PLOTINO: l'uno

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PLOTINO: l'uno

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Giuseppe Bailone

Il Nous è ancora unità di molti, anche se i molti sussistono come un unico essere. Il rigore razionale, che ha guidato la ricerca del semplice a partire dalle cose complesse ma unitarie offerte dall’esperienza, impone un ultimo passo verso l’unità assoluta, libera anche dal tipo di molteplicità ancora presente nel Nous. Un passo al di là anche del pensiero, anche del pensiero di sé (quello dell’atto puro di Aristotele). Anche il pensiero di pensiero è, infatti, riflessività e, quindi, raddoppio in soggetto e oggetto del pensiero.

“Colui che è, semplicissimo, al di sopra di tutto, non può avere il pensiero di se, perché, se l’avesse, sarebbe una molteplicità. Perciò egli né pensa se stesso, né è possibile pensarlo.

Ma perché allora parliamo di lui? Veramente, noi diciamo solo qualche cosa di lui, ma non affermiamo nulla di lui e non abbiamo di lui né conoscenza né pensiero.

E come dunque possiamo parlare di lui se non lo possediamo? E’ vero, non lo possediamo con la conoscenza, né lo possediamo pienamente: lo possediamo però in tal modo da poter parlare di lui senza però dirlo veramente. Noi diciamo infatti quello che egli non è, ma non diciamo quello che è.

Diciamo di lui partendo dalle cose che sono dopo di lui; ma nulla ci impedisce di possederlo, anche se non ne parliamo. Come quelli che, invasati e ispirati arrivano a tal punto da sentire nel loro intimo qualcosa di più grande di loro, pur non sapendo che cosa sia, e da quelle commozioni da cui sono agitati e di cui parlano, traggono una certa conoscenza di colui che li pervade, pur essendo esse ben diverse da colui che li agita, così anche noi veniamo a trovarci press’a poco con lui, allorché la nostra intelligenza è pura e abbiamo il presentimento che egli sia l’intima intelligenza, colui che dona l’essere e tutte le altre cose dello stesso valore; ma egli non è tale da identificarsi con queste cose, ma è superiore a ciò che chiamiamo “essere”, anzi è ancora di più e al di sopra di ogni nostro discorso, perché egli è al di là della parola, dell’intelligenza e della sensibilità: egli è causa di tutte queste cose, ma non è alcuna di esse”.1

Il punto d’arrivo di un pensiero rigorosamente razionale alla ricerca del semplice è un passo al di là del pensiero stesso, verso l’assoluta semplicità, impensabile proprio per la sua semplicità. Il lungo e razionale discorso sull’essere si conclude nel silenzio mistico, approda a ciò che non può essere pensato né detto. La lunga catena dei perché arriva al mistero assoluto.

E’ come se la ragione, nell’esercizio sempre più rigoroso della propria funzione, arrivasse ad annullarsi. Si può parlare di approdo irrazionalistico?

Ecco come Mathieu, un plotiniano di oggi, difende Plotino dalle accuse di misticismo: “Senza dubbio il principio assolutamente primo si sottrae a qualsiasi pensiero e, a maggior ragione, a qualsiasi discorso. Ma, come si sarà notato, il procedimento per arrivare al di là del pensiero è tutt’altro che mistico: è un’argomentazione perfettamente razionale, fondata sull’assioma che il molteplice presuppone l’Uno, non come componente, bensì come condizione superiore. Dato che, fin quando non si sia arrivati all’Uno assoluto, ci sarà sempre una certa molteplicità, è impossibile pensare senza ammettere un Uno al di là del pensiero”.2

Un democriteo potrebbe dire dell’Uno di Plotino quel che Plotino ha detto dell’atomo di Democrito, cioè che non esiste. In effetti dell’Uno non si può dire, né pensare che esista o che non esista, essendo presupposto non come essere ma come la sua condizione.

L’atomo di Democrito si presta, però, ad essere pensato e descritto con rigore razionale e le sue proprietà sono i fondamenti di una cosmologia razionale. La stessa cosa non si può dire dell’Uno di Plotino.

Arrivati all’Uno, non si trova il principio di un rigoroso discorso razionale che spieghi il processo di derivazione da esso di tutte le cose, perché, come riconosce Mathieu, “qui la bella necessità razionale che ci ha spinti all’insù, quando dall’Uno si cerchi di discendere, viene meno”.3

La razionalità all’insù promuove l’estasi, ma dall’estasi non può avviarsi la razionalità a discendere.

L’estasi si raggiunge quando, con la riflessione, la contemplazione e l’operare morale, si esce dalla propria particolarità, dall’esilio di questo mondo, ristabilendo una unità non del tutto perduta (ché sarebbe impossibile risalire), ma decaduta. Con l’estasi quasi ci si identifica con il principio di tutto, si arriva all’assolutamente semplice, ma, per così dire, ci si perde in esso.

L’autosufficienza del mondo intelligibile che diventa assoluta nell’Uno elimina ogni ragione, ogni motivo, che spieghi l’origine dei molti dall’Uno.

“Mentre ciò che vive nel mondo sensibile – spiega Mathieu – ha sempre bisogno d’altro, deriva da altro, si nutre di altro in tutti i sensi e finisce in altro, non così si comporta ciò che vive nel mondo intelligibile. Questo non ha bisogno di nulla. Non ha bisogno, quindi, che “al di sotto” si formi altro. Nessuna necessità logica ci costringe a pensarlo, mentre ci costringeva a risalire all’insù. (…) Il discorso sulla discesa non è altrettanto convincente quanto quello della risalita, perché ciò che è in basso ha bisogno di ciò che è in alto, ma non viceversa”.4

Per Mathieu non è strano che “noi non riusciamo ad assegnare a questa discesa una ragione soddisfacente: il concetto di ragione (logos) prende ad agire solo da un certo punto della discesa in poi: precisamente nella fase in cui le determinazioni intelligibili, in cui si specifica infinitamente l’Intelligenza [il Nous], divengono, attraverso l’anima, la “ragione” del presentarsi così e così delle cose. Al di sopra di questo livello la ragione – etimologicamente connessa con il “discorso”, ossia con un movimento che passa da una cosa all’altra, legandole e raccogliendole in unità (leghein, come legere = raccogliere) – è presente solo in forma “eminente”, cioè nella sua radice intuitiva unitaria, ma non sviluppa ancora un’attività discorsiva e, quindi, giustificatrice. Le infinite prospettive in cui l’Intelligenza si specifica sono dette logoi in vista della loro efficacia nell’unificare (e, quindi, far essere) l’esperienza, ma nell’Intelligenza in sé non sono unificate a loro volta da una ragione, perché sono identiche ciascuna con tutta l’Intelligenza. Ciò spiega certe scelte terminologiche di Plotino. Sebbene egli tragga molto dalle filosofie del Logos (da Eraclito a Filone ebreo), là dove altri avrebbe detto Logos lui parla, al contrario, di Nous”.5

Se Logos è inadeguato a indicare quel che Plotino chiama “Nous”, a maggior ragione è inadeguato a indicare quel che chiama “Uno”, consapevole che anche la parola Uno è inappropriata.

Il principio dell’essere è al di là dell’essere, del pensiero e di ogni possibile discorso. Plotino inaugura in filosofia la teologia negativa, quella che si limita a dire quel che non si può dire di Dio.

Anche il termine Dio è improprio così come Uno: entrambi vanno quindi usati per la loro capacità di rinviare a ciò che è assolutamente al di sopra del mondo in cui siamo immersi. Uno significa che quel principio trascendente è assolutamente semplice, privo di molteplicità, mentre Dio significa che esso merita di essere onorato nel grado massimo.

Note

1 Enneadi, V 3, 13-14.

2 Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag. 66.

3 Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag. 72.

4 Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag. 73-74.

5 Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag. 77.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 21 novembre 2009

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

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Aggiornamento: 26-04-2015