deve essere visto come un limite per le riforme che si sarebbero dovute attuare nel settore rurale, poiché queste riforme, a favore delle masse contadine, non si sarebbero attuate neppure se lo scontro tra le classi fosse stato di tipo "classico", come appunto in Inghilterra, Francia, Olanda ecc.

Il carlismo, ad un certo punto, trovò poco consenso anche presso la chiesa di Roma, che dall’avvento di Alfonso XIII nel 1875, stava cominciando a guardare con simpatia i governi liberali moderati. Leone XIII due volte, nel 1882 e nel 1890, in due lettere ad altrettanti importanti vescovi spagnoli, invitò i cattolici alla concordia, raccomandando di fatto a tutti, anche ai gesuiti, dei quali non si faceva il nome, ma che erano chiaramente indicati, di non appoggiare la linea intransigente radicale, che finiva col danneggiare la chiesa, soprattutto nei confronti di un nemico assai peggiore del liberalismo, per gli interessi di potere della chiesa, e cioè il socialismo scientifico.

Qui francamente bisogna dire che non c'era modo in Spagna di sviluppare il capitalismo senza abbattere le grandi proprietà feudali e lo strapotere della chiesa. D'altra parte non c'era neppure modo d'impedire la nascita del capitalismo senza creare una democrazia rurale.

Tutte le difficoltà dell'evoluzione della Spagna verso il superamento delle antiche vestigia feudali dipendevano dall'ambiguità, dall'incertezza con cui si affrontavano i nodi salienti di quelle sopravvivenze: il clericalismo e il servaggio, figli del monopolio privato della terra e dei fondamentali mezzi produttivi.

La Spagna restava un paese agricolo arretrato non tanto perché tecnologicamente poco sviluppato o perché privo di un'industria gestita con criteri capitalistici, quanto perché i leader politici e intellettuali non riuscirono mai a mettersi con decisione dalla parte delle masse contadine, al fine di scardinare il potere latifondista.

Proprio la mancata soluzione della questione agraria (divisione del latifondo, gestione comune delle risorse agricole, fine della proprietà privata della terra, distribuzione gratuita delle terre espropriate alla chiesa) non farà che rendere sempre più inevitabile la transizione dal feudalesimo al capitalismo. Una transizione che non avrebbe potuto essere meno dolorosa salvaguardando le autonomie locali o un certo primato economico della terra.

E comunque, che la questione ormai si stesse spostando dal primato dell'agricoltura a quello dell'industria è attestato dal fatto che le prime proteste operaie in Spagna si verificarono proprio negli anni '30 e '40 e furono tutte rivolte alla distruzione degli impianti industriali tessili (specie in Catalogna).

Il destino ormai era segnato e nessuna dittatura avrebbe potuto fermarlo. Tant'è che già nel 1839 il governo concesse agli operai il diritto di fondare società di mutuo soccorso e di legalizzare le organizzazioni clandestine operaie. Non si faceva un favore solo agli operai, ma anche ai capitalisti, la cui attività non veniva più messa in discussione.

Le primissime tracce di socialismo furono quelle utopistiche di Joaquìm Abreu, che nel 1841 tentò di creare un falansterio nei dintorni di Cadice, sull'esempio di quelli di Fourier in Francia.

Un altro fourierista, Fernando Garrido, fondò nel 1845 la rivista socialista "La forza d'attrazione".

Ormai lo scontro tra le forze in campo s'era spostato sul versante industriale, tra capitalisti ed operai. Ai latifondisti e ai contadini non restava che scegliere con chi schierarsi.


(1) Traeva il nome dalla tribù dei franchi salii e fu più volte redatta e rimaneggiata nel periodo tra Clodoveo e Carlo Magno. Un suo articolo, che escludeva le figlie dall'eredità paterna, fu ripreso in età moderna, prima in Francia poi in diverse monarchie europee, per riservare ai figli maschi l'eredità al trono. La legge salica era stata imposta alla Spagna dall'Inghilterra e dall'Austria, per evitare che per eredità femminile la corona potesse essere congiunta con quella di Francia. (torna su)

(2) Il termine castigliano "fuero" deriva dal latino forum, "luogo dove viene amministrata la giustizia". Passa poi a significare la giurisprudenza o insieme di sentenze emesse dai giudici. Quindi, seguendo il cammino della formazione del diritto, passa a significare il complesso di privilegi riconosciuti dallo Stato a una città o a una categoria, per giungere infine a indicare l'insieme di norme specifiche con le quali si reggono le popolazioni spagnole.
Si trattava di un vero e proprio contratto, estremamente dettagliato, che nessuno, nemmeno il sovrano stesso, aveva il diritto di infrangere. I re cattolici non ebbero molta simpatia per le autonomie forali, che tollerarono solo nella misura in cui non riuscirono a ridurle al loro assolutismo.
Il fuero regolava molti aspetti della vita sociale ed economica, stabilendo regole riguardanti le libertà di commercio e le barriere doganali, specificando le imposte, autorizzando le fiere e i mercati, disciplinando gli obblighi militari.
Il richiamo ai fueros comporta il riconoscimento dell'uomo come essere concreto e non come ente astratto; il fatto che le libertà, ossia gli ambiti operativi di ciascuno s'inseriscono, in ogni popolo, nelle consuetudini legali e sociali generate dalla sua tradizione specifica e non in leggi esterne; il primato della libertà nella competizione fra uguaglianza e libertà e la preferenza per i sistemi di libertà concrete delle diverse tradizioni regionali spagnole rispetto alla libertà rivoluzionaria.
Sul piano delle libertà personali, molte erano le garanzie accordate: istituzione dell'habeas corpus, un particolare regime di tutela dei beni dell'accusato, proibizione della tortura agli arrestati salvo eresia, lesa maestà, falsificazione di monete e sodomia.
Il fuero prevedeva anche un contratto di affitto della terra. La chiesa era proprietaria della maggioranza delle terre che concedeva, spezzettate, in possesso a piccoli coltivatori in una forma di enfiteusi ereditaria. A partire dal XVIII secolo si aprì una lunga controversia tra i contadini e la chiesa, contro la pretesa di controllo che il clero voleva esercitare sui contratti.
Insomma, i fueros erano usi e costumi giuridici creati dalla comunità, elevati a norma giuridica con valore di legge scritta dal riconoscimento concordato con l'autorità del loro effettivo carattere consuetudinario, quindi, diversamente dalle "dichiarazioni di diritti" o dalle "costituzioni di carta", costituivano una certa garanzia di libertà politica e personale.
L'unità giurisdizionale della Spagna apparve ai liberali impossibile senza l'abrogazione preventiva dei fueros, che infatti erano stati aboliti nel 1814, poi ripristinati da Ferdinando VII.
Le leggi e le consuetudini tradizionali, insieme al diritto degli organi di governo locale a promulgare sul territorio i provvedimenti legislativi delle Cortes centrali, furono mantenuti fino alla guerra carlista del 1876.
La successiva forte centralizzazione monarchica e statale generò un nazionalismo sprezzante delle autonomie locali, specie sotto il franchismo, che, per certi versi, dura tuttora. (torna su)


Bibliografia

SitiWeb


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015