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Tavola XI
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Gilgamesh
parlò a lui, al lontano Utnapishtim:
"Io guardo a te, Utnapishtim, le
tue fattezze non sono diverse, tu sei uguale a me, si, tu non sei
diverso, uguale a me sei tu! |
|
Il mio animo è tutto proteso a misurarsi con te, e
tuttavia il mio braccio è inerme contro di te!
Perciò dimmi: come sei entrato nella schiera degli dei, ottenendo la
vita?". |
5 |
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Utnapishtim
parlò a lui, a Gilgamesh:
"Una cosa nascosta, Gilgamesh, ti
voglio rivelare, |
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e il segreto degli dei ti voglio manifestare.
Shuruppak -
una città che tu conosci, che sorge sulle rive dell'Eufrate
- questa città era già vecchia e gli dei abitavano in essa.
Bramò il cuore dei grandi dei di mandare il diluvio. |
10 |
Prestarono il giuramento il loro padre An, Enlil, l'eroe,
che li consiglia, Ninurta il loro
maggiordomo, Ennugi, il loro
controllore di canali; Ninshiku-Ea
aveva giurato con loro. |
15 |
|
Le loro intenzioni (quest'ultimo) però le rivelò ad una
capanna:
"Capanna, capanna! Parete, parete! Capanna, ascolta; parete,
comprendi!
Uomo di Shuruppak,
figlio di Ubartutu, abbatti
la tua casa, costruisci una nave, |
20 |
abbandona la ricchezza, cerca la vita! Disdegna i
possedimenti, salva la vita! fai salire sulla nave tutte le specie
viventi!
La nave che tu devi costruire - le sue misure prendi
attentamente, |
25 |
eguali siano la sua larghezza e la sua lunghezza - ; tu
la devi ricoprire come l'Apsu".
Io compresi e così io parlai al mio signore Enki:
"L'ordine, mio signore, che tu mi hai dato, l'ho preso sul serio e
lo voglio eseguire. |
30 |
Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli
anziani?"
Enki aprì la
sua bocca, così parlò a me il suo servo:
"Tu, o uomo, devi parlare loro così:
'Mi sembra che Enlil sia adirato
con me; |
35 |
perciò non posso vivere più nella vostra città non
posso più porre piede sul territorio di Enlil. Per
questo voglio scendere giù nell'Apsu, e là
abitare con il mio signore Enki.
Su di voi però Enlil farà
piovere abbondanza, abbondanza di uccelli, abbondanza di pesci. |
40 |
Egli vi regalerà ricchezza e raccolto. Al mattino egli
farà scendere su di voi focacce, di sera egli vi farà piovere una
pioggia di grano". |
45 |
|
Appena l'alba spuntò, si raccolse attorno a me tutto il
paese; |
|
il falegname portò la sua ascia, il giuncaio portò il
suo ... I giovani uomini [ ] le case [ ] le mura di mattoni. I
fanciulli portarono pece. |
50 |
Il povero [ ] portò il necessario.
Al quinto giorno disegnai lo schema della nave;
la sua superficie era grande come un campo, le sue pareti erano alte
120 cubiti. Il bordo della sua copertura raggiungeva anch'esso 120
cubiti. Io tracciai il suo progetto, feci il suo modello: |
55 |
suddivisi la superficie in sei comparti, innalzai fino
a sette piani. La sua base suddivisi per nove volte.
Nel suo mezzo infissi pioli per le acque; scelsi le pertiche e
approntai tutto ciò che serviva alla sua costruzione: |
60 |
tre sar di bitume grezzo versai nel forno, tre
sar di bitume fine impiegai; tre sar di olio portarno
le persone portatrici dei canestri. Tranne un sar di olio che il
niqqu ha consumato, e due sar di olio messi da parte dal
marinaio. |
65 |
Come approvvigionamento macellai buoi, giorno dopo
giorno uccisi pecore; mosto, birra, olio e vino gli artigiani
bevvero come fosse acqua del fiume, essi celebrarono una festa come se
fosse la festa del Nuovo Anno! |
70 |
Al sorgere del sole io feci un'unzione; al tramonto la
nave era pronta.
Il varo della nave fu molto difficile; corde per il varo furono
lanciate sopra e sotto; due terzi di essa stavano sopra la linea
d'acqua. |
75 |
Tutto ciò che io possedevo lo caricai dentro: tutto ciò
che io possedevo di argento lo caricai dentro, tutto ciò che io
possedevo di oro lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di specie viventi le caricai
dentro: sulla nave feci salire tutta la mia famiglia e i miei
parenti, |
80 |
il bestiame della steppa, gli animali della
steppa, tutti gli artigiani feci salire.
L'inizio del diluvio me lo aveva indicato Shamash:
"Al mattino farò scendere focacce, la sera farò piovere una pioggia
di grano; allora sali sulla nave e chiudi la porta!". |
85 |
|
Venne il momento indicato: |
|
al mattino scesero focacce, la sera una pioggia di
grano. Io allora osservai le fattezza del giorno: al guardarlo, il
giorno incuteva paura.
Entrai dentro la nave e sprangai la mia porta. Al marinaio Puzur-Amurri,
il costruttore della nave, |
90 |
regalai il palazzo con tutti i suoi averi.
Appena spuntò l'alba, dall'orizzonte salì una nuvola nera.
Adad
all'interno di essa tuonava continuamente, davanti ad essa andavano Shullat e Canish; |
95 |
i ministri percorrevano monti e pianure.
Il mio palo d'ormeggio strappò allora Erragal. Va
Ninurta, le
chiuse d'acqua abbatte.
Gli Anunnaki
sollevano fiaccole, con la loro luce terribile infiammano il
paese. |
100 |
Il mortale silenzio di Adad avanza nel
cielo, in tenebra tramuta ogni cosa splendente.
Il paese come un vaso egli ha spezzato. Per un giorno intero la
tempesta infuriò, il vento del sud si affrettò per immergere le
montagne nell'acqua: |
105 |
come un'arma di battaglia la distruzione si
abbatte sugli uomini.
A causa del buio il fratello non vede più suo fratello, dal cielo
gli uomini non sono più visibili.
Gli dei ebbero paura del diluvio, indietreggiarono, si rifugiarono
nel cielo di An. |
110 |
Gli dei accucciati come cani si sdraiarono la fuori! Ishtar grida
allora come una partoriente, si lamentò Belet-Ili,
colei dalla bella voce:
"Perché quel giorno non si tramutò in argilla, quando io
nell'assemblea degli dei ho deciso il male? |
115 |
Perché nell'assemblea degli dei ho deciso il
male, dando, come in guerra, l'ordine di distruggere le mie
genti? Io proprio io ho partorito le mie genti ed ora i miei figli
riempiono il mare come larve di pesci".
Allora tutti gli dei Anunnaki
piansero con lei. |
120 |
Gli dei siedono in pianto. Secche sono le loro labbra;
non prendono cibo!
Sei giorni e sette notti soffia il vento, infuria il diluvio,
l'uragano livella il paese.
Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio cessa la
battaglia, |
125 |
dopo aver lottato come una donna in doglie.
Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.
Io osservo il giorno, vi regna il silenzio. Ma l'intera umanità è
ridiventata argilla. Come un tetto è pareggiato il paese. |
130 |
|
Aprii allora lo sportello e la luce baciò la mia faccia.
Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi. Sulle mie guance scorrevano
due fiumi di lacrime. Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di
una riva: finché ad una distanza di dodici leghe non scorsi
un'isola. |
135 |
La nave si incagliò sul monte
Nisir. Il monte Nisir prese
la nave e non la fece più muovere; un giorno, due giorni, il monte Nisir prese
la nave e non la fece più muovere; tre giorni, quattro giorni, il monte Nisir prese
la nave e non la fece più muovere; cinque giorni, sei giorni, il monte Nisir prese
la nave e non la fece più muovere. |
140 |
Quando giunse il settimo giorno, feci uscire una
colomba, la liberai. La colomba andò e ritornò, un luogo dove stare
non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire una rondine, la liberai; |
145 |
andò la rondine e ritornò, un luogo dove stare non era
visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire un corvo, lo liberai. Andò il corvo e questo vide che
l'acqua ormai rifluiva, egli mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non
tornò. |
150 |
|
Feci allora uscire ai quattro venti tutti gli
occupanti della nave e feci un sacrificio. Posi l'offerta sulla cima
di un monte. Sette e sette vasi vi collocai: in essi versai canna,
cedro e mirto.
Gli dei odorarono il profumo. |
155 |
Gli dei odorarono il buon profumo. Gli dei si
raccolsero come mosche attorno all'offerente.
Dopo che Belet-Ili fu
arrivata innalzò in alto le sue grandi 'mosche' (=lapislazzuli) che
An aveva fatto
per la sua gioia:
"Voi, o dei, siete come i lapislazzuli del mio collo! |
160 |
che io ricordi sempre questi giorni e non li dimentichi
mai! Gli dei vengano all'offerta, ma Enlil non venga
all'offerta, perché egli ha ordinato avventatamente il
diluvio, destinando le mie genti alla rovina!". |
165 |
Dopo che Enlil fu
arrivato, vide la nave e si infuriò, d'ira si riempì il suo cuore
verso gli dei Igigi: "Qualcuno
si è salvato? Eppure nessun uomo doveva sopravvivere alla distruzione".
Ninurta
aprì la sua bocca e disse, così parlò ad Enlil
l'eroe: |
170 |
"Chi può aver escogitato ciò se non Enki? Solo Enki conosce ogni
arte!". |
175 |
|
Enki aprì allora
la sua bocca e parlò ad Enlil, l'eroe:
"O eroe, tu il più saggio fra gli dei, come, come hai potuto agire
così sconsideratamente, ordinando il diluvio? |
|
Al colpevole imponi la sua pena, a colui che
commette un delitto imponi la sua pena, flettilo, ma non venga
stroncato; tiralo, ma non sia spezzato!
Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che un leone
fosse venuto e avesse fatto diminuire le genti!
Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che un lupo
fosse venuto e avesse fatto diminuire le genti!
Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio che una
carestia si fosse abbattuta sul paese e lo avesse decimato! |
180 |
Piuttosto che mandare il diluvio, sarebbe stato meglio
che la peste si fosse abbattuta sulle genti e le avesse decimate!
Per quanto mi riguarda io non ho tradito il segreto dei grandi dèi!
Ho fatto avere soltanto un sogno ad Atramkhasis,
al saggio per eccellenza! Così egli comprese il segreto dei grandi
dei! Ora però prendi per lui una decisione".
Enlil salì
allora sulla nave, |
185 |
prese la mia mano e mi fece alzare, prese mia moglie e
la fece inginocchiare al mio fianco. Toccò la nostra fronte e stando in
mezzo a noi ci benedisse:
"Prima Utnapishtim
era uomo, ora Utnapishtim
e sua moglie siano simili a noi dei. |
190 |
Risieda Utnapishtim
lontano, alla foce dei fiumi".
Essi allora mi presero e mi fecero abitare lontano, alla foce dei
fiumi. Ed ora chi potrà far radunare per te gli dei in modo che tu
trovi la vita che tu cerchi? Orsù, cerca di non dormire per sei giorni
e sette notti". |
195 |
|
Ma appena egli si sedette al suolo con la testa tra le sue
ginocchia, il sonno scese su di lui come un velo di nebbia.
Utnapishtim
parlò allora a lei, a sua moglie: "Guarda
il grande uomo che cerca la vita, il sonno è sceso su di lui come un
velo di nebbia". |
200 |
Sua moglie
così parlò a lui, a Utnapishtim
il lontano: "Toccalo, fallo svegliare! Possa egli tornare indietro
in pace per la via da cui è venuto. Possa egli tornare indietro nel suo
paese attraversando la porta da cui è uscito".
Utnapishtim
parlò a lei, a sua moglie: |
205 |
"L'umanità è ingannevole; egli raggirerà pure te. Orsù
cuoci un pane per lui e ponilo vicino alla sua testa, segna anche sul
muro i giorni che egli passa dormendo".
Essa cosse un pane e lo depose vicino alla sua testa; segnò inoltre
sul muro i giorni che egli passò dormendo. |
210 |
Il pane del primo giorno era già secco, quello del
secondo giorno era raggrinzito, quello del terzo giorno era molliccio,
quello del quarto giorno aveva la crosta bianca, quello del quinto
giorno aveva perso colore, quello del sesto giorno era appena
cotto, quello del settimo giorno lo aveva appena sfornato,
allorché egli lo toccò e lo svegliò.
Gilgamesh
così parlò a lui, a Utnapishtim
il lontano: |
215 |
"Non appena il sonno è sceso su di me, mi hai subito
toccato e mi hai svegliato".
Utnapishtim
così parlò a lui, a Gilgamesh: "Guarda,
Gilgamesh!
Conta i pani! Così apprenderai quanti giorni hai dormito. |
220 |
Il pane del primo giorno è già secco, quello del
secondo giorno è raggrinzito, quello del terzo giorno è molliccio,
quello del quarto giorno ha la crosta bianca, quello del quinto giorno
ha perso colore, quello del sesto giorno è appena cotto, quello del
settimo giorno era appena stato sfornato, quando io ti ho toccato".
Gilgamesh
così parlò a lui, a Utnapishtim
il lontano: |
225 |
"Ahimè! Come ho potuto fare ciò, Utnapishtim! Dove
potrò andare adesso? I rapinatori mi hanno intrappolato, nella mia
camera da letto alberga la morte; dovunque io ponga il mio piede, là
c'è la morte". |
230 |
|
"Urshanabi, il
molo ti rifiuti, il traghetto ti disprezzi! |
|
Tu che sei andato alla sua sponda, rinuncia ad accostarti
ad essa; l'uomo che tu hai portato fin qui, il suo corpo è pieno di
sporcizia; la bellezza del suo corpo hanno rovinato le pelli che
indossa;
prendilo Urshanabi!
Portalo al lavatoio; possa egli lavare con acqua la sua
sporcizia, fino a diventare bianco come la neve; |
235 |
possa egli buttare via le pelli, sicché il mare le porti
con sé:
fa' che il suo corpo sia strofinato fino a tornare bello; poni sul
suo capo un nuovo turbante; fagli indossare un vestito che lo
rinobiliti; fino a che egli non giunga alla sua città, |
240 |
fino a che egli non compia il suo viaggio, che il suo
vestito non si scolori, che sia nuovo, che sia nuovo".
Urshanabi lo
prese e lo condusse al lavatoio; lavò con acqua la sua sporcizia, fino
a diventare bianco come la neve; egli buttò via le pelli, sicché il
mare le portò con sé: |
245 |
il suo corpo strofinò fino a farlo tornare bello; pose
sul suo capo un nuovo turbante; indossò un vestito che lo
rinobilitò; fino a che non fosse giunto alla sua città, fino a che
non avesse compiuto il suo viaggio; |
250 |
il suo vestito non si sarebbe scolorato, sarebbe rimasto
nuovo.
Gilgamesh e
Urshanabi
salirono sulla nave; liberarono la nave dagli ormeggi e
partirono. |
255 |
|
Sua moglie
così parlò a lui, al lontano Utnapishtim: "Gilgamesh è
venuto a te stanco e abbattuto; |
|
che cosa puoi dargli che possa portare con sé nel suo
paese?".
Egli allora Gilgamesh
sollevò il remo e fece accostare la nave alla sponda. Utnapishtim
così parlò a lui, a Gilgamesh: "Gilgamesh, tu
sei venuto stanco e abbattuto, |
260 |
cosa posso darti da portare con te al tuo paese?
Ti voglio rivelare, o Gilgamesh,
una cosa nascosta, il segreto degli dei ti voglio manifestare. Vi è
una pianta, le cui radici sono simili a un rovo, le cui spine, come
quelle di una rosa, pungeranno le tue mani; |
265 |
se raggiungerai tale pianta con le tue mani troverai la
vita".
Appena Gilgamesh udì
ciò, egli aprì un foro, si legò ai piedi grandi pietre, e si immerse
nell'Apsu, la
dimora di Enki; egli
prese la pianta sebbene questa pungesse le sue mani, |
270 |
slegò quindi le grandi pietre che aveva ai piedi, e
così il mare lo fece risalire fino alla sponda.
Gilgamesh
parlò a lui, ad Urshanabi il
battelliere: "Urshanabi,
questa pianta è la pianta dell'irrequietezza; grazie ad essa l'uomo
ottiene la vita. |
275 |
Voglio portarla ad Uruk, e voglio
darla da mangiare ai vecchi e così provare la pianta. Il suo nome
sarà: "Un uomo vecchio si trasforma in uomo nella sua piena virilità".
Anch'io voglio mangiare la pianta e così ritornerò giovane".
Dopo venti leghe essi fecero uno spuntino; dopo trenta leghe essi si
fermarono per la notte; |
280 |
Gilgamesh
vide un pozzo le cui acque erano fresche, si tuffò in esse e si lavò;
ma un serpente annusò la fragranza della pianta, si avvicinò
silenziosamente e prese la pianta; nel momento in cui esso la toccò,
perse la sua vecchia pelle. |
285 |
Gilgamesh
quel giorno sedette e pianse, le lacrime scorrevano sulle sue guance.
Egli allora parlò ad Urshanabi il
battelliere: "O Urshanabi,
per che cosa si sono affaticate le mie braccia? Per quale scopo è
scorso il sangue nelle mie vene? |
290 |
Non sono stato capace di ottenere alcunché di buono per me
stesso!
Io ho fatto del bene persino al leone della steppa, ed ora l'onda si
è già allontanata di venti leghe.
Nell'aprire il foro ho lasciato cadere dentro gli arnesi di
lavoro; cosa potrei trovare ora da porre al mio fianco? Io
voglio abbandonare la ricerca! Avessi lasciato la nave ai suoi
ormeggi!".
|
295 |
Dopo venti leghe essi fecero uno spuntino; dopo
trenta leghe essi si fermarono per la notte; |
300 |
|
Quando essi giunsero ad Uruk,
l'ovile, Gilgamesh
così parlò a lui, ad Urshanabi:
"Sali, o Urshanabi,
sulle mura di Uruk!
Percorrile! ispeziona le fondamenta, scrutane i mattoni: non è forse
vero che sono davvero mattoni cotti? |
|
Non sono stati i Sette Saggi
a porre le sue fondamenta?
Un miglio quadrato è la città, un miglio quadrato sono i suoi orti,
e così pure le sue cisterne oltre alle terre del tempio di
Ishtar. Per tre miglia quadrate si estende Uruk senza
contare i suoi terreni agricoli.
Avessi lasciato oggi il pukku nella casa del falegname!". |
305 |
Il contenuto di questa tavola è la celeberrima versione caldea del diluvio
universale. La scoperta di questo documento, più noto come la tavoletta
del diluvio, avvenne intorno al 1870 da parte dell'assiriologo inglese
George Smith che ne diede notizia nel corso di una concitata
assemblea della Società londinese di Archeologica Biblica. La storia del
ritrovamento è talmente ricca di colpi di scena che ho voluto proporla in una sezione dedicata.
Vorrei qui ricordare alcuni punti fondamentali. Questo documento non solo
rivelò al mondo l'esistenza di una letteratura precedente a quella greca e
biblica, ma addirittura confermò narrazioni contenute nell'Antico
Testamento. La sua scoperta pertanto diede un fortissimo impulso agli
studi biblici, alla nascente assiriologia, all'epigrafia ed ovviamente
all'archeologia mediorientale.
La storia di Utnapishtim fu solo la prima di una serie di remote
testimonianze sul diluvio ad emergere dalle sabbie della Mesopotamia. Fra la
fine dell'800 e l'inizio del '900, nuovi scavi portarono alla luce la versione
babilonese (mito di Atramkhasis, 1700 a.C.) e quella sumerica
(mito di Ziusudra, ca. 2000 a.C.). E' anzi probabile che la
tavoletta del diluvio, sia direttamente ispirata a questi precedenti.
In effetti l’Epopea di Gilgamesh ha dietro di sé una
lunghissima storia letteraria. Per esempio, la versione babilonese dell'epopea,
detta poema di Gilgamesh, non contiene il racconto del diluvio.
Questo è stato aggiunto dagli scribi assiri che, nella biblioteca di Ninive,
potevano direttamente consultare un patrimonio letterario vecchio di secoli.
Molti ritengono che la versione del diluvio contenuta nella tavola XI
dell'epopea sia un'interpolazione dell'episodio centrale
dell'Atramkhasis (=grande saggio), dove il diluvio è solo
l'ultima di una serie di calamità decisa dagli dei per punire il genere
umano.
Secondo questo mito, le calamità furono provocate per ridurre al silenzio gli
uomini che col loro lavoro disturbavano il riposo degli Anunnaki. Un motivo in
apparenza fra i più ottusi, dato che gli uomini, è vero, erano rumorosi ma
perché producevano il fabbisogno degli dei. Eliminando gli uomini, gli dei
finivano col bruciare la loro stessa fonte di sostentamento. E' per questo che
recenti interpretazioni hanno cominciato a vedere nella "rumorosità" una
metafora dell'ingegno umano. L'uomo, attraverso il miglioramento delle
condizioni di vita e l'accrescimento del sapere, si rendeva indipendente
dall'elemento divino.
L'Atramkhasis non è "solo" il diluvio. Il bel mito racconta delle origini del
mondo divino, diviso tra Anunnaki (gli aristocratici) e
Igigi (la servitù) e della creazione dell'uomo per sollevare
gli Igigi dalla fatica del lavoro. Una lettura dell'Atramkhasis, o almeno dei
circa 800 versi giunti sino a noi, è possibile in Bot 1992, pp. 559-639 e
in Bot 1996,
p.117.
Vale la pena osservare che a causa di una svista degli scribi di Ninive,
Atramkhasis fa un cameo nella tavoletta del diluvio (avete capito dove?).
L'episodio della teofania di Utnapishtim è infilato in modo posticcio
nell'epopea rinunciando, quanto volutamente non ci è dato sapere, a dettagli che
ci aiuterebbero nella sua comprensione. Gli illustri antecedenti (>>>
commento) aiutano a
chiarire la situazione. Cominciamo con la versione sumerica (sec. XVIII
a.C.):
In quel tempo Ziusudra, il re, l'unto costruì
un riparo rotondo. In umiltà, fervida preghiera, timore stando ogni giorno
costantemente... ogni giorno gli appariva la parola... ... gli dei al
muro... Ziusudra stando sul fianco alscoltò: «Stai
presso il muro, a sinistra! Che io dica la parola presso il muro, la parola
mia ricevi L'orecchio tuo alla mia purificazione» (riportato in Bot 1992 pp.
602-603).
Nel Grande Saggio paleobabilonese apprendiamo altri
particolari dello stratagemma di Enki:
Atramkhasis aprì la sua bocca e disse al suo
signore: «Informami sul contenuto del sogno, ...che io
veda la sua conseguenza». Ea aprì la sua bocca e disse al
suo servo: «Tu dici: "che cosa devo vedere". Il messaggio che ti dico
custodiscilo! Muro, ascoltami! Canniccio, custodisci tutte le mie
parole! Distruggi la casa, costruisci una nave! Odia i beni! Conserva
la vita!» (riportato in Sap 1996 pp.
64-65).
Risulta chiaro dall'unione insiemistica delle tre versioni che
Enki (qui chiamato col nome accadico Ea) ricorre ad un ingenuo
stratagemma per non violare il patto stipulato con gli altri
Anunnaki. Egli non avverte direttamente Utnapishtim ma parla al
muro di canne mescolate a terra della sua casa. Secondo una logica spicciola,
Enki non avrebbe dunque la responsabilità che il mortale nascosto dietro al muro
possa far tesoro delle informazioni divine! Rimane un mistero come potrebbe mai
un canniccio pensare di salvarsi costruendosi una nave!
Più tardi la faccia tosta di Enki in relazione all'episodio sarà senza limiti
(vv. 187-188):
Per quanto mi riguarda io non ho tradito il segreto dei grandi
dèi! Ho fatto avere soltanto un sogno all'uomo saggio per eccellenza!
Il regalo di commiato proposto da Utnapishtim a Gilgamesh è la pianta
dell'irrequietezza. Questo oggetto appare frequentemente nell'epica
mesopotamica in varianti destinate a prolungare l'esistenza direttamente
(immortalità o gloria), indirettamente (discendenza) o ciclicamente (seconda
giovinezza).
La pianta raccolta dagli abissi da Gilgamesh rientra nella terza tipologia.
Per molti studiosi questa pianta sarebbe una trasfigurazione delle perle della
specie Pinctada che gli antichi, dalla preistoria al Medioevo,
consideravano simbolo di immortalità (p. 63 Archeo n. 218, 2003).
Nella versione elamita della saga, è raccontato che questa
pianta garantisce fertilità e discendenza. Nella stessa accezione diviene
oggetto di ricerca da parte di Etana. Secondo
il mito, il re di Kish volerebbe fino in cielo, aggrappato a un'aquila, alla
ricerca della pianta che gli possa garantire una
discendenza.
Il problema assilla anche il re ugaritico Keret dal cui mito
sono tratti questi bellissimi versi rivolti al padre degli dei dell'antica
Siria:
«Che me ne faccio dell'argento, degli ori con i loro
piedistalli, degli schiavi, dei bronzi, dei cavalli, dei carri, delle scuderie,
dei servitori? Concedimi El di poter procreare figli e avere
una discendenza!» (da Sap 1996 pp.
109-110).
In un altro mito, al sacerdote Adapa (uno dei Sette
Saggi) vengono offerti il pane e l'acqua della
vita dal dio An in persona. Ma Adapa, istruito da
Enki, rifiuta il dono divino:
«Avanti, saggio Adapa, perché non mangi e non bevi? Non vuoi
vivere? Non sognano forse tutti gli uomini di diventare immortali» «Enki il
mio signore mi ha detto: non dovrai mangiare ne bere» An riflettè: «Ebbene se
non posso donarti la vita decreterò per te un altro destino: tu sei un mortale
Adapa, ma la tua fama vivrà per sempre!» (da Pon 2000 p. 129)
I II
III IV
V VI
VII VIII
IX X
XI XII
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