STORIA ROMANA


Donne e divorzio nell'antica Roma

Secondo Plutarco, Romolo praticamente non permetteva mai alle donne di divorziare, mentre lo permetteva ai mariti in taluni casi: tentato avvelenamento, uso di chiavi false, adulterio. Chi la ripudiava per altri motivi, avrebbe perduto i suoi beni, dei quali la metà sarebbero stati assegnati alla donna e metà al tempio di Cerere.

Quanto a colui che avesse venduto la propria consorte, gli si augurava di finire all'inferno (sic!).

Fin dall'epoca repubblicana la fanciulla poteva uscire a capo scoperto, ma gli uomini potevano divorziare da una donna sposata che non copriva il capo con un velo o con un lembo del mantello: lo fece p.es. Gaio Sulpicio Galba.

Afrodite (scultura ellenistica II-I sec. a.C.)

Anche se partecipava ai giochi del circo poteva essere cacciata e costretta al divorzio (lo racconta Valerio Massimo nelle sue Storie).

Plinio il Vecchio racconta, nella sua Storia naturale, che la moglie di Egnazio Metenno fu uccisa a frustate dal marito semplicemente perché aveva bevuto del vino dalla botte, mentre un'altra fu lasciata morire di fame perché aveva forzato la cassetta ove erano le chiavi della cantina. La legge non puniva questo tipo di omicidi. Di regola un marito che sorprendeva la donna a bere, la cacciava di casa tenendosi la dote ricevuta all'atto del matrimonio.

Il ripudio, che sotto il tardo impero cristiano verrà ammesso solo nei casi di adulterio, omicidio, maleficio e avvelenamento del coniuge, in tutta l'epoca classica era invece possibile in ogni momento. Bastava recapitare al coniuge un biglietto con su scritto tuas res tibi habeto ("riprenditi quello che è tuo") ed è tutto finito.

Se il divorzio era la possibilità di sciogliere il matrimonio per potersi risposare, il ripudio invece poteva avvenire per ragioni molto meno gravi, che passavano sotto la vaga formula di "comportamento perverso e disgustoso". Lo Stato cercherà tuttavia, col tempo, di porre un freno minacciando la perdita dei beni.

Le seconde nozze comunque non incontrano, in epoca repubblicana, il favore dell'opinione pubblica e sulle epigrafi sepolcrali si legge per lungo tempo il titolo di onore di univira, donna che ha avuto un solo marito, ad evidenziare una vera virtù femminile.

In epoca imperiale le cose cambiano notevolmente. Se viene a mancare uno soltanto di questi due elementi: la materiale convivenza degli sposi e l'affectio maritalis, il reciproco consenso a considerarsi marito e moglie, che compare accanto alla semplice traditio da una famiglia all'altra, il matrimonio si scioglie, specie se vi è la cessazione della volontà di convivere da parte di entrambi i coniugi. Le pene pecuniarie introdotte dal regime augusteo per arginare il fenomeno del "divorzio facile" servirono a ben poco.

Il fatto che in epoca imperiale fosse diventato più facile divorziare non incentivava affatto i matrimoni, anzi aumentava i motivi per non sposarsi e per non avere figli.

Augusto consentì addirittura a tutti i romani di famiglia non senatoria di sposare le liberte, e i matrimoni de facto dei soldati vennero legalizzati e ai loro figli concessi i diritti civili.

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Enrico Galavotti

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014