TEORICI
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PLOTINO: la materia e il male I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV
Giuseppe Bailone L’impostazione
rigorosamente monistica rende la metafisica di Plotino profondamente
ottimistica: il principio della realtà è uno solo ed è
bene, tutto ciò che da esso deriva è bene, anche se
attenuandosi come essere si attenua anche come bene. Ciò che a
prima vista appare male è, in realtà, solo il venir
meno dell’essere – bene. L’identità
di essere e bene, di origine platonica, comporta l’identità
opposta di male e non essere. Nel
mondo intelligibile, primo è il Bene, poi viene il Nous
e infine l’Anima. Tutto è perfetto in quel mondo, sia
pure con gradi diversi di unità e di bene. Ogni essere
comunica qualcosa di sé agli esseri inferiori. L’Anima
genera, per sua natura, l’universo che conserva, perciò,
l’immagine del mondo intelligibile. I corpi sensibili che
derivano da questa generazione sono composti di forma e materia. La
materia senza forma è come l’oscurità rispetto
alla luce: è imperfezione e deficienza massima, ma non è
un’ipostasi. Solo l’Uno, il Nous
e l’Anima sono ipostasi (= ciò che sta sotto, che fa da
fondamento). Che
cos’è, dunque, il male? “Si
può giungere a un’idea del male (concependolo) come la
mancanza di misura rispetto alla misura, come l’illimitato
rispetto al limite, come l’informe rispetto alla causa formale,
come l’essere sempre deficiente rispetto all’essere che
basta a se stesso, come sempre indeterminato, per nulla stabile,
completamente passivo, insaziabile, povertà assoluta”.1 Le
definizioni del male sono tutte in negativo. Il male è il
venir meno di tutti i caratteri dell’essere: misura, limite,
forma, autosufficienza, determinazione, stabilità, attività,
abbondanza. Mancando
di realtà, il male non è il principio opposto al bene e
in conflitto con esso. Il mondo sensibile non è il campo di
battaglia tra l’Anima e la Materia, tra il bene e il male, non
è il prodotto di una caduta o di una degenerazione. Solo il
bene è reale, il male è il suo venir meno nel processo
di derivazione delle cose dall’Uno. Il problema per l’uomo
non è quello di combattere il male metafisico, che non c’è,
ma quello di cercare il bene, in un processo di perfezionamento che
lo avvicini al divino. Il
mondo sensibile non va, quindi, disprezzato, ma apprezzato per quel
che di bene esprime. “Chi
biasima la natura del mondo non sa ciò che fa, né sin
dove arriva la sua audacia. Questo avviene perché essi
ignorano l’ordine regolare delle cose, dalle prime alle seconde
alle terze e così via sino alle ultime, e non sanno che non
bisogna biasimare degli esseri perché sono inferiori ai primi,
ma accettare benevolmente la natura di tutti gli esseri risalendo ai
primi e lasciando da parte la tragedia degli eventi terribili che
secondo la loro opinione avvengono nelle sfere del mondo”.2
Plotino
polemizza con gli Gnostici, che accusa di aver alterato gravemente
l’insegnamento di Platone: essi partono sì da Platone,
dicendo che le cose terrestri sono immagine di quelle superiori, ma
trasformano l’immagine in illusione e male, non riconoscendo
nell’immagine l’orma del divino. Non
dobbiamo odiare il mondo sensibile, sostiene Plotino, dobbiamo
riconoscerne la bellezza sensibile, riflesso del mondo intelligibile,
e accettare di vivere in esso come una necessità temporanea. “E’
come se due uomini abitassero la stessa bella casa: l’uno
critica la costruzione e il costruttore e non di meno ci rimane;
l’altro invece non critica, ma dice che l’architetto l’ha
costruita con molta arte e attende il tempo in cui se ne andrà,
non avendo più bisogno di casa. Il primo pensa di essere il
più saggio e il meglio preparato a partire perché sa
dirci che i muri sono fatti di pietre e di legno senza vita e che (la
casa) è molto inferiore alla casa vera, ignorando di
distinguersi (dal secondo) in quanto non sopporta le cose necessarie;
a meno che non abbandoni ogni sdegno amando con animo sereno la
bellezza delle pietre. E’ necessario per noi, finché
abbiamo un corpo, abitare in case costruite da un’Anima buona e
sorella (della nostra) che ha il potere di creare senza fatica”.3 La
trattazione del male svolta nell’ultima parte della prima
Enneade,
si chiude, non a caso, con la questione del suicidio, accettabile
come necessità solo nel caso che ci si renda conto di stare
per piombare nella follia. Fin che si può progredire
moralmente non si deve far uscire l’anima dal corpo, perché
“quale è ciascuno di noi nell’uscire (dal corpo),
tale è il posto che occuperà colà”4,
in cielo, la nostra vera patria. Questo
mondo va riconosciuto nella sua bontà, sia perché è
la palestra del nostro perfezionamento morale, sia perché è
immagine attenuata del mondo intelligibile. Due ragioni che si
sostengono reciprocamente e che esaltano la bontà del mondo
sensibile. Per
riconoscere la bellezza di questo mondo fisico bisogna, però,
guardarlo nella sua totalità e non fissarsi su singoli
aspetti. “Nessuno
può, se non a torto, disprezzare questo mondo, quasi non fosse
bello e il migliore degli esseri corporei, ed accusare chi è
causa della sua esistenza. Anzitutto, esso esiste necessariamente e
non deriva da un atto di riflessione, ma da un essere superiore che
genera per natura un essere simile a se stesso; e se anche fosse
stato prodotto per un atto di riflessione, chi l’ha prodotto
non avrebbe da vergognarsene: poiché il tutto che egli ha
prodotto è bello e sufficiente a se stesso, unito a sé
e a tutte le sue parti, grandi e piccole, in modo egualmente
conveniente. Perciò chi accusa il tutto guardando alle parti
fa un’accusa assurda, poiché bisogna esaminare le parti
in relazione al tutto, (per vedere) se convengono ed armonizzano con
esso, ed esaminare il tutto senza fermarsi ai piccoli dettagli”.5 Sul
male morale, quello prodotto dal cattivo uso della libertà
umana, va fatto un discorso a parte. “Ci
stupiamo che negli uomini ci sia l’ingiustizia poiché
giudichiamo che l’uomo sia la cosa più preziosa
dell’universo e l’essere più saggio di tutti.
Invece egli sta in mezzo tra gli dei e le bestie e inclina verso gli
uni e verso le altre: alcuni assomigliano agli dei, altri alle
bestie, la maggioranza sta nel mezzo”. Con
la maggioranza che sta nel mezzo e non reagisce Plotino è
duro. “Coloro
che per la loro corruzione sono vicini agli animali senza ragione e
alle fiere, trascinano e maltrattano gli uomini che sono nel mezzo: e
questi, che pur sono superiori a coloro che li maltrattano, si
lasciano dominare dagli inferiori poiché sono in certo modo
inferiori ad essi, perché non sono ancora virtuosi e non sono
preparati a non soffrire (…) Sono stati loro insegnati degli
esercizi, ma essi per la loro ignavia e per la loro vita molle ed
incurante sono rimasti là inattivi, diventando così
agnelli grassi preda dei lupi”.
Socratico
il giudizio sui malvagi: castigo del male è il male stesso. Scrive:
“Per quelli poi che fanno il male, il primo castigo consiste
nell’essere lupi e uomini malvagi”. Subito
dopo, però, Plotino apre una prospettiva di giustizia
superiore e finale: “Esistono inoltre per loro delle pene
convenienti che essi devono subire, poiché per coloro che sono
stati cattivi quaggiù tutto non finisce, ma alle loro azioni
antecedenti seguono sempre le conseguenze secondo ragione e natura,
il male per quelle cattive, il bene per quelle buone”. C’è
infatti una giustizia che si realizza nel corso di successive
esistenze: chi è stato un cattivo padrone diventerà
schiavo nella vita successiva; chi ha usato male delle ricchezze
diventerà povero; chi ha ucciso ingiustamente verrà
ucciso ingiustamente; “chi ha ucciso la propria madre rinascerà
donna per essere uccisa dal figlio, chi ha violentato una donna
rinascerà donna per essere violentata”.6 L’anima
deve conoscere profondamente il male che ha fatto, subendolo a sua
volta e mettendosi così in condizione di liberarsene. Per
imparare a non fare agli altri quel che non si vuole subire bisogna
entrare totalmente nei panni degli altri, incarnarsi nella condizione
che essi hanno subito per colpa nostra.
Ma,
per Plotino i conti della giustizia tornano in qualche modo già
in questo mondo: “Non tocca a Dio combattere per quelli che non
combattono: la legge vuole che alla guerra si salvi colui che è
valoroso, non colui che prega, perché raccolgono frutti non
coloro che pregano ma quelli che coltivano la terra, né sono
sani coloro che non si prendono cura della loro salute; e non bisogna
brontolare se i cattivi hanno un raccolto più abbondante, o se
a loro riesca meglio la coltivazione. E poi sarebbe ridicolo compiere
a proprio capriccio tutto ciò che riguarda la vita e, benché
queste azioni non siano come piace agli dei, esigere la salvezza
propria dagli dei senza fare quanto gli dei comandano per la nostra
salvezza. La morte è migliore della vita per coloro che vivono
contro il volere delle leggi dell’universo; sicché
quando i nemici sopravvengono, se la pace fosse loro conservata
malgrado le loro follie e i loro vizi, la provvidenza sarebbe troppo
negligente a lasciar dominare i più deboli. I cattivi
comandano per la viltà dei loro sudditi: ed è giusto
così, non il contrario”.7 Subire
l’ingiustizia è colpa che si paga con l’ingiustizia
stessa. La libertà umana comporta la responsabilità
anche delle vittime: non ci si può rivolgere agli dei come
bambini irresponsabili perché essi pongano rimedio all’ignavia
e all’imprevidenza. Il male morale è un problema solo
umano, gli dei non c’entrano: una posizione quasi
incomprensibile per una cultura come quella cristiana, incardinata
sulla provvidenza divina e sull’immagine del buon pastore. Note 1
Enneadi, I, 8, 3. 2
Enneadi, II, 9, 13. Plotino allude alle teorie gnostiche.
3
Enneadi, II, 9, 18. 4
Enneadi, I, 9, 1. 5
Enneadi, III, 2, 3. 6
Enneadi, III, 2, 13. 7
Enneadi, III, 2, 8. Sono tratti da questo paragrafo anche le
precedenti citazioni sul male morale. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2009-10 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Torino 28 novembre 2009 Giuseppe Bailone ha pubblicato
Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato
Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione
Università Popolare di Torino,
Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.
Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna
(pdf)
Plotino (pdf) |