STORIA DELLA SPAGNA - Il declino


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Sotto il periodo di Filippo III (1598-1621) e di Filippo IV (1621-65) la monarchia spagnola si affidò completamente, nella gestione degli affari di stato, a corrotti funzionari, come p.es. Lerma e Olivares. In generale la burocrazia statale era inetta non solo perché del tutto incompetente in materia di politica economica, ma anche perché non c'era carica pubblica che non fosse in vendita. Una volta comprata la carica diventava giocoforza considerare l'erario statale una forma di proprietà personale.

L'economia era in pieno sfacelo, incapace di sostenere la concorrenza dei prodotti francesi, italiani e fiamminghi. Nel 1608 i vagabondi erano arrivati a circa 150.000 unità, poi vi erano i mendicanti di professione, i briganti e infine gli emigranti, in massa, verso le Americhe. Alla fine del sec. XVII la popolazione si era ridotta a sei milioni di abitanti.

Invincibile Armada

Nel 1609 l'ennesimo editto di espulsione contro gli ultimi 500.000 moriscos veniva emanato solo allo scopo di riempire le vuote casse dello Stato. Il clero cattolico ne approfittò, arrivando a impadronirsi fino a 1/4 di tutto il territorio spagnolo.

L'aristocrazia terriera e militare, grande e piccola, era convinta di poter continuare a vivere di rendita e nel lusso, senza preoccupazioni di sorta, senza svolgere alcuna attività produttiva che non fosse l'allevamento degli ovini negli immensi latifondi, che però contribuiva a mandare in rovina i contadini, che ovviamente non potevano far parte del cartello della Mesta. Persino la tratta degli schiavi venne lasciata nelle mani di appaltatori stranieri.

Non mancavano ovviamente le rivolte popolari. Quella del 1632 in Biscaglia, contro il tentativo del governo centrale di introdurre nella provincia il monopolio del sale per farne aumentare il prezzo. Alla fine il governo dovette rinunciare al suo proposito, ma i capi degli insorti furono tutti giustiziati.

In Catalogna il movimento di protesta iniziò a svilupparsi nel biennio 1620-21, per concludersi intorno agli anni 1652-53. Si partì contro i vescovi di Gerona, che avevano rifiutato ai contadini il riscatto delle prestazioni relative allo stato di dipendenza feudale, e si proseguì rivendicando un'autonomia regionale contro l'assolutismo monarchico, che pretendeva il reclutamento dei catalani nelle truppe che combattevano contro i francesi.

I soldati spagnoli si erano insediati in Catalogna comportandosi come se fosse un paese conquistato. Si era arrivati a un punto tale di rottura che sia i nobili locali che gli strati urbani e rurali chiesero che la loro regione passasse sotto la Francia, il cui re, Luigi XIII, al sentire questo, non ci pensò due volte a farsi proclamare conte di Barcellona e a occupare parte della regione.

La guerra fu inevitabile e, pur essendosi arresa a Filippo IV, Barcellona ottenne la conferma della propria autonomia.

Nello stesso tempo la monarchia cercò di eliminare ogni autonomia del Portogallo, già annesso da Filippo II. All'inizio prese a distribuire le più significative cariche politico-amministrative a funzionari iberici, poi cominciò a imporre forti tasse, in particolare un'imposta diretta su tutti i beni mobili e immobili.

La rivolta dei nobili lusitani, capeggiati dall'arcivescovo di Lisbona, scoppiò negli anni 1637-40. Gli spagnoli, impegnati in Catalogna, non ebbero la possibilità d'intervenire con decisione, sicché nel 1668 furono costretti a riconoscere l'indipendenza del paese, che cominciò a essere governato dal monarca Giovanni IV, esponente di una vecchia dinastia lusitana.

Nonostante lo sfascio completo dell'economia e delle finanze, o forse proprio per questo, i successori di Filippo II continuarono a condurre una politica estera aggressiva e reazionaria.

Nel 1601 fu spedita una flotta di 50 navi per conquistare alcuni capisaldi del litorale inglese, col pretesto di aiutare i cattolici irlandesi insorti contro l'Inghilterra colonialista. Fu un'operazione disastrosa.

A nulla portarono i tentativi d'impedire che i corsari olandesi e inglesi depredassero i galeoni spagnoli del loro carico d'oro e d'argento proveniente dalle Americhe. Anzi nel 1609 il governo spagnolo fu costretto a riconoscere formalmente l'Olanda come entità politica autonoma.

Nel 1618 la corona decise di far scoppiare un'assurda guerra, durata 30 anni, in cui si voleva di nuovo imporre a tutta Europa l'egemonia asburgica di Spagna e Austria.

Francia, Olanda, Danimarca, Svezia e i principi protestanti tedeschi si coalizzarono e, nonostante gli spagnoli ottenessero molte vittorie militari, alla fine ebbero la meglio. Con la pace di Westfalia e con quella dei Pirenei del 1659 gli spagnoli furono costretti a riconoscere la piena indipendenza all'Olanda e a cedere alla Francia il Rossiglione, l'Artois, una serie di fortezze nelle Fiandre e una parte del Lussemburgo.

Ormai il ruolo di superpotenza della Spagna era passato nelle mani nella Francia. L'esercito spagnolo, che in tempo di guerra contava non più di 15-20 mila soldati, si era ridotto, in tempo di pace, a 8-9 mila unità. Ci si stava sempre più rendendo conto in Europa che forse era giunto il momento per suddividersi l'immenso impero spagnolo.

L'ultimo re asburgo di Spagna, Carlo II (1665-1700) non aveva eredi. La prevista estinzione, con la sua morte, della dinastia diede inizio a trattative sui diritti di successione, complicati dal fatto che gli Asburgo avevano puntato molto nel passato sulla politica matrimoniale.

Luigi XIV, re di Francia, e l'imperatore Leopoldo I avevano sposato le sorelle di Carlo II e contavano di tramandare la corona spagnola ai loro discendenti.

In particolare, la Francia, essendo in ascesa, avrebbe voluto impadronirsi dei domini spagnoli per fare in Europa quello che la stessa Spagna, cattolica e feudale, non era riuscita a fare. Sicché Olanda, Inghilterra e Austria si opposero ai suoi progetti.

Carlo II, nel timore che tutti i possedimenti spagnoli venissero divisi tra più nazioni rivali, decise di concedere la corona a un principe francese, il duca d'Angiò, secondo nipote di Luigi XIV, a condizione che Spagna e Francia non sarebbero mai state riunite sotto il potere di un unico monarca. Il duca d'Angiò prese il nome di Filippo V (1700-46), inaugurando in Spagna la dinastia dei Borbone e una politica filofrancese, almeno fino al 1789.

Tuttavia Luigi XIV, riconoscendo a Filippo i diritti al trono di Francia, prese ad occupare parte dei Paesi Bassi spagnoli, chiedendo ai governatori spagnoli locali di sottomettersi a lui come se l'ordine fosse stato emanato dallo stesso Filippo.

Subito dopo si abolirono le tariffe commerciali tra i due paesi e si revocarono i privilegi dei mercanti inglesi e olandesi in tutti i possedimenti spagnoli.

Olanda e Inghilterra non poterono che reagire e presero ad allearsi con l'Austria, che voleva impadronirsi dei territori spagnoli in Italia, nei Paesi Bassi e in Alsazia. Alla coalizione antifrancese si aggiunse anche la Prussia.

Le ostilità militari della guerra di Secessione iniziarono nel 1701 e proseguirono fino al 1713, anno in cui, con la pace di Utrecht, Inghilterra e Olanda acconsentirono a riconoscere Filippo V di Spagna, a condizione ch'egli rinunciasse per sé e per i suoi discendenti a tutti i diritti sul trono francese. (1)

A favore degli austriaci la Spagna dovette inoltre rinunciare alla Lombardia, al regno di Napoli e alla Sardegna; dovette cedere la Sicilia al duca di Savoia (Filippo V si era imparentato con il duca di Savoia, sposandone la figlia Maria Gabriella, che morì nel 1714, e in seconde nozze aveva sposato Elisabetta Farnese, erede del ducato di Parma e Piacenza), la Gheldria alla Prussia, e Gibilterra e Minorca agli inglesi. La situazione coloniale anacronistica di Gibilterra è l'unica disputa esistente ancora oggi tra Spagna e Regno Unito. (2)

Tuttavia, la situazione economica della Spagna non migliorò sensibilmente con l'arrivo del sovrano francese. Alla fine del XVIII secolo i 3/4 della terra coltivabile appartenevano a nobiltà e clero, i quali, avendo enormi latifondi usati a pascolo, non avevano interesse a sfruttarli in maniera intensiva. I braccianti senza terra erano la metà di tutti i contadini, che a loro volta superavano di sei volte i lavoratori impiegati nei settori artigianali e industriali.

Secondo un censimento del 1797 su una popolazione agraria (contadini + nobili) di 1.667.000 unità, ben 805.000 erano giornalieri che lavoravano solo per 4-5 mesi l'anno, per di più con mezzi agricoli molto primitivi, in quanto l'antico sistema d'irrigazione era stato abbandonato, nella maggior parte delle regioni, dopo la cacciata dei mori.

Il servaggio era ancora molto diffuso e anche i contadini affittuari non se la passavano meglio, dovendo versare al signore da 1/4 a 1/2 di tutto il loro raccolto (la circolazione della moneta era scarsissima). La regione più prospera in campo agricolo era quella basca.

L'industria, che non poteva fruire neppure di un mercato nazionale, praticamente coincideva con l'artigianato per i bisogni locali.

Si esportavano la lana, alcune merci coloniali e i metalli preziosi, ma la bilancia commerciale restava fortemente passiva. Nel 1789 l'import superava l'export di quasi 2,5 volte. D'altra parte si dovevano persino importare cereali per far fronte alle carestie e alla fame di buona parte della popolazione.

Solo in Catalogna si sviluppava l'industria cotoniera, ostacolato però dal monopolio della Mesta, mentre nelle Asturie aumentava l'estrazione del carbone. Alla fine del XVIII secolo gli operai nelle fabbriche e manifatture centralizzate superavano appena le 100.000 unità.

Si badi, la Spagna non era povera perché non capitalistica come Olanda, Francia e Inghilterra, ma perché esistevano profonde ingiustizie socioeconomiche nell'ambito agrario. E' evidente che, mancando una soluzione democratica di tipo agrario, gli economisti borghesi dell'epoca non potevano vedere che in una transizione al capitalismo la via per far uscire il paese dal suo progressivo declino. E come loro ancora oggi la pensano tutti gli storici europei.


(1) Durante la guerra di Secessione le regioni di Aragona, Valenza e Catalogna si schierarono dalla parte dell'arciduca austriaco. Finita la guerra, la repressione in queste zone fu durissima, tanto che il governo cercò di far scomparire ogni forma di autonomia. Solo i baschi poterono conservare intatte le loro antiche libertà. Ciononostante il governo non riuscì a realizzare l'unità nazionale delle leggi, dei pesi e delle misure, della moneta e delle tasse. (torna su)

(2) Lo stretto di Gibilterra rientra oggi nella categoria degli stretti internazionali ove vige il regime del passaggio in transito che prevede il diritto di navigazione e di sorvolo per tutti gli Stati.
Tale regime di libertà di transito è stato sancito dalla Dichiarazione di Londra del 1904 tra Gran Bretagna e Francia (cui aderì nello stesso anno la Spagna) che ha per oggetto la smilitarizzazione della costa marocchina dello stretto.
Lo stretto prende il nome dalla rocca di Gibilterra che è ancora possedimento della Corona Britannica dopo essere stato occupato militarmente dalla Gran Bretagna nel 1704 ed acquisito giuridicamente al termine della guerra di successione spagnola, con il Trattato di pace di Utrecht del 1713.
La Spagna, nel firmare la Convenzione di Montego Bay del 1982, ha espresso l'intenzione di regolamentare il regime del transito nello stretto. Il punto di vista spagnolo è stato contestato nel 1985 dagli Stati Uniti i quali hanno messo in risalto il fatto che la pretesa spagnola non è conforme al diritto internazionale, soprattutto per ciò che riguarda la possibilità di porre vincoli al diritto di sorvolo sullo stretto degli aeromobili militari.
Un contenzioso esiste inoltre tra Spagna e Gran Bretagna, sia per quanto riguarda la restituzione del possedimento, sia per la pretesa britannica di attribuire alla propria colonia uno spazio di acque territoriali.
A proposito di questo la Spagna, all'atto della ratifica (1996) della Convenzione del Diritto del Mare del 1982, ha formulato la seguente dichiarazione:
- la propria ratifica non può essere interpretata in nessun modo come riconoscimento di qualsiasi diritto o situazione relativa agli spazi marittimi di Gibilterra che non sono compresi nell'art. 10 del Trattato di Utrecht del 1713 (questo articolo stabilisce che "Gibilterra spetta all'Inghilterra, senza nessuna giurisdizione territoriale e senza comunicazione aperta con la regione attigua, dalla parte di terra");
- il regime di passaggio in transito stabilito nella Parte III della Convenzione del Diritto del Mare del 1982 è compatibile con il diritto dello Stato costiero di stabilire in uno stretto internazionale sue proprie regolamentazioni;
- nell'art. 39 di detta Convenzione la parola "normalmente" (riferita all'obbligo per gli aeromobili di stato in transito sullo stretto di rispettare le Regole dell'Aria emanate dall'ICAO e di tener conto della sicurezza della navigazione) va interpretata come "salvo forza maggiore o pericolo grave". (torna su)


Bibliografia


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015