STORIA ROMANA


Donne e matrimonio nell'antica Roma

Paquio Proculo e consorte (da Pompei, I sec. d. C., Museo Nazionale di Napoli)

A differenza che nell'antico Egitto, nella Roma arcaica una figlia, ancora giovanissima (puella, che è diminutivo di puera, ragazza), poteva essere promessa in sposa o fidanzata (sponsalia) a un giovane anche contro la propria volontà e questo rito era giuridicamente valido; consisteva in un vero e proprio impegno, perseguibile in caso di inadempimento, che vincolava la donna ad una sorta di fedeltà pre-matrimoniale nei confronti del futuro sposo. Il matrimonio si perfezionava con il trasferimento della donna dalla famiglia paterna a quella del marito.

Il fidanzato consegnava alla ragazza un pegno per garantire l'adempimento della sua promessa di matrimonio, un anello che lei si metteva all'anulare della mano sinistra. Sembra che tra il dono e quel dito esista una certa relazione. Aulo Gellio afferma che anatomicamente questo è l'unico dito a presentare un sottilissimo nervo che lo collega direttamente con il cuore.

I matrimoni insomma venivano decisi dai parenti dei due giovani e i motivi erano sempre di natura economica. Questo soprattutto in età repubblicana.

La forma più completa del matrimonio è quella detta perconfarreationem, dal panis farreus, un pane preparato con l’antico cereale, il farro, che viene mangiato dagli sposi, appena entrati nella nuova casa. Accanto a questo rito di matrimonio, sempre seguito dal patriziato, si hanno altre due forme meno solenni: la coemptio, una vendita simbolica con la quale il padre cede la figlia allo sposo mediante un compenso pecuniario, e l’usus, una specie di sanatoria di una condizione di fatto, per cui diventa moglie la donna che abbia abitato con un uomo per un anno intero senza interruzione di tre notti consecutive. Con questi due ultimi modi si raggiungono le iustae nuptiae, dando al marito quel diritto di protezione e di tutela, ma spesso non di padronanza assoluta, che si dice manus.

Una donna romana può essere ceduta dal padre al marito già a 12 anni, laddove i greci non mandano spose le loro fanciulle se non tra i 16 e i 18 anni. In ogni caso troviamo iscrizioni funerarie che citano fanciulle sposate a 10 ed 11 anni. E' chiaro che il matrimonio tra i Romani era pienamente valido anche se non consumato.

Poiché la donna dipendeva totalmente dal padre e dal marito e poiché si mirava all’indissolubilità del vincolo matrimoniale, l'assenza di un vero amore reciproco non rendeva l'istituto del matrimonio meno stabile.

D'altra parte i romani si sposavano soprattutto per garantirsi una discendenza, mentre sul piano della sessualità avevano atteggiamenti piuttosto liberi, almeno da parte degli uomini (la cosa sarà reciproca solo in epoca imperiale).

Al matrimonio comunque la donna pensa come a qualcosa che cambierà la sua vita, anche se nel periodo più antico si tratta semplicemente di passare dal dominio del padre alla potestà del marito.

Nella formula più arcaica l'uomo chiede alla donna "se vuole essere la sua mater familias", cioè "moglie". E' interessante notare che l'avvenimento che fa accedere una donna al rango di mater familias non è il parto, ma appunto il matrimonio.

In tutt'altro senso la donna indirizza al futuro sposo la domanda "e tu vuoi essere il mio pater familias?" Con ciò desidera che l'uomo diventi per lei, anche giuridicamente, un nuovo padre, alla cui potestà lei coi suoi figli vuole sottomettersi loco filiae, come una figlia, il che la proteggerà finanziariamente. Ma può accadere che il marito sia ancora un filius familias, poiché la patria potestà paterna non cessa, ma dura finché il padre è in vita. In questo caso la donna che entra nella famiglia del marito è sottoposta alla potestà del suocero.

In ogni caso il pater familias, marito o suocero, ha su di lei un potere, manus, che per un'antica legge dei tempi di Romolo comporta almeno in due casi un diritto di vita o di morte: quando la moglie è sorpresa in flagrante adulterio e quando si scopre che ha bevuto vino. 

Le lodi rivolte alle donne, nelle epigrafi, raramente riguardano la donna in se stessa; le sue virtù sono quelle che le hanno permesso di servire ed amare il marito, i figli e di accudire la casa. Non c'è dovere di reciprocità nell'amore, non c'è obbligo alla reciproca fedeltà coniugale.

In famiglia la moglie sta vicino al marito in ogni occasione, pur essendone subordinata (p.es. è a cena nei banchetti e nei ricevimenti). Valerio Massimo ci dice che "feminae, cum viris cubantibus, sedentes cenitabant", le donne cenavano stando sedute, mentre gli uomini erano sdraiati.

La decimazione bellica degli uomini, causata dalle guerre puniche e dalle guerre civili, squilibra il rapporto numerico tra i due sessi. L'iniziativa per la celebrazione delle nozze non viene assunta dal futuro marito, ma più di frequente dal padre della donna. E' questi in definitiva che acquista alla figlia un marito, offrendogli una congrua dote da amministrare. La nuova usanza attecchisce bene, ma stravolge completamente l'antico ordine familiare basato sull'indiscussa potestas maritale.

Anche dopo sposata la donna continua ad appartenere alla famiglia paterna, resta cioè sotto la potestas di suo padre. Alla base di questo nuovo tipo di matrimonio (detto sine manu, senza potere maritale) ci sono solo due condizioni: la materiale convivenza degli sposi e l'affectio maritalis, il reciproco consenso a considerarsi marito e moglie, che compare accanto alla semplice traditio da una famiglia all'altra.

Nel 18 a.C., per far fronte al crollo delle nascite e ai divorzi facili, Ottaviano presenta la famosa Lex Iulia de maritandis ordinibus, diretta a ricostruire la società secondo i più rigidi principi morali. Infatti la legge sanciva l’obbligo al matrimonio, vietava l’unione dei senatori con liberte (schiave affrancate) e prevedeva una serie di misure allo scopo di aumentare il tasso demografico: si stabilivano premi per i cittadini con famiglie numerose e pene pecuniarie per i celibi e i coniugi senza figli. I celibi restavano esclusi da vari diritti.

Il decreto assegna inoltre un termine agli eterni fidanzamenti e stabilisce severe sanzioni per quei furbi che con continue rotture di fidanzamento eludono le leggi fiscali a carico degli scapoli, emanate per fronteggiare il preoccupante fenomeno della diminuzione delle nascite. Sarà forse un effetto delle leggi augustee, ma sta di fatto che prima del cristianesimo sono rarissime le testimonianze di donne rimaste nubili.

Le donne, in particolare, dovevano dimostrare d'aver voluto almeno tre figli, nel qual caso ricevevano parità di diritti con gli uomini. Ottaviano promulgò, inoltre, la Lex Iulia de pudicitia et de coercendis adulteriis, che riguardava il libertinaggio ed il lusso licenzioso. Contro gli adulteri e le adultere erano sancite gravissime pene economiche. Alla base vi era la volontà di rinsaldare l’istituto familiare e la società uscita disfatta dalle guerre civili.

Dopo Augusto le mezzane, le prostitute e le attrici vengono private di vari diritti legali.

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Enrico Galavotti

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014