STORIA DELLA SPAGNA - La liberazione delle colonie


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All'inizio del XIX secolo la maggior parte dei paesi latinoamericani era costituita da colonie di due Stati assolutistico-feudali: Spagna e Portogallo.

La Spagna aveva a disposizione i seguenti Stati: i quattro del vicereame di La Plata, e cioè Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia; il Messico e parte dell'America centrale (Nuova Spagna); i quattro della Nuova Granada, e cioè Colombia, Panama, Venezuela, Equador; il Perù, allora comprendente anche il Cile; le isole di Cuba, Portorico e una parte di Santo Domingo.

Il Portogallo invece possedeva il Brasile, che da solo occupava quasi la metà di tutto il territorio sudamericano.

Henry Morgan, pirata inglese
Mappa

La popolazione delle colonie spagnole ammontava a circa 16 milioni di abitanti, di cui 7,5 indios, 5,3 meticci e 3 milioni di creoli (i bianchi nati nelle colonie, che gli spagnoli ritenevano di "sangue puro" ma che in realtà erano il frutto di incroci tra spagnoli ed altre etnie).

Gli abitanti provenienti dalla madrepatria, che disponevano di tutti i poteri, erano circa 200.000, mentre la popolazione nera nelle colonie spagnole era di circa 700-800.000 unità.

La popolazione brasiliana era di circa 3 milioni di persone, di cui la metà composta di schiavi negri, che quasi sempre venivano utilizzati nelle piantagioni o nelle miniere.

La stragrande maggioranza della popolazione, sia indigena che non, era occupata nell'agricoltura: piantagioni di caffé, canna da zucchero, cacao, tabacco, cotone, indaco..., oppure estraeva metalli pregiati. Pochissimi erano esenti da prestazioni di lavoro coatto e gratuito e chi lavorava in miniera aveva un tasso di mortalità altissimo.

La maggior parte delle terre apparteneva alla corona spagnola, ai latifondisti, laici ed ecclesiastici (quest'ultimi avevano circa 1/3 di tutte le terre, nella Nuova Spagna addirittura la metà). La chiesa possedeva anche delle miniere e svolgeva operazioni monetarie e usuraie; si serviva altresì dell'Inquisizione per reprimere ogni forma di cultura estranea alla propria.

Gli indios lavoravano per i latifondisti o come affittuari senza terra (che pagavano l'affitto tramite delle corvées), oppure lavoravano come discendenti di debitori schiavi (peones). Una parte di questi indios viveva nelle foreste tropicali o sulle montagne, conducendo un'esistenza basata sull'autoconsumo e sull'economia naturale.

I contadini liberi si occupavano in genere dell'allevamento del bestiame (p.es. il gaucho).

Le tasse erano gravose e numerose, anche perché i colonialisti non avevano fatto altro che trasferire nelle Americhe gli ordinamenti feudali dei loro paesi d'origine, con l'aggravante che nei confronti degli indios e dei neri, non essendo questi dei "cristiani", si sentivano autorizzati a comportarsi in qualunque maniera.

Tutte le cariche politiche, amministrative, militari, giudiziarie ed ecclesiastiche appartenevano a spagnoli e portoghesi. Neppure i creoli, salvo eccezioni, potevano beneficiarne.

Solo attraverso Siviglia e più tardi Cadice i mercanti spagnoli potevano fare affari con le colonie: agli stranieri era vietato o comunque vi erano barriere doganali così elevate da rendere impossibile fare affari.

Non solo, ma il governo spagnolo proibiva all'interno delle colonie la produzione delle merci più necessarie o la coltivazione di prodotti che la stessa Spagna avrebbe dovuto esportare nelle Americhe (ulivi, viticoltura, lino ecc.).

Tuttavia, i proprietari terrieri creoli e la nuova borghesia mercantile locale avevano bisogno di esportare i loro prodotti e di ricevere articoli industriali di buona qualità. La madrepatria non era in grado di soddisfare in maniera sufficiente nessuna richiesta.

Le rivolte popolari cominciarono a scoppiare verso la fine del Settecento. Gli indios del Perù, guidati da un capo inca, Tupac Amaru, furono i primi, ma senza successo.

Poi fu la volta degli indios del Venezuela, ma anche qui gli spagnoli ebbero la meglio, poiché i latifondisti creoli temevano che una vittoria indigena o degli schiavi neri avrebbe potuto ritorcersi contro i loro interessi.

In seguito però gli stessi ceti abbienti della popolazione (ad eccezione degli originari della metropoli, che nelle colonie erano dei privilegiati) iniziarono a complottare contro il potere dei colonialisti, approfittando delle idee provenienti dalla rivoluzione francese e dalla guerra di liberazione nordamericana. Non riuscendo tuttavia a coinvolgere una popolazione che volevano continuare a sfruttare, furono sempre troppo deboli per poter aver ragione degli eserciti spagnoli.

Solo sul piano marittimo la monarchia spagnola non era più in grado di difendere le colonie dai tentativi d'inserimento, di contrabbando e di pirateria praticati da inglesi, olandesi, francesi, cui si aggiunsero gli americani.

La vera guerra di liberazione nelle colonie scoppiò dopo l'invasione della Spagna, nel 1808, da parte delle truppe francesi, che misero sul trono Giuseppe Bonaparte, in sostituzione del deposto re Ferdinando VII.

Nello stesso anno giunse in Brasile il vicerè Giovanni, fuggito dal Portogallo dopo la sconfitta contro Napoleone. E qui, sette anni dopo, volle fare del Brasile un regno unito col Portogallo, prendendo il nome di re Giovanni VI, ma vedremo che in nessun paese americano la monarchia avrà fortuna.

Nel 1810 fu liquidato il dominio spagnolo nei grandi centri coloniali di Caracas, Quito, Buenos Aires, Bogotà ecc. e il potere venne assunto da giunte patriottiche.

Tuttavia, finché a guida delle insurrezioni vi erano i creoli, tutto sembrava filare liscio tra le forze americane; quando invece a reagire erano gli stessi indios, che chiedevano la restituzione delle terre rubate, la fine della schiavitù negra, maggiore giustizia e democrazia..., ecco che i creoli si mettevano dalla parte degli spagnoli colonialisti. Così avvenne nel Messico dal 1811 al 1815.

Non a caso il più autorevole uomo politico dell'America spagnola all'inizio della guerra d'indipendenza, il creolo venezuelano Simón Bolìvar (1783-1830), di famiglia aristocratica, capì, dopo i primi insuccessi, che se non fosse stato appoggiato dalle masse contadine, non avrebbe conseguito alcun obiettivo significativo.

In Argentina la situazione degli indigeni era addirittura peggiorata dopo la rivoluzione del 1810. Infatti, mentre la corona spagnola, impadronendosi delle loro terre, aveva riconosciuto almeno teoricamente, il diritto delle comunità indigene all'usufrutto della terra, la legge creola, al contrario, pur considerando gli aborigeni cittadini di uguale diritto, non garantiva loro il diritto di lavorare la terra in loro possesso. L'uguaglianza costituzionale si era trasformata in disuguaglianza sociale ed economica.

Tant'è che già nel giugno 1810 la giunta governativa inviò una spedizione a Salinas Grandes (attuale provincia della Pampa) per verificare la legittimità del possesso delle terre e del bestiame, dando inizio alla campagna di annessione al territorio statale della terra occupata dagli indigeni.

Nel vicereame della Plata si era convinti che la Spagna non sarebbe stata più in grado di reagire, per cui, invece di consolidare la repubblica con l'appoggio delle masse, ci si scontrava sulla diversa configurazione da dare allo Stato, se centralizzato o federato.

Il governo di Buenos Aires voleva estendere il suo potere su tutto il vicereame, ma il Paraguay vi si oppose e proclamò la propria indipendenza.

A questa situazione di forte turbolenza reagì il ricostituito governo di Ferdinando VII, in seguito alla sconfitta napoleonica. E in un primo momento sembrò che soltanto i territori di La Plata fossero in grado di tener testa ai suoi eserciti.

Era tuttavia impossibile pensare di poter tornare a una situazione precedente alla costituzione di Cadice del 1812, anche perché ormai i coloni potevano fruire di ampi appoggi da parte delle forze inglesi e americane. Sicché nel 1817 riprese la lotta contro la madrepatria.

Il primo a muoversi fu Bolivar, che con l'aiuto degli schiavi negri, cui promise la libertà in caso di vittoria, dei contadini, cui promise una giustizia superiore a quella spagnola, e dei volontari stranieri (inglesi, irlandesi, tedeschi, francesi, italiani...), nelle fila del proprio esercito, riuscì a creare la repubblica di Colombia, nella quale entrarono Venezuela, Nuova Granada e Equador.

Il 16 settembre 1810, nella regione di Guanajauto, divampò la grande insurrezione india capeggiata da un umile sacerdote, Miguel Hidalgo y Costilla. Nonostante il fallimento di questo tentativo (Hidalgo venne fucilato nell'agosto 1811), la rivolta riprese con rinnovato vigore tra i peones della Sterra Madre del Sud, sotto la direzione di un altro sacerdote, il meticcio José Maria Morelos. Con la morte di Morelos (catturato e fucilato dagli Spagnoli il 22 dicembre 1815), l'insurrezione fu domata.

Alle aspre repressioni che seguirono sopravvisse un ristretto gruppo di insorti, capeggiati da Guerrero, nella Sierra Madre del Sud. Nel 1821 il generale Iturbide, capo dell'esercito spagnolo in Messico e noto per aver spietatamente represso la rivolta di Hidalgo e Morelos, intavolò trattative con Guerrero per ottenere l'alleanza degli insorti e gettare le basi del futuro Stato messicano.

I grossi proprietari terrieri, laici ed ecclesiastici, spaventatisi dal ripristino nel 1820, in Spagna, della Costituzione del 1812, si separarono dalla madrepatria, sperando così di anticipare, neutralizzandole, le rivendicazioni dei loro stessi contadini.

O'Donojú, ultimo vicerè della Nuova Spagna, il 24 agosto 1821 con il manifesto di Córdoba riconobbe l'indipendenza del Messico. Circa un mese dopo Iturbide entrò trionfalmente nella capitale.

Nascevano gli Stati Uniti del Messico. Iturbide si fece proclamare, con l'appoggio dell'esercito e dei monarchici, imperatore del Messico, col nome di Agustín (1822). Meno di un anno dopo l'impero di Itúrbide venne rovesciato dal pronunciamento del generale Antonio Lopez de Santa Anna, che, con l'appoggio dei liberali, promulgò una nuova costituzione repubblicana (1824). Da tale data il Messico conobbe forse il periodo più tormentato della sua storia; in poco più di trent'anni si succedettero sei diversi regimi (monarchici e repubblicani prima, centralisti e federalisti poi, dittature personali e tentativi di restaurazione spagnola) e 250 insurrezioni.

E in ogni caso, con la nascita dello Stato messicano, sia nella prima Costituzione dello Stato Federale del Messico (1824) sia nella successiva Costituzione Federale del 1857, la "questione indigena" restò essenzialmente ignorata.

Nel 1816 fu proclamata l'indipendenza delle Province unite di La Plata (successivamente denominate Argentina), grazie al condottiero San Martìn. Argentini e cileni liberarono poi il Cile nel 1818, che si pose sotto il governatore O'Higgins.

Dal Cile l'esercito di San Martìn giunse nel 1820 in Perù, riuscendolo a liberare l'anno dopo, anche se la parte settentrionale restava in mano spagnola. Qui infatti dovettero intervenire le truppe di Bolivar, che crearono nel 1824 lo Stato della Bolivia.

Di tutti i suoi enormi possedimenti, alla Spagna non restavano che Cuba e Portorico. Vano fu il suo tentativo di chiedere aiuto alle potenze della Santa Alleanza: vi si oppose sempre l'Inghilterra che, con l'apertura dei mercati coloniali americani, sperava di ricavare grandi vantaggi commerciali.

Peraltro gli Stati Uniti riconobbero subito l'indipendenza di questi nuovi paesi, per la stessa ragione che volevano dominarli con gli scambi economici. Alla fine del 1823 fu lo stesso presidente Monroe che stabilì, con la sua "dottrina", il diritto-dovere del suo paese di difendere tutti gli Stati americani da possibili ingerenze politiche da parte di Stati europei e di vietare altresì la costituzione di nuove colonie da parte di qualsivoglia Stato (la dottrina previde addirittura la possibilità, che poi venne effettivamente esercitata, di impedire la liberazione di paesi come Cuba e Portorico dalla dominazione spagnola senza un preventivo consenso degli Usa).

Ovviamente non si poteva interdire l'Europa dai commerci con l'America latina, ma le si poteva comunque impedire di espandersi come avrebbero voluto fare gli statunitensi. Tant'è che dal 1800 in poi la fama degli statisti nordamericani dipese in un certo senso dalla loro capacità di acquisire sempre nuovi territori: si partì dalla Lousiana (1803), si passò alla Florida (1810-19) e proprio in questo periodo iniziò la conquista delle regioni settentrionali del Messico col pretesto di aiutare il paese nella sua lotta antispagnola.

Quanto al Brasile, i piantatori, nel 1822, si liberarono non solo della madrepatria, ma anche del loro stesso re Giovanni VI, che non era riuscito a fare del paese una potenza commerciale autonoma.

L'Uruguay, occupato nel 1817 dalle truppe di Giovanni VI, si liberò del dominio brasiliano nel 1825 e conquistò l'indipendenza tre anni dopo.

In sostanza dunque i nuovi Stati latinoamericani furono i seguenti: Messico, Bolivia e Colombia (a quest'ultima apparterranno sino al 1830 Venezuela ed Equador), poi Cile, Perù, Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, infine le Province unite dell'America centrale, in seguito suddivise in cinque repubbliche: Guatemala, Honduras, Costarica, Nicaragua e Salvador.

Essendo relativamente esigua la borghesia imprenditoriale e commerciale, i frutti migliori di questi processi d'indipendenza nazionale furono presi dai latifondisti creoli, che riuscirono a commerciare autonomamente i loro prodotti, impedendo una vera e propria trasformazione sociale dei rapporti di sfruttamento esistenti. Cosa che poi segnerà la debolezza politica ed economica di questi Stati di fronte al colosso nordamericano.

Si riuscì in qualche modo a ridimensionare se non addirittura ad abolire le vecchie servitù feudali, in nome della nascita di un mercato capitalistico, ma tutta l'America latina cercherà invano di competere con le nazioni che già da tempo aveva realizzato la rivoluzione culturale borghese-protestantica e quella industriale capitalistica.


Bibliografia

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015