MARX: I GRUNDRISSE

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


I GRÜNDRISSE

Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-58)
(Ed. La Nuova Italia, Firenze 1997, vol. I)

Il denaro come capitale

Nel capitolo "Il denaro come capitale" Marx esordisce dicendo che è "particolarmente difficile la comprensione del denaro nella sua piena determinatezza di denaro" (p. 207), cioè non come mezzo di scambio, ma come capitale. Infatti aggiunge, subito dopo, che "in Perù e in Messico oro e argento non servivano come denaro, pur esistendo come gioielli e pur riscontrandosi in quei paesi uno sviluppato sistema di produzione" (ib.).

È, questo, il problema "culturale" che lo ha travagliato sino alla fine dei suoi giorni. Il Marx economista non riusciva a trovare nella sola analisi economica la chiave per capire il motivo per cui in una determinata società mercantile il denaro diventa capitale, mentre in un'altra, non meno mercantile, non lo diventa affatto. Sin dai primissimi suoi studi economici egli aveva intuito che nel "valore di scambio" vi era qualcosa di poco chiaro, che non si riusciva a spiegare sino in fondo con gli strumenti dell'economia politica. Il vertice di questa intuizione saranno sicuramente le pagine del Capitale dedicate al feticismo della merce, che Engels giudicherà un autentico capolavoro.

Quando però nei Grundrisse tenta una spiegazione extra-economica, sconfina, in un certo senso, nella sociologia e persino nella psicologia. Si faccia attenzione a questa riflessione: "I soggetti sono l'uno per l'altro nello scambio solo mediante gli equivalenti" (p. 210), cioè gli equivalenti sono le merci che si scambiano, tra cui appunto il denaro. Sono soggetti giuridicamente liberi e uguali di fronte alla merce, poiché lo sono di fronte alla legge. Essi "si confermano come tali mediante lo scambio dell'oggettività, in cui l'uno è per l'altro" (p. 211).

Marx, qui, sta ancora usando un linguaggio filosofico per cercare di capire un fenomeno socio-economico. È un linguaggio che tocca, come una tangente, ambiti diversi: giuridico e socio-psicologico. Sta approfondendo delle tematiche già apparse nei Manoscritti del 1844. Allora però si era limitato a constatare dei processi in atto, in cui l'alienazione sociale era la nota dominante; qui invece vuol cercare di capirli nella loro essenza ontologica. E si era accorto di una cosa che riteneva fondamentale: i possessori di equivalenti sono del tutto "indifferenti l'uno all'altro"; cioè sono "indifferenti a tutte le loro ulteriori particolarità individuali" (ib.).

Nei mercati dove il valore di scambio trasforma il denaro in capitale non c'è solo uguaglianza formale, ma anche reciproca estraneità e indifferenza. Marx qui sta facendo una sorta di "filosofia dell'economia", con addentellati di tipo esistenziale. Non ha capito l'origine storico-culturale che spiega il passaggio dal denaro al capitale: ha solo capito che esiste un'origine storica. E sino alla fine della sua vita continuerà a costatare l'anomalia, senza però riuscire a spiegarsela sino in fondo.

Cioè da un lato comprende che "il contenuto dello scambio sta completamente fuori dalla sua determinazione economica" (ib.); Dall'altro però non riesce a individuare il luogo (culturale) in cui questo contenuto si forma e si sviluppa. Questo perché vi è in lui come una forma di chiusura pregiudizievole (oggi diremmo, usando il suo stesso linguaggio, "ideologica"), che gli impedisce di analizzare le cose andando al di là dell'analisi economica. Sembra che Marx voglia a tutti i costi cercare nel materialismo economicistico la spiegazione ultima dei fenomeni tipici del capitalismo, e però si rende conto che questa pretesa s'infrange contro qualcosa d'impenetrabile.

Questa chiusura mentale si riflette anche nel pensiero seguente: "Se l'individuo A avesse lo stesso bisogno dell'individuo B che avesse realizzato il suo lavoro nel medesimo oggetto in cui l'ha realizzato l'individuo B, tra loro non vi sarebbe alcuna relazione" (ib.). Si faccia bene attenzione a questo suo ragionamento, perché è molto importante per capire il limite della sua analisi economica.

Per Marx è solo nello scambio che si realizza la relazione tra individui equivalenti, per quanto essi siano tra loro estranei e indifferenti alle loro singole particolarità. Quando essi non entrano nel mercato, poiché ognuno produce quanto gli basta, la relazione non esiste. Cioè questo significa che, nella concezione di Marx, l'autoconsumo è uno stadio dell'economia che va assolutamente superato, anche se il superamento operato dal capitalismo è del tutto inadeguato.

Lo scambio ha bisogno di soggetti non autosufficienti, cioè che abbiano la necessità di una reciproca dipendenza. Lo scambio li costringe a relazionarsi, e Marx considera questa cosa in sé positiva, altrimenti i soggetti sarebbero isolati. Sembra addirittura che non lo preoccupi più di tanto il fatto che nel mercato "ciascuno raggiunge il suo scopo solo in quanto serve all'altro come mezzo" (p. 213); ovvero che "ciascuno è nello stesso tempo mezzo e scopo" (ib.). Non gli fa problema questa reciproca strumentalizzazione, proprio perché è reciproca. Eppure ribadisce che la reciprocità "è indifferente a ciascuno dei due soggetti dello scambio" (ib.). E questo gli appare innaturale.

Nel mercato non ci si incontra per una relazione che vada al di là del mero fatto economico della compravendita. Per Marx è importante sottolineare che in questa transazione non vi è alcuna "violenza", almeno non in apparenza. Ci si riconosce nella reciproca libertà. L'interesse generale dei due soggetti (contraenti) sta nel soddisfare i loro reciproci interessi egoistici. Essi si sentono uguali e liberi.

Per Marx questo è un grande vantaggio rispetto alle epoche schiavistiche e servili, precedenti al capitalismo, ove il lavoro o era del tutto coatto, oppure rigidamente regolamentato dalle corporazioni (e quindi vissuto come una forma di privilegio).

Marx si rende perfettamente conto che senza libertà giuridica è impossibile realizzare il capitalismo. E tuttavia, quando si accinge a spiegare il motivo per cui, nell'ambito del feudalesimo, si forma il proto-capitalismo in un luogo e non invece in un altro, in cui magari sarebbe stato più facile aspettarselo, finisce col cadere in una sorta di "circolo vizioso".

Si legga questo importante pensiero: "Poiché soltanto il denaro è la realizzazione del valore di scambio [e se bastasse questo - possiamo aggiungere - anche in epoca greco-romana si sarebbe dovuto formare il capitalismo], e il sistema dei valori di scambio si è realizzato soltanto in presenza di uno sviluppato sistema monetario o viceversa [ecco il cul-de-sac!], il sistema monetario può essere in effetti soltanto la realizzazione di questo sistema della libertà e dell'uguaglianza" (p. 215). Ma un ragionamento del genere non spiega affatto perché, ad un certo punto, il denaro si trasforma in capitale. Infatti anche nel mondo greco-romano la moneta, i traffici, i mercati erano molto sviluppati, eppure nelle loro condizioni storiche il capitalismo non avrebbe mai potuto nascere: perché?

Marx non se lo spiega non perché non abbia gli strumenti economici per farlo. Sono gli strumenti culturali, quelli della sovrastruttura che gli difettano. Non nel senso - si badi - che Marx non ha abbastanza "cultura" (sarebbe folle sostenere una cosa del genere), ma nel senso ch'egli non mette in relazione organica la cultura all'economia. Il suo limite di fondo sta proprio in questo, nel considerare la cultura una semplice proiezione dell'economia, del tutto inadeguata a incidere su questa, ove domina la categoria dell'interesse.

D'altra parte egli è perfettamente consapevole che la cultura borghese non lo aiuta a sciogliere il nodo Gordiano, proprio perché gli economisti danno per scontati dei processi che in realtà vanno spiegati: cosa che non si può certo fare guardandoli nella loro apparenza fenomenica. E sta qui infatti il grande merito di Marx, proprio nell'aver fatto capire che dietro determinati fenomeni che si vogliono far passare per "naturali", vi sono in realtà delle scelte "storiche".

Leggiamo ora questo suo profondo pensiero critico: "il presupposto del valore di scambio, quale base oggettiva dell'intero sistema di produzione, implica già in sé, fin dall'inizio, la coercizione per l'individuo", nel senso "che il suo prodotto immediato non è un prodotto per lui, bensì lo diventa soltanto nel processo sociale, ed è costretto ad assumere questa forma generale ma estrinseca"; cioè "l'individuo ha ormai un'esistenza soltanto come entità produttiva di valore di scambio, nel che è già implicita la negazione totale della sua esistenza naturale", in quanto "è totalmente determinato dalla società". Lo si comprende anche dal fatto - prosegue Marx - che il valore di scambio "presuppone una divisione del lavoro nella quale l'individuo è già posto in rapporti del tutto differenti da quelli dei semplici individui che scambiano". "Quindi il presupposto non solo non è un presupposto che non scaturisce né dalla volontà dell'individuo né dalla sua natura immediata, ma è un presupposto storico, che pone l'individuo già come individuo determinato dalla società" (p. 218). E più avanti: "nella semplice determinazione del valore di scambio e del denaro è contenuta in forma latente l'antitesi tra lavoro salariato e capitale" (ib.).

Questa lunga citazione per mostrare che Marx aveva capito due cose fondamentali: 1) la libertà e l'uguaglianza che appaiono sui mercati capitalistici sono del tutto formali (fittizi); 2) la naturalezza dello scambio, nell'ambito del capitalismo, presuppone un conflitto sociale ben determinato tra lavoro e capitale. Detto altrimenti: quel che il capitalismo vuol far passare come "naturale", in realtà ha avuto un'origine storica, e questa origine non ha nulla di naturale. Su questa origine storica Marx non individuerà mai i fondamenti strutturali in chiave culturale, che vanno ricercati, prima ancora che nel protestantesimo, nella teologia cattolica medievale, soprattutto nella Scolastica. Il protestantesimo infatti (particolarmente nella sua variante calvinistica) non ha fatto altro che portare alle sue più logiche ed estreme conseguenze una tendenza già presente nel cattolicesimo-romano, che si ritrova persino nella teologia agostiniana, laddove si considera la persona non come soggetto bensì come funzione, fino al punto in cui si inizierà a tollerare il profitto individuale, quando finalizzato a opere di bene, o quando si farà coincidere il valore di scambio di una merce con il suo prezzo (deciso dalle buone intenzioni del venditore), o quando si mescoleranno, senza ritegno, le questioni economiche e quelle religiose nella vendita delle indulgenze, e così via.

Marx se la prende anche con gli economisti socialisti, poiché non hanno capito questo aspetto fondamentale riguardante la natura del capitalismo. Essi infatti sono convinti - secondo lui - che il socialismo possa scaturire dalla "realizzazione delle idee della società borghese espresse dalla rivoluzione francese", la quale aveva sancito libertà e uguaglianza per tutti, e quindi anche per le transazioni economiche, che però sono state adulterate o deviate dall'uso del denaro in forma di capitale (p. 219).

Marx obietta a questi socialisti utopisti o riformisti che il capitalismo è malato in sé, cioè non lo diventa in una fase successiva, per colpa di qualche volontà egoistica soggettiva. "E' desiderio tanto pio quanto sciocco che il valore di scambio non si sviluppi in capitale o che il lavoro che produce il valore di scambio non si sviluppi in lavoro salariato" (ib.).

E quindi? Qual è la conclusione di Marx? Il problema sta proprio qui, che non c'è nessuna conclusione. Marx ha capito come stanno le cose sul piano economico, non ha capito però come si sono originate culturalmente e non ha individuato un'alternativa al valore di scambio, se non quella del superamento dell'antagonismo tra capitale e lavoro. Cioè egli rifiuta di prospettare che al primato del valore di scambio si possa sostituire quello del valore d'uso. Per lui - lo dice chiaramente, benché qui si abbia a che fare con degli appunti molto approssimativi - il rapporto dello scambio merce contro merce è "rozzo" (p. 220). Egli esclude a priori un ritorno all'autoconsumo e a uno scambio delle eccedenze. Sta qui il suo pregiudizio di fondo.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015