STORIA DEL POPOLO EBRAICO


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L'Esodo. L'arrivo di Mosè

Schiavi tenuti sotto controllo (Pittura murale di Tebe)
Schiavi tenuti sotto controllo (Pittura murale di Tebe)

Il libro dell'Esodo comincia con il racconto degli ebrei ridotti in schiavitù dagli egiziani e disprezzati dal faraone, anche se nella Genesi appare chiaro che la stessa sorte era capitata a tutto il resto della popolazione. Iniziando da questa condizione servile il narratore innesta la ribellione che farà fuggire gli ebrei per ritornare in Palestina.

Figura centrale di questo momento fu Mosè, un personaggio la cui identità viene raccontata adducendo particolari subdoli, come il fatto che il bambino sia abbandonato nelle acque ma arrivi proprio in mano alla figlia del faraone e che questa riesca a crescerlo senza che il re, che aveva imposto l'uccisione dei neonati maschi, [1] la riprenda in qualche modo. Questo può far pensare ad una costruzione tendente a nascondere una verità di fondo, che si trova tra le seguenti ipotesi, supponendo che Mosè sia stato:

Il fatto che Mosè sia così libero di frequentare il faraone e vi siano nella narrazione incongruenze nei fatti riportati fa più propendere per la seconda possibilità (anche perché tanto Mosè che suo fratello Aronne portano nomi egiziani).

Che non possa essere stato un ebreo ce lo testimonia anche il fatto che prende in sposa la figlia di un sacerdote egiziano, contravvenendo quindi alla regola principale che Mosè sembra dare, proprio lui che fondamentalmente sarà il principale artefice della nuova religione ebrea; cioè quella che vietava di congiungersi con gente straniera.

Anche non volendo accettare questa ipotesi, dobbiamo comunque ammettere che, per il ruolo che svolge Mosè di fronte agli ebrei, ai sacerdoti e alla gerarchia egiziana, egli sia stato un personaggio altamente influente, appartenente ad una classe agiata e non un pastore qualsiasi. Probabilmente non un oratore, se si avvale di Aronne come aiutante (Gn 4,10-16).

E' comunque con lui che prendono forza le recriminazioni degli ebrei di fronte all'aumento delle fatiche imposte dal faraone (Es 5,6-10): sforzi crescenti che aumentano il carico lavorativo degli "scribi dei figli d'Israele" che cominciano a ribellarsi contestando addirittura l'operato di Mosè presso il faraone (Es 5, 10-21).

Della piramide sociale non sono quindi i ceti più umili a sollevarsi spontaneamente contro le imposizioni regali, essendo per natura senza voce in capitolo e abituati ai sacrifici, quanto le classi più benestanti che vedono calare il loro benessere. E sono queste che alimentano la rivolta.

A questo punto il narratore si avvale di una serie di artifizi narrativi per celare la rivolta sociale, evento verosimile, alla base dei racconti seguenti. Scatena così le tremende "piaghe" che si abbattono sugli egiziani e rivela in Mosè insospettati poteri, all'apparenza sovrumani. Anche gli esegeti moderni ridimensionano queste narrazioni al loro valore di mere invenzioni o reinterpretazioni dei probabili fatti secondo "la cultura popolare". [2]

Noi possiamo considerare questa fantasia come tipica dell'epoca notando le contraddizioni del racconto, in cui gli stessi atti "miracolosi" vengono parimenti ripetuti dai maghi egiziani (Es 7:11,22; 8:3,14), nelle esagerazioni in cui sembra che tutto venga distrutto dalle piaghe salvo poi ritrovarlo da un'altra parte (cfr. Gn 9,6 con Gn 9,19-21) e nel sadismo della divinità che ogni volta "indurisce" il cuore di un faraone pronto ad assecondare il suo interlocutore.

Sotto l'enfasi della narrazione intravediamo invece le intenzioni di una popolazione che probabilmente voleva salvaguardare il proprio benessere di fronte alla continua usurpazione di questo da parte del potere al vertice della piramide sociale. O di una classe sociale che ambiva a salire nella stessa piramide, ricorrendo a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio fine.

Il narratore invece spiega i fatti come un intervento divino nelle vicende umane, compreso il massacro dei primogeniti egiziani, utilizzando una discutibile visione di un Dio sanguinario che se la prende addirittura con gli innocenti animali per perpetrare la sua vendetta, così assetato e reso cieco dall'odio da aver bisogno di un segnale preciso per poter trovare le proprie vittime (un segno rosso sugli stipiti delle porte!).

Il narratore insiste a non spiegare gli eventi come una ribellione del popolo ebreo contro quello egiziano, addirittura facendo apparire la spoliazione dei beni di quest'ultimo da parte dei rivoltosi come una benevola concessione di oggetti preziosi d'ogni genere (Es 3:21-22; 11,2; 12:35-36).

Per poter ricondurre su un piano ragionevole la lettura di questi passi, dobbiamo tralasciare molti particolari che brillano di una raccapricciante immaginazione e riflettere sulla narrazione riconsiderando i fatti alla luce delle schematizzazioni sociali conosciute, come faremo nel prossimo capitolo.


[1] L'uccisione dei figli maschi, la successiva fuga di Mosè perché braccato per i suoi atti fa pensare all'Erode del Nuovo Testamento e a Giuseppe che per sfuggirgli ripara in Egitto (!). (torna su)

[2] Si legga i commenti inseriti nella versione della Bibbia citata come [Bibbia1]. (torna su)


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La parte relativa a questa storia del popolo ebraico è stata presa dalla sezione di storia, che ora può essere trovata in questo libro

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