STORIA DELLA SPAGNA - L'assolutismo illuminato


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Le colonie americane della Spagna - cui si rimanda in uno studio specifico - servirono più che altro per realizzare un mercato ad uso interno.

Infatti fino al 1717 tutto il commercio d'oltreoceano passava attraverso un solo porto: Siviglia, e Cadice fino al 1765. Qui ogni nave in partenza e in arrivo veniva sottoposta a un'ispezione da parte degli agenti della Camera di Commercio delle Indie, in rappresentanza di ricchissimi mercanti spagnoli, i quali, avendo il monopolio di quei traffici, potevano imporre i prezzi che volevano. Una quota significativa delle entrate, che alla fine del XVIII secolo era circa 1/5 del totale, spettava naturalmente al governo.

Quanto all'industria spagnola, essa non era in condizioni di assicurare granché ai coloni. Non a caso nei secoli XVII e XVIII i prodotti stranieri arrivavano anche ai 2/3 di tutti quelli esportati in America su navi spagnole.

Una situazione, questa, che favoriva ovviamente il contrabbando, cioè il commercio illegale di merci straniere, in cui gli inglesi era maestri, tanto che verso il 1740 erano in grado di esportare in questa maniera la stessa quantità legale di merci esportate dagli spagnoli.

Purtroppo una delle ragioni della debolezza della borghesia spagnola fu proprio la presenza di questo enorme impero coloniale, che rendeva poco attraente l'idea di dover lottare politicamente contro l'aristocrazia feudale per realizzare un mercato unico a livello nazionale.

Peraltro col termine "borghesia" non si deve intendere tanto quella imprenditoriale, quanto semplicemente quella mercantile, la quale, avendo come "clienti" la nobiltà, il clero, la burocrazia e le gerarchie militari, non poteva avere alcun aspetto politicamente rivoluzionario.

Chi comandava nettamente in Spagna era la nobiltà, sia laica che ecclesiastica: le apparteneva circa il 70% di tutte le terre coltivabili e molto di più di quelle non coltivabili. Si badi che col concetto di "nobiltà" si deve soprattutto intendere quella di rango elevato, la quale si avvaleva dell'istituto del maggiorascato (il patrimonio veniva trasmesso integralmente dall'ultimo possessore a chi, nell'ambito della stessa famiglia, gli era più prossimo di grado e, in caso di parenti di ugual grado, al maggiore di età). I figli esclusi dall'eredità erano praticamente costretti a fare carriera militare o ecclesiastica o burocratica.

Entrare nel mondo ecclesiastico non era semplicissimo, in quanto, come per altre carriere prestigiose, occorreva esibire un certificato di "purezza della razza", con cui si doveva dimostrare che tra i propri antenati non vi era stato nessuno il cui sangue s'era mescolato con mori o ebrei o eretici o condannati dall'Inquisizione.

In ogni caso chi entrava da nobile in questo settore aveva una carriera di tutto rispetto. Infatti, la nobiltà ecclesiastica, alla fine del XVIII secolo, su una popolazione totale di circa 10,5 milioni di abitanti, poteva disporre quotidianamente di un "esercito" di 200.000 religiosi di vari ordini, di 40 ordini monastici maschili con 2067 monasteri, e di 29 ordini femminili con 1122 relativi monasteri.

Il reddito annuale della chiesa superava quello della Camera di Commercio delle Indie. Naturalmente lo straordinario aumento del clero spagnolo dipendeva proprio dall'estrema miseria e dell'analfabetismo assoluto della popolazione rurale, spesso fanaticamente superstiziosa. In una situazione del genere facilmente la chiesa, che controllava tutte le università, le scuole, la stampa e gli spettacoli, riuscì a imporre l'idea di uno Stato rigidamente confessionale.

L'Inquisizione infatti ha sempre lavorato a pieno ritmo, sia in Spagna che nelle Americhe. Soltanto nella prima metà del XVIII secolo bruciò più di mille persone e più di 10.000 subiranno delle persecuzioni. Essa conservò sino al 1808 un proprio Grande Inquisitore, un Consiglio Supremo e 16 Tribunali provinciali.

E comunque anche il livello di istruzione di nobiltà e borghesia non era molto alto, se è vero che persino alla metà del XVIII secolo la maggioranza degli spagnoli istruiti si rifiutava di riconoscere il sistema astronomico copernicano.

Soltanto a partire dalla seconda metà del secolo la scienza prese a farsi strada presso alcune università. Intellettuali progressisti influenzati dagli illuministi francesi, come Macanaz, Ensenada, Campomanes, Floridablanca, Jovellanos..., iniziarono a mettere in dubbio il bestiale sfruttamento di negri e indios, i privilegi nobiliari, le disparità socioeconomiche nel mondo rurale... Volevano anche sostituire il latino con lo spagnolo presso le università.

Nelle opere letterarie e teatrali si cominciò a deridere l'ignoranza e il parassitismo dell'aristocrazia, i pregiudizi e l'oscurantismo della società feudale, i soprusi dei funzionari reali, la corruzione del clero. (1) Naturalmente in tutta la Spagna restavano proibite le opere di Rousseau, Voltaire, Montesquieu e degli Enciclopedisti.

Per unificare il paese, riorganizzare l'amministrazione, centralizzare i poteri e dare maggiore impulso alle attività produttive, il governo si affidò all'esercito, a una burocrazia selezionata e alle idee della fisiocrazia, secondo cui soltanto l'attività agricola, gestita in modo razionale, è in grado di determinare un incremento autentico della ricchezza.

Per sostenere le riforme si pensò di cacciare immediatamente dal paese tutti gli 8.000 gesuiti, confiscando i loro ingenti beni (1766). Invisi alle autorità in quanto speculatori, usurai, monopolizzatori delle istituzioni educative e soprattutto perché la loro direzione generale si trovava fuori di Spagna, i gesuiti erano già stati espulsi dal Portogallo nel 1759 e dalla Francia nel 1762. Quando nel 1769 papa Clemente XIII chiese al clero spagnolo la sua opinione sul provvedimento, la maggioranza dei vescovi rispose che esso era stato opportuno e giusto, tant'è che quelli espulsi poterono rifugiarsi solo nello Stato della Chiesa e in pochi altri paesi europei, come Prussia e Russia.

I gesuiti vengono perseguitati anche nelle colonie spagnole in America. P.es. nella foresta di Santa Ana, al confine tra Argentina e Brasile, 78 missionari governavano 140 mila Indios guaranì nelle trenta misiones sparse per una foresta grande quanto l’Italia. La società era organizzata come un collettivismo militarizzato. Nel 1767 le armate spagnole e portoghesi eliminarono ogni cosa.

Il governo di Carlo III (1759-88) poté così dimostrare facilmente il proprio "assolutismo illuminato" e varare delle riforme sul piano economico. In primo luogo furono proibiti gli sfratti nei contratti a breve termine tra proprietari e contadini. In qualche provincia le terre comunali furono date in affitto a canoni bassi per favorire i contadini nullatenenti. Ma dal 1765 il calmiere del grano fu abolito.

Tutti i porti della Spagna furono aperti al commercio con le colonie: in particolare a Barcellona fiorirono le industrie tessili perché ora le tele si potevano esportare direttamente.

Si favorì la creazione di industrie private mediante una politica di protezionismo doganale che difendeva la produzione nazionale.

Si promosse una fiscalizzazione più equa e si cercò di limitare i privilegi esorbitanti della Mesta e dei grandi proprietari fondiari.

Tuttavia nel complesso le cose non andarono come previsto. Infatti a queste riforme si opposero sempre tenacemente i ceti proprietari e privilegiati, spaventati soprattutto dalle conseguenze della rivoluzione francese, e la borghesia non ebbe il coraggio di mettere in discussione apertamente il monopolio della terra. Nel 1792, la deposizione di Luigi XVI e l'arresto della famiglia reale indussero la Spagna ad aderire alla prima coalizione antifrancese. Il nuovo re spagnolo, Carlo IV (1788-1808), bloccò tutte le riforme.

Quanto alla politica estera, essa fu piuttosto ondivaga, poiché da un lato si cercava l'appoggio inglese contro la Francia, dall'altro si faceva l'opposto. L'Inghilterra dava fastidio soprattutto nelle colonie americane, dove la Spagna fu costretta a cederle nel 1763 la Florida e le terre a est e sud-est del Mississipi.

Quando nel 1775 iniziò la guerra delle tredici colonie inglesi nordamericane contro la madrepatria, la corona spagnola, vedendo che la Francia s'era schierata apertamente dalla parte degli insorti "americani", fece altrettanto e dalla guerra contro gli inglesi (1779) riuscì a riprendersi la Florida e l'isola di Minorca, limitando di molto la presenza inglese nell'Honduras, anche se nulla poté nelle isole Bahamas e a Gibilterra.

Due parole bisogna dirle anche sul Portogallo, perché dopo il nuovo riconoscimento come Stato indipendente dalla Spagna (1688) - il che gli permise di riavere il Brasile, l'Angola, il Mozambico, Goa e Diu in India, Macao in Cina, Madera e le isole Azzorre, anche se dovette rinunciare per sempre a Malacca e Indonesia, inclusi l'arcipelago della Sonda e le isole Molucche - questo paese, in seguito a ciò, preferì spostare il proprio centro commerciale in Brasile, dove nel XVIII secolo si erano scoperti giacimenti di oro e di diamanti.

Tuttavia, il Portogallo, come la Spagna, restava un paese sostanzialmente feudale, con pochi settori produttivi sviluppati: vite, olivo, cantieristica navale. Temendo inoltre il vicino infinitamente più forte, cercò sempre l'appoggio dell'Inghilterra, la quale però, essendo economicamente più sviluppata, perché apertamente capitalistica, finì col sottometterlo senza aver bisogno di sparare un solo colpo.

Infatti, nel 1703 il Portogallo fu costretto a concedere piena libertà d'importazione ai tessuti e alla lana inglesi, ottenendo in cambio solo delle agevolazioni per l'esportazione dei propri vini.

La corona inglese riuscì in sostanza a servirsi del Portogallo e delle sue colonie per arginare i poteri di Spagna e Francia.


(1) Cfr Il teatro critico universale di Feijóo, Le lettere marocchine di Cadalso, le Saynete (commedie popolari) di Ramon del la Cruz, le Favole di Iriarte e Samaniego, i Drammi di Leandro Moratìn e la filosofia di Pérez Lòpez. (torna su)


Bibliografia

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015