TEORICI
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PLOTINO: l'uno I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV
Giuseppe Bailone Il Nous
è ancora unità di molti, anche se i molti sussistono
come un unico essere. Il rigore razionale, che ha guidato la ricerca
del semplice a partire dalle cose complesse ma unitarie offerte
dall’esperienza, impone un ultimo passo verso l’unità
assoluta, libera anche dal tipo di molteplicità ancora
presente nel Nous.
Un passo al di là anche del pensiero, anche del pensiero di sé
(quello dell’atto puro di Aristotele). Anche il pensiero di
pensiero è, infatti, riflessività e, quindi, raddoppio
in soggetto e oggetto del pensiero. “Colui
che è, semplicissimo, al di sopra di tutto, non può
avere il pensiero di se, perché, se l’avesse, sarebbe
una molteplicità. Perciò egli né pensa se
stesso, né è possibile pensarlo. Ma
perché allora parliamo di lui? Veramente, noi diciamo solo
qualche cosa di lui, ma non affermiamo nulla di lui e non abbiamo di
lui né conoscenza né pensiero. E
come dunque possiamo parlare di lui se non lo possediamo? E’
vero, non lo possediamo con la conoscenza, né lo possediamo
pienamente: lo possediamo però in tal modo da poter parlare di
lui senza però dirlo veramente. Noi diciamo infatti quello che
egli non è, ma non diciamo quello che è. Diciamo
di lui partendo dalle cose che sono dopo di lui; ma nulla ci
impedisce di possederlo, anche se non ne parliamo. Come quelli che,
invasati e ispirati arrivano a tal punto da sentire nel loro intimo
qualcosa di più grande di loro, pur non sapendo che cosa sia,
e da quelle commozioni da cui sono agitati e di cui parlano, traggono
una certa conoscenza di colui che li pervade, pur essendo esse ben
diverse da colui che li agita, così anche noi veniamo a
trovarci press’a poco con lui, allorché la nostra
intelligenza è pura e abbiamo il presentimento che egli sia
l’intima intelligenza, colui che dona l’essere e tutte le
altre cose dello stesso valore; ma egli non è tale da
identificarsi con queste cose, ma è superiore a ciò che
chiamiamo “essere”, anzi è ancora di più e
al di sopra di ogni nostro discorso, perché egli è al
di là della parola, dell’intelligenza e della
sensibilità: egli è causa di tutte queste cose, ma non
è alcuna di esse”.1 Il
punto d’arrivo di un pensiero rigorosamente razionale alla
ricerca del semplice è un passo al di là del pensiero
stesso, verso l’assoluta semplicità, impensabile proprio
per la sua semplicità. Il lungo e razionale discorso
sull’essere si conclude nel silenzio mistico, approda a ciò
che non può essere pensato né detto. La lunga catena
dei perché arriva al mistero assoluto. E’
come se la ragione, nell’esercizio sempre più rigoroso
della propria funzione, arrivasse ad annullarsi. Si può
parlare di approdo irrazionalistico? Ecco
come Mathieu, un plotiniano di oggi, difende Plotino dalle accuse di
misticismo: “Senza dubbio il principio assolutamente primo si
sottrae a qualsiasi pensiero e, a maggior ragione, a qualsiasi
discorso. Ma, come si sarà notato, il procedimento
per arrivare al di là del pensiero è tutt’altro
che mistico: è un’argomentazione perfettamente
razionale, fondata sull’assioma che il molteplice presuppone
l’Uno, non come componente, bensì come condizione
superiore. Dato che, fin quando non si sia arrivati all’Uno
assoluto, ci sarà sempre una certa molteplicità, è
impossibile pensare
senza ammettere un Uno al di là del pensiero”.2 Un
democriteo potrebbe dire dell’Uno di Plotino quel che Plotino
ha detto dell’atomo di Democrito, cioè che non esiste.
In effetti dell’Uno non si può dire, né pensare
che esista o che non esista, essendo presupposto non come essere ma
come la sua condizione. L’atomo
di Democrito si presta, però, ad essere pensato e descritto
con rigore razionale e le sue proprietà sono i fondamenti di
una cosmologia razionale. La stessa cosa non si può dire
dell’Uno di Plotino. Arrivati
all’Uno, non si trova il principio di un rigoroso discorso
razionale che spieghi il processo di derivazione da esso di tutte le
cose, perché, come riconosce Mathieu, “qui la bella
necessità razionale che ci ha spinti all’insù,
quando dall’Uno si cerchi di discendere, viene meno”.3 La
razionalità all’insù promuove l’estasi,
ma dall’estasi non può avviarsi la razionalità a
discendere. L’estasi
si raggiunge quando, con la riflessione, la contemplazione e
l’operare morale, si esce dalla propria particolarità,
dall’esilio di questo mondo, ristabilendo una unità non
del tutto perduta (ché sarebbe impossibile risalire), ma
decaduta. Con l’estasi quasi ci si identifica con il principio
di tutto, si arriva all’assolutamente semplice, ma, per così
dire, ci si perde in esso. L’autosufficienza
del mondo intelligibile che diventa assoluta nell’Uno elimina
ogni ragione, ogni motivo, che spieghi l’origine dei molti
dall’Uno. “Mentre
ciò che vive nel mondo sensibile – spiega Mathieu –
ha sempre bisogno d’altro, deriva da altro, si nutre di altro
in tutti i sensi e finisce in altro, non così si comporta ciò
che vive nel mondo intelligibile. Questo non ha bisogno di nulla. Non
ha bisogno, quindi, che “al di sotto” si formi altro.
Nessuna necessità logica ci costringe a pensarlo, mentre ci
costringeva a risalire all’insù. (…) Il discorso
sulla discesa
non è altrettanto convincente quanto quello della risalita,
perché ciò che è in basso ha bisogno di ciò
che è in alto, ma non viceversa”.4 Per
Mathieu non è strano che “noi non riusciamo ad
assegnare a questa discesa una ragione soddisfacente: il concetto di
ragione (logos)
prende ad agire solo da un certo punto della discesa in poi:
precisamente nella fase in cui le determinazioni intelligibili, in
cui si specifica infinitamente l’Intelligenza [il Nous],
divengono, attraverso l’anima, la “ragione” del
presentarsi così e così delle cose. Al di sopra di
questo livello la ragione – etimologicamente connessa con il
“discorso”, ossia con un movimento che passa da una cosa
all’altra, legandole e raccogliendole in unità (leghein,
come
legere =
raccogliere) – è presente solo in forma “eminente”,
cioè nella sua radice intuitiva unitaria, ma non sviluppa
ancora un’attività discorsiva e, quindi,
giustificatrice. Le infinite prospettive in cui l’Intelligenza
si specifica sono dette logoi
in vista della loro efficacia nell’unificare (e, quindi, far
essere) l’esperienza, ma nell’Intelligenza in sé
non sono unificate a loro volta da una ragione, perché sono
identiche ciascuna con tutta l’Intelligenza. Ciò spiega
certe scelte terminologiche di Plotino. Sebbene egli tragga molto
dalle filosofie del Logos
(da Eraclito a Filone ebreo), là dove altri avrebbe detto
Logos
lui parla, al contrario, di Nous”.5 Se
Logos
è inadeguato a indicare quel che Plotino chiama “Nous”,
a maggior ragione è inadeguato a indicare quel che chiama
“Uno”, consapevole che anche la parola Uno è
inappropriata. Il
principio dell’essere è al di là dell’essere,
del pensiero e di ogni possibile discorso. Plotino inaugura in
filosofia la teologia negativa, quella che si limita a dire quel che
non si può dire di Dio. Anche
il termine Dio è improprio così come Uno: entrambi
vanno quindi usati per la loro capacità di rinviare a ciò
che è assolutamente al di sopra del mondo in cui siamo
immersi. Uno significa che quel principio trascendente è
assolutamente semplice, privo di molteplicità, mentre Dio
significa che esso merita di essere onorato nel grado massimo. Note 1
Enneadi, V 3, 13-14. 2
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
66. 3
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
72. 4
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
73-74. 5
Vittorio Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani 2004, pag.
77. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Torino 21 novembre 2009 Giuseppe Bailone ha pubblicato
Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato
Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione
Università Popolare di Torino,
Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.
Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna
(pdf)
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