PLOTINO: la materia e il male

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PLOTINO: la materia e il male

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Giuseppe Bailone

L’impostazione rigorosamente monistica rende la metafisica di Plotino profondamente ottimistica: il principio della realtà è uno solo ed è bene, tutto ciò che da esso deriva è bene, anche se attenuandosi come essere si attenua anche come bene. Ciò che a prima vista appare male è, in realtà, solo il venir meno dell’essere – bene.

L’identità di essere e bene, di origine platonica, comporta l’identità opposta di male e non essere.

Nel mondo intelligibile, primo è il Bene, poi viene il Nous e infine l’Anima. Tutto è perfetto in quel mondo, sia pure con gradi diversi di unità e di bene. Ogni essere comunica qualcosa di sé agli esseri inferiori. L’Anima genera, per sua natura, l’universo che conserva, perciò, l’immagine del mondo intelligibile. I corpi sensibili che derivano da questa generazione sono composti di forma e materia. La materia senza forma è come l’oscurità rispetto alla luce: è imperfezione e deficienza massima, ma non è un’ipostasi. Solo l’Uno, il Nous e l’Anima sono ipostasi (= ciò che sta sotto, che fa da fondamento).

Che cos’è, dunque, il male?

“Si può giungere a un’idea del male (concependolo) come la mancanza di misura rispetto alla misura, come l’illimitato rispetto al limite, come l’informe rispetto alla causa formale, come l’essere sempre deficiente rispetto all’essere che basta a se stesso, come sempre indeterminato, per nulla stabile, completamente passivo, insaziabile, povertà assoluta”.1

Le definizioni del male sono tutte in negativo. Il male è il venir meno di tutti i caratteri dell’essere: misura, limite, forma, autosufficienza, determinazione, stabilità, attività, abbondanza.

Mancando di realtà, il male non è il principio opposto al bene e in conflitto con esso. Il mondo sensibile non è il campo di battaglia tra l’Anima e la Materia, tra il bene e il male, non è il prodotto di una caduta o di una degenerazione. Solo il bene è reale, il male è il suo venir meno nel processo di derivazione delle cose dall’Uno. Il problema per l’uomo non è quello di combattere il male metafisico, che non c’è, ma quello di cercare il bene, in un processo di perfezionamento che lo avvicini al divino.

Il mondo sensibile non va, quindi, disprezzato, ma apprezzato per quel che di bene esprime.

“Chi biasima la natura del mondo non sa ciò che fa, né sin dove arriva la sua audacia. Questo avviene perché essi ignorano l’ordine regolare delle cose, dalle prime alle seconde alle terze e così via sino alle ultime, e non sanno che non bisogna biasimare degli esseri perché sono inferiori ai primi, ma accettare benevolmente la natura di tutti gli esseri risalendo ai primi e lasciando da parte la tragedia degli eventi terribili che secondo la loro opinione avvengono nelle sfere del mondo”.2

Plotino polemizza con gli Gnostici, che accusa di aver alterato gravemente l’insegnamento di Platone: essi partono sì da Platone, dicendo che le cose terrestri sono immagine di quelle superiori, ma trasformano l’immagine in illusione e male, non riconoscendo nell’immagine l’orma del divino.

Non dobbiamo odiare il mondo sensibile, sostiene Plotino, dobbiamo riconoscerne la bellezza sensibile, riflesso del mondo intelligibile, e accettare di vivere in esso come una necessità temporanea.

“E’ come se due uomini abitassero la stessa bella casa: l’uno critica la costruzione e il costruttore e non di meno ci rimane; l’altro invece non critica, ma dice che l’architetto l’ha costruita con molta arte e attende il tempo in cui se ne andrà, non avendo più bisogno di casa. Il primo pensa di essere il più saggio e il meglio preparato a partire perché sa dirci che i muri sono fatti di pietre e di legno senza vita e che (la casa) è molto inferiore alla casa vera, ignorando di distinguersi (dal secondo) in quanto non sopporta le cose necessarie; a meno che non abbandoni ogni sdegno amando con animo sereno la bellezza delle pietre. E’ necessario per noi, finché abbiamo un corpo, abitare in case costruite da un’Anima buona e sorella (della nostra) che ha il potere di creare senza fatica”.3

La trattazione del male svolta nell’ultima parte della prima Enneade, si chiude, non a caso, con la questione del suicidio, accettabile come necessità solo nel caso che ci si renda conto di stare per piombare nella follia. Fin che si può progredire moralmente non si deve far uscire l’anima dal corpo, perché “quale è ciascuno di noi nell’uscire (dal corpo), tale è il posto che occuperà colà”4, in cielo, la nostra vera patria.

Questo mondo va riconosciuto nella sua bontà, sia perché è la palestra del nostro perfezionamento morale, sia perché è immagine attenuata del mondo intelligibile. Due ragioni che si sostengono reciprocamente e che esaltano la bontà del mondo sensibile.

Per riconoscere la bellezza di questo mondo fisico bisogna, però, guardarlo nella sua totalità e non fissarsi su singoli aspetti.

“Nessuno può, se non a torto, disprezzare questo mondo, quasi non fosse bello e il migliore degli esseri corporei, ed accusare chi è causa della sua esistenza. Anzitutto, esso esiste necessariamente e non deriva da un atto di riflessione, ma da un essere superiore che genera per natura un essere simile a se stesso; e se anche fosse stato prodotto per un atto di riflessione, chi l’ha prodotto non avrebbe da vergognarsene: poiché il tutto che egli ha prodotto è bello e sufficiente a se stesso, unito a sé e a tutte le sue parti, grandi e piccole, in modo egualmente conveniente. Perciò chi accusa il tutto guardando alle parti fa un’accusa assurda, poiché bisogna esaminare le parti in relazione al tutto, (per vedere) se convengono ed armonizzano con esso, ed esaminare il tutto senza fermarsi ai piccoli dettagli”.5

Sul male morale, quello prodotto dal cattivo uso della libertà umana, va fatto un discorso a parte.

“Ci stupiamo che negli uomini ci sia l’ingiustizia poiché giudichiamo che l’uomo sia la cosa più preziosa dell’universo e l’essere più saggio di tutti. Invece egli sta in mezzo tra gli dei e le bestie e inclina verso gli uni e verso le altre: alcuni assomigliano agli dei, altri alle bestie, la maggioranza sta nel mezzo”.

Con la maggioranza che sta nel mezzo e non reagisce Plotino è duro.

“Coloro che per la loro corruzione sono vicini agli animali senza ragione e alle fiere, trascinano e maltrattano gli uomini che sono nel mezzo: e questi, che pur sono superiori a coloro che li maltrattano, si lasciano dominare dagli inferiori poiché sono in certo modo inferiori ad essi, perché non sono ancora virtuosi e non sono preparati a non soffrire (…) Sono stati loro insegnati degli esercizi, ma essi per la loro ignavia e per la loro vita molle ed incurante sono rimasti là inattivi, diventando così agnelli grassi preda dei lupi”.

Socratico il giudizio sui malvagi: castigo del male è il male stesso.

Scrive: “Per quelli poi che fanno il male, il primo castigo consiste nell’essere lupi e uomini malvagi”.

Subito dopo, però, Plotino apre una prospettiva di giustizia superiore e finale: “Esistono inoltre per loro delle pene convenienti che essi devono subire, poiché per coloro che sono stati cattivi quaggiù tutto non finisce, ma alle loro azioni antecedenti seguono sempre le conseguenze secondo ragione e natura, il male per quelle cattive, il bene per quelle buone”. C’è infatti una giustizia che si realizza nel corso di successive esistenze: chi è stato un cattivo padrone diventerà schiavo nella vita successiva; chi ha usato male delle ricchezze diventerà povero; chi ha ucciso ingiustamente verrà ucciso ingiustamente; “chi ha ucciso la propria madre rinascerà donna per essere uccisa dal figlio, chi ha violentato una donna rinascerà donna per essere violentata”.6

L’anima deve conoscere profondamente il male che ha fatto, subendolo a sua volta e mettendosi così in condizione di liberarsene. Per imparare a non fare agli altri quel che non si vuole subire bisogna entrare totalmente nei panni degli altri, incarnarsi nella condizione che essi hanno subito per colpa nostra.

Ma, per Plotino i conti della giustizia tornano in qualche modo già in questo mondo: “Non tocca a Dio combattere per quelli che non combattono: la legge vuole che alla guerra si salvi colui che è valoroso, non colui che prega, perché raccolgono frutti non coloro che pregano ma quelli che coltivano la terra, né sono sani coloro che non si prendono cura della loro salute; e non bisogna brontolare se i cattivi hanno un raccolto più abbondante, o se a loro riesca meglio la coltivazione. E poi sarebbe ridicolo compiere a proprio capriccio tutto ciò che riguarda la vita e, benché queste azioni non siano come piace agli dei, esigere la salvezza propria dagli dei senza fare quanto gli dei comandano per la nostra salvezza. La morte è migliore della vita per coloro che vivono contro il volere delle leggi dell’universo; sicché quando i nemici sopravvengono, se la pace fosse loro conservata malgrado le loro follie e i loro vizi, la provvidenza sarebbe troppo negligente a lasciar dominare i più deboli. I cattivi comandano per la viltà dei loro sudditi: ed è giusto così, non il contrario”.7

Subire l’ingiustizia è colpa che si paga con l’ingiustizia stessa. La libertà umana comporta la responsabilità anche delle vittime: non ci si può rivolgere agli dei come bambini irresponsabili perché essi pongano rimedio all’ignavia e all’imprevidenza. Il male morale è un problema solo umano, gli dei non c’entrano: una posizione quasi incomprensibile per una cultura come quella cristiana, incardinata sulla provvidenza divina e sull’immagine del buon pastore.

Note

1 Enneadi, I, 8, 3.

2 Enneadi, II, 9, 13. Plotino allude alle teorie gnostiche.

3 Enneadi, II, 9, 18.

4 Enneadi, I, 9, 1.

5 Enneadi, III, 2, 3.

6 Enneadi, III, 2, 13.

7 Enneadi, III, 2, 8. Sono tratti da questo paragrafo anche le precedenti citazioni sul male morale.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 28 novembre 2009

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015