STORIA DELLA SPAGNA - La sinistra


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La neutralità della Spagna durante la prima guerra mondiale venne sfruttata dalla borghesia e dagli agrari del paese, che si arricchirono notevolmente con le commesse di prodotti alimentari, materie prime strategiche (la sola estrazione del carbone aumentò del 67%), prodotti industriali (siderurgici, elettromeccanici e tessili), forniti alle due parti in conflitto. Sorsero circa 500 nuove aziende, s'incrementò fortemente il capitale bancario, si formò il grande trust della carta...

Tuttavia la Spagna restava un paese molto arretrato, con forti sopravvivenze feudali nelle campagne e con un'industria alquanto debole. Il capitale straniero infatti deteneva ancora oltre la metà degli investimenti. Mon esisteva un blocco storico tra agrari e industriali: le classi forti non avvertivano come prioritari gli interessi nazionali. Gli agrari inoltre, non essendo abituati a "trattare", facevano cadere i governi appena una crisi economica sembrava minacciare seriamente i loro antichi privilegi. Le Cortes per loro svolgevano una funzione sussidiaria.

Le masse popolari, urbane e rurali, vivevano in condizioni precarie, anche perché durante la guerra i prezzi dei generi alimentari e industriali erano aumentati del 107%, mentre il salario era rimasto ai livelli pre-bellici. La popolazione contadina tendeva progressivamente a diminuire, in quanto si trasferiva nelle città.

Alla fine della guerra centinaia di fabbriche, prive di commesse militari, furono costrette a chiudere. L'export diminuì al punto che la peseta dovette essere svalutata del 25%. Gli imprenditori presero a licenziare in massa o a diminuire i salari, ad allungare l'orario di lavoro, intensificandone i ritmi.

Inevitabili furono gli scioperi: 463 nel 1918, circa 900 nel 1919, 1060 l'anno dopo. Il numero degli scioperanti passò da 109.000 nel 1918 a 245.000 nel 1920: ferrovieri, addetti all'elettricità, al gas, ai trasporti..., ma anche contadini e braccianti. In molte industrie sorsero i Consigli di azienda.

Le varie tendenze autonomiste catalane, espresse dalla Lega Regionalista di Catalogna e dal Partito Radicale, rivendicavano con energia la concessione di una zona di porto franco a Barcellona, al fine di alleviare la pressione fiscale sui capitalisti, che sicuramente pagavano più tasse degli agrari castigliani e andalusi.

Per tutta risposta il governo proclamò lo stato d'assedio in Catalogna, ma, nonostante il tentativo di reprimere le proteste, gli imprenditori dovettero fare marcia indietro e contrattare con gli operai sulle rivendicazioni relative alle otto ore per la giornata lavorativa, alle forme di pensionamento per anzianità e di sussidio per i licenziamenti e in generale agli aumenti salariali.

Gli scioperi erano stati molto forti in Catalogna, nelle Asturie, ma anche a Madrid, Bilbao, Valenza... e sempre più spesso assumevano carattere politico, come ad es. quando il governo volle aderire al blocco economico contro la Russia sovietica.

La Confederazione Nazionale del Lavoro, che aveva preso a organizzare anche la classe operaia, era passata dai 100.000 iscritti nel 1914 all'1,2 milioni nel 1920, ma gli anarcosindacalisti continuavano a rifiutarsi di collegare le rivendicazioni economiche degli operai con quelle politiche e allontanavano i lavoratori dalla strategia politica più generale.

L'Unione Generale dei Lavoratori aveva raddoppiato gli iscritti del 1915, passando a 200.000, ma i leader riformisti di questo sindacato socialista proponevano una collaborazione con la monarchia e con gli imprenditori sulla base di comuni interessi, e quindi sconfessavano la lotta di classe. Era quindi impossibile creare un fronte unico di lotta della classe operaia tra le due organizzazioni.

Scendevano in piazza non solo gli operai ma anche i contadini con poca terra e i braccianti rurali, soprattutto in Andalusia ed Estremadura.

In Catalogna, Galizia e nei Paesi Baschi, in seguito a questi movimenti di protesta, riprese vigore la rivendicazione dell'autonomia regionale, cui il governo si oppose sempre nettamente (salvo concedere qualcosa ai baschi sul piano dell'istruzione e della sanità pubbliche e nella costruzione della rete stradale locale). Da notare che in questo periodo le Cortes erano chiuse.

La piccola e media borghesia di queste regioni, a guida del movimento, era tuttavia disposta a compromessi con la monarchia e i latifondisti, pur di avere l'autonomia regionale, per cui tendeva a isolare le masse lavoratrici dalla lotta generale della popolazione nazionale per i diritti economici e politici.

In quegli anni si andavano anche sviluppando delle organizzazioni autonome dell'esercito, le cosiddette Giunte di unione e di difesa delle varie armi, che tendevano a sovrapporsi alla gerarchia militare e a diventare strumento di pressione politica.

Esse erano una sorta di sindacati militari, in quanto lottavano contro il carovita (che colpiva anche i militari di grado inferiore), il nepotismo nell'esercito, l'esclusione degli ufficiali medi dalle accademie, ecc. Volevano insomma parità di diritti rispetto ai ranghi superiori. Tendevano a legarsi con le sinistre e i progressisti, pur non essendo espressione del mondo operaio, per cui costituivano una minaccia notevole per il governo centrale.

Quando nel 1917 furono arrestati molti ufficiali della Giunta dell'arma di fanteria, a Barcellona si ebbero imponenti manifestazioni di militari a sostegno degli arrestati, al punto che la Giunta riuscì a ottenere non solo la loro liberazione ma anche il riconoscimento legale di tutte le Giunte, coi loro regolamenti e statuti autonomi.

Intanto, tra le file della sinistra andava maturando l'esigenza di costituire un partito comunista più vicino alle idee del marxismo e soprattutto del leninismo, risultato vincente in Russia. E siccome il Partito Socialista Operaio non voleva aderire alla III Internazionale, fu fondato nel 1920 a Madrid il Partito Comunista Spagnolo.

Fu a questo punto che il governo prese la decisione di intervenire duramente, temendo che le idee del bolscevismo potessero diffondersi nel paese.

Alla fine del 1920 furono imprigionati 64 dirigenti della Confederazione Nazionale del Lavoro e addirittura uccisi il deputato anarchico repubblicano Francisco Layret e altri esponenti democratici. In modo particolare si reprimevano gli operai in sciopero.

La situazione si andava aggravando anche a causa dei licenziamenti in massa, specie in Catalogna, nelle Asturie e nella regione basca. Gli imprenditori si sentivano più sicuri con un governo repressivo.

Gli anarchici tuttavia uccisero Dato, presidente del consiglio dei ministri, nel 1921 (ma anche il politico Canalejas fu assassinato). Il successore, a causa delle sconfitte dell'esercito spagnolo nella guerra coloniale contro il popolo marocchino, fu costretto a dimettersi subito dopo.

Ne approfittò il Partito Comunista che proclamò uno sciopero generale di protesta dei lavoratori di Bilbao, che non fecero più partire alcun carico di truppe per il Marocco.

Gli scioperi si susseguirono a ritmo incalzante, contro la monarchia, il militarismo, lo sfruttamento dei lavoratori. Cominciarono persino a disertare o ad ammutinarsi i militari di Malaga, Granada e Siviglia.

La classe operaia non avendo una guida rivoluzionaria non riuscì ad essere conseguente sino in fondo, sicché nel 1923 il generale Primo de Rivera (1870-1930), con un colpo di stato, decise d'imporre una dittatura monarchico-militare. In 20 anni (1902-23) vi erano state 33 crisi di governo.

Il dittatore pensò non soltanto di ristabilire l'ordine pubblico, ma anche di rilanciare l'economia, grazie a un vasto programma di opere pubbliche, elettrificazione, produzione di ferro e acciaio. Ma il paternalismo autoritario della dittatura non risolse alcun problema veramente importante del paese: si limitò a congelarli tutti, dandoli per risolti.

Nel 1931 si contavano infatti circa 600.000 disoccupati privi di sussidio. 1444 proprietari fondiari possedevano circa 3 milioni di ettari, mentre la stessa superficie era suddivisa tra 8 milioni di contadini poverissimi. Oltre a ciò si stava abbattendo sulla Spagna la più grave crisi mondiale della storia iniziata negli Stati Uniti nel 1929.

Sul terreno politico si confrontavano i repubblicani (proletariato, contadini, piccola e media borghesia) e monarchici (latifondisti, grande borghesia, alto clero, comandanti reazionari dell'esercito).

Diversamente dalla borghesia, gli operai e i contadini lottavano non solo per la fine della monarchia, ma anche per una reale democratizzazione sociale, politica ed economica di tutta la società.

Per ripristinare la monarchia e contrastare la protesta popolare, i circoli governativi sostituirono Primo de Rivera con Berenguer. Ma il movimento per la repubblica, con a capo Zamora (esponente di destra) e Azaña (esponente di sinistra) riesce a formare, insieme ai socialisti, un comitato rivoluzionario avente l'obiettivo di sopprimere definitivamente l'istituto della monarchia.

I primi antimonarchici a insorgere furono le truppe della guarnigione di Jaca (Aragona), ma i capi dell'insurrezione furono arrestati e fucilati. Subito dopo insorsero gli aviatori militari di Madrid, poi i soldati di Alicante ed Elche si unirono ad operai e contadini.

Si formò un vasto movimento contadino in Andalusia, Estremadura e nelle province di Valencia, Granada, Cordoba, Malaga..., che cominciò non solo a proclamare la fine della monarchia, ma anche a requisire le terre dei latifondisti e a creare propri reparti armati, dopo aver disarmato la guardia civile.

Il governo Berenguer decise di dimettersi. Il nuovo governo, presieduto da Aznar, indisse le elezioni municipali convinto che i repubblicani avrebbero vinto, e fu così. Poco più di un anno dopo la caduta del dittatore de Rivera, semplici elezioni municipali fecero crollare anche la monarchia di Alfonso XIII, aprendo la strada alla seconda repubblica.

Durante la dittatura di de Rivera (1823-30) i carlisti strinsero un'alleanza elettorale con gruppi nazionalisti e piccole formazioni di destra - è la Minoranza Basco-Navarrina - per opporsi politicamente alla repubblica.

Nel 1931 Alfonso XIII (1886-1941) s'incontra a Parigi con Jaime III per un riavvicinamento dei due rami e per discutere di un patto, secondo cui Alfonso XIII avrebbe accettato Jaime III come capo della Casa e legittimo erede al trono, purché nominasse successore suo figlio, l'infante Don Juan. Ma nello stesso anno, in seguito a una caduta da cavallo, Jaime III muore. L'unico discendente diretto è Don Alfonso di Borbone (1849-1936), fratello di Carlos VII, zio di Jaime III. Benché ottantenne e in una situazione politica molto difficile, Don Alfonso assume il titolo di re carlista con il nome di Alfonso Carlos, in memoria del fratello, e ricostituisce il movimento come Comunión Tradicionalista. Alfonso morirà in esilio a Roma nel 1941.


Bibliografia


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015