MARX: I GRUNDRISSE 3

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


I GRÜNDRISSE

Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-58)
(Ed. La Nuova Italia, Firenze 1997, vol. I)

Produzione e distribuzione

Parlando di produzione, distribuzione, scambio e consumo, Marx fa delle considerazioni molto importanti. Qui si ha a che fare con uno studioso che si accinge ad esaminare in maniera approfondita (come in Francia non era riuscito a fare) dei testi economici di una certa complessità e in tale esame, lo si vede benissimo, da un lato egli opera delle sintesi concettuali del pensiero degli economisti borghesi, in cui a volte si fatica a capire dove stiano le sue personali interpolazioni, ovvero s'egli stia riassumendo posizioni dominanti tra gli economisti borghesi o quelle che lui condivide maggiormente; dall'altro egli, di tanto in tanto, come suo solito, fa il punto "critico" della situazione, cercando altresì di trovare soluzioni o nuove impostazioni di metodo agli argomenti che gli economisti borghesi hanno trattato in maniera superficiale o incompleta.

E' come assistere allo svolgimento in tempo reale della sua metodologia di lavoro. I Gründrisse sono una sorta di diario personale, in cui un filosofo discepolo e nel contempo critico di Hegel, si accinge a modificare radicalmente (come nessun altro filosofo della Sinistra hegeliana riuscì a fare, se si esclude Engels, che anzi per molti versi anticipò Marx) il suo oggetto di studi e che inevitabilmente è costretto a trattare con un linguaggio filosofico degli argomenti di tipo economico. Si prenda p.es. questa affermazione, che in un certo senso è paradigmatica: "Questa identità di produzione e consumo perviene al principio di Spinoza: determinatio est negatio"(p. 14). Parallelismi del genere, che s'incontrano continuamente negli scritti di Marx, sono semplicemente stupefacenti e indicativi della sua vastissima cultura.

Questo tuttavia, se può sembrare un limite per il lettore che vorrebbe vedere l'economia trattata con linguaggio puramente "economico", senza essere costretto a faticosi sforzi di astrazione, è stato in realtà un grande vantaggio per Marx, poiché gli ha permesso di guardare con occhi completamente diversi -quelli appunto della dialettica hegeliana- cose che gli economisti classici vedevano in maniera più limitata, con gli occhi tipici della dialettica illuministica, in forza della quale l'idea di progresso finiva col deformare la visione obiettiva delle contraddizioni sociali. Bisogna quindi avere molta pazienza nell'esaminare un testo spesso involuto come i Grundrisse e bisogna essere convinti di potervi trovare cose non meno interessanti di quelle contenute nel Capitale.

Ai tempi di Marx l'economia politica borghese continuava a ritenere il capitalismo il migliore sistema sociale di tutti i tempi, al punto che non ce ne sarebbe stato un altro. Questa era anche l'opinione della politica dominante in tutti i paesi capitalistici. Solo il socialismo utopistico aveva messo in crisi queste certezze, ma senza ottenere risultati apprezzabili sul piano pratico. Non deve stupire, in tal senso, la scarsa considerazione in cui si tenevano le teorie di Marx, se si esclude -e ciò stupiva e ammirava lui stesso- la Russia populista.

Marx esordisce a p. 12 dicendo che secondo lui le connessioni poste dagli economisti borghesi relativamente ai concetti di produzione, distribuzione, scambio e consumo sono "superficiali". E a p. 13 fa notare che "gli avversari degli economisti politici" si sono già accorti che non si possono "dissociare barbaramente cose che sono invece connesse". Questi avversari sarebbero i "belletristi socialisti" ma anche alcuni "economisti prosaici", come p.es. Say. Marx qui non fa citazioni, anzi sembra piuttosto evasivo, limitandosi a parlare di avversari "all'interno e all'esterno" del campo degli economisti politici. Il motivo di ciò probabilmente dipende dal fatto ch'egli non sembra nutrire particolare considerazione per questi critici, in quanto afferma ch'essi "o stanno sul loro [dei suddetti economisti] terreno o stanno al di sotto di loro"(ib.).

In sostanza il problema che i critici degli economisti borghesi pongono è relativo al fatto che per quest'ultimi la produzione viene concepita come "troppo esclusivamente fine a se stessa", mentre "la distribuzione avrebbe un'importanza altrettanto grande"(ib.).

Il socialismo utopistico infatti puntava molto sulla "distribuzione", in quanto con questa categoria, che implica dei processi di carattere etico-sociale, si poteva meglio affrontare la questione della democraticità della società borghese.

Insomma il problema che Marx vuole affrontare in questo capitolo è quello di capire in che rapporto stanno produzione e consumo, poiché in astratto (o nelle pubblicazioni degli economisti borghesi) tutto sembra funzionare perfettamente: produzione e consumo praticamente coincidono, in quanto si supportano reciprocamente, in una sorta di mutuo condizionamento, ma in concreto, nella realtà sociale del capitalismo sembra essere la produzione a dettare un ruolo egemonico e lo prova il fatto che tra produzione e consumo "s'interpone la distribuzione che, in base a leggi sociali, determina quale quota della massa dei prodotti spetti al produttore"(p. 19). Infatti sotto il capitalismo "il ritorno del prodotto al soggetto [che lo produce] dipende dalle relazioni in cui questi si trova con altri individui. Egli non se ne impossessa immediatamente"(ib.); sicché in altre parole produzione e consumo non coincidono affatto, in quanto la distribuzione appare sempre squilibrata, iniqua, frutto dell'antagonismo sociale. Marx non si esprime esattamente così, ma non v'è dubbio che il suo pensiero sia questo.

Non stiamo forzando i testi. Si prenda p.es. quest'altro problema, esposto subito dopo da Marx con una frase apparentemente enigmatica: "quando egli [l'operaio] produce nella società, l'appropriazione immediata del prodotto non è il suo scopo"(ib.). Che significato ha questa frase buttata lì? Semplicemente che la finalità della produzione capitalistica è la valorizzazione progressiva del capitale, non la soddisfazione dei bisogni. Marx non ne parla perché dà per scontata la risposta. I Gründrisse sono diari di lavoro, non dimentichiamolo. Già nei Manoscritti del 1844 egli aveva detto che l'operaio non produce affatto per consumare ciò che produce.

A suo parere -e qui veniamo al punto forte di contrasto tra il socialismo scientifico e quello utopistico- il problema non è quello di come intervenire sul versante della distribuzione, al fine di cambiare, in favore dell'operaio, il rapporto tra produzione e consumo, ma è quello di come intervenire direttamente sulla produzione, poiché "il modo determinato in cui si partecipa alla produzione determina le forme particolari della distribuzione, la forma in cui si partecipa alla distribuzione"(p. 20).

Su questo problema di natura economica ovviamente s'innesta quello di natura politica, i cui termini di confronto oggi vengono affrontati con maggiore flessibilità: riforme sociali, in direzione di un mutamento progressivo della distribuzione nell'ambito del sistema capitalistico, o rivoluzione politica, in direzione della conquista del potere per un ribaltamento immediato del modello capitalistico di produzione? Marx propendeva per questa seconda soluzione e il suo radicalismo lo porterà a rompere molto presto con tutto il socialismo utopistico.

Gli economisti borghesi, dal canto loro, erano su questo aspetto ancora più astratti dei socialisti utopisti, poiché nella distribuzione non vedevano neppure i problemi connessi ai conflitti di classe. Marx dice che secondo loro "la distribuzione si presenta come distribuzione dei prodotti e quindi essa è ben lontana dalla produzione e quasi autonoma rispetto ad essa"(p. 21). Gli economisti avevano interesse a mostrare questa diversità, in quanto non volevano che i critici della distribuzione ineguale facessero ricadere sulle forme della produzione i motivi dello scompenso tra produzione e consumo. Per il resto erano tranquillamente disposti ad ammettere che tra produzione e consumo vi fosse identità o reciproco condizionamento, ed erano del tutto indifferenti al fatto che -prosegue Marx- "all'origine, l'individuo non possiede alcun capitale, alcuna proprietà fondiaria. Fin dalla nascita esso è assegnato al lavoro salariato dalla distribuzione sociale"(ib.).

Qui Marx arriva a sostenere che sotto il capitalismo la distribuzione è iniqua e l'identità di produzione e consumo è soltanto teorica, proprio perché il primato della produzione, basato sulla proprietà privata dei mezzi produttivi, rispetto alla distribuzione dei prodotti, è così assoluto che praticamente non ha confronti nella storia dell'economia. Gli esempi, presi dal precapitalismo, sono tutti calzanti: "Un popolo conquistatore divide il paese tra i conquistatori e impone così una determinata ripartizione e forma della proprietà fondiaria: esso determina perciò la produzione [cioè fa dipendere la produzione da una nuova distribuzione della terra]. Oppure trasforma i vinti in schiavi e pone così il lavoro schiavistico alla base della produzione [cioè ridistribuisce le forze umane secondo funzioni diverse e sulla base di questo reimposta la produzione]. Ovvero, mediante una rivoluzione, un popolo fraziona la grande proprietà fondiaria e la riduce in parcelle, dando con questa nuova distribuzione un nuovo carattere alla produzione [è l'esempio della Rivoluzione francese]. Oppure la legislazione perpetua la proprietà fondiaria tra certe famiglie o suddivide il lavoro come un privilegio ereditario e lo fissa così in forme di caste [è la situazione dell'India classica]. In tutti questi casi... storici... è la produzione che sembra strutturata e determinata dalla distribuzione"(ib.).

Marx fa notare che prima di ogni cosa la distribuzione è anzitutto "distribuzione degli strumenti di produzione"(ib.), la cui proprietà, nel capitalismo, è privata, e in secondo luogo è "distribuzione dei membri della società tra i differenti generi di produzione"(ib.), nel senso che esistono determinati rapporti produttivi che non solo danno un valore molto diverso alle diverse attività produttive, ma che esprimono anche dei conflitti di classe veri e propri. Dunque si può anche sostenere -dice Marx- che la produzione capitalistica s'imponga in virtù di presupposti distribuitivi che incontra prima ancora di sorgere, come "momenti d'origine naturale"(p. 22), ma poi questi momenti vengono completamente stravolti dalla produzione stessa.

Sicché il concetto che gli economisti borghesi hanno della "distribuzione" è del tutto astratto. Marx parla di "insulsaggine degli economisti che trattano la produzione come una verità eterna, relegando la storia nel campo della distribuzione"(p. 22). In realtà non solo la distribuzione dipende dal tipo di produzione, ma anche lo scambio e il consumo delle merci. Marx su questo è esplicito, proprio perché egli vuole cercare le origini economiche del capitalismo e la sua analisi delle forme deve soltanto a servire a chiarire la natura di queste origini.

Con Marx l'economia è diventata una "scienza storica", uscendo dal limbo delle categorie metafisiche, per quanto molti economisti borghesi contemporanei rimproverino a Marx di aver fatto dell'economia un oggetto d'indagine filosofica. In realtà questi economisti borghesi stanno a Marx come il paganesimo al cristianesimo o come l'idealismo greco a quello tedesco. Vien da chiedersi se, dopo il marxismo, l'economia politica borghese possa ancora dibattersi soltanto tra ingenuità e pregiudizio, come quella classica.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015