IL MODO DI PRODUZIONE ASIATICO (M.P.A.)
UNA CATEGORIA ECONOMICA


CARATTERI FONDAMENTALI DELL'M.P.A.

Dopo aver descritto in sintesi i caratteri salienti dell'M.P.A. (ovvero delle società tipicamente asiatiche), cercheremo qui avanti di fare delle osservazioni ulteriori in merito a esse, soffermandoci in particolare sul rapporto esistente tra la dimensione politica e quella economico-produttiva all'interno di un tale modo di produzione.

In questa sede, ripeteremo spesso concetti e osservazioni già espressi nel paragrafo precedente, ma cercheremo comunque di inserirli in un più ampio ventaglio di idee e di problemi.

Se per "dimensione politica" intendiamo - secondo peraltro l'uso comune del termine - tutto ciò che riguarda la comunità nel suo complesso, prescindendo dai singoli individui e dai loro particolari punti di vista, nonché la gestione di tali aspetti, e se per "dimensione produttiva" intendiamo invece il complesso delle attività portate avanti da singoli soggetti, siano essi individui o gruppi - più o meno estesi - di individui, possiamo dire allora che nell'M.P.A. la dimensione politica prevalga nettamente su quella produttiva.

Ciò significa in sostanza, che la componente economica e produttiva - ovvero l'insieme delle cellule produttive che stanno alla base della società stessa, e che inclinano per propria natura, almeno potenzialmente, verso l'individualismo e l'anarchia - rimane fondamentalmente imprigionata in quella dirigistica e politica, perdendo così molti dei suoi caratteri originari.

Tutto ciò si esprime dicendo che, nell'M.P.A., il lavoro (ovvero il complesso delle attività economiche, sempre - anche se non sempre direttamente - produttive) è immediatamente sociale. Il che implica che, in un tale tipo di organizzazione, i singoli individui portino avanti le proprie attività, oltre che in ragione del proprio sostentamento personale, anche in vista delle esigenze della comunità, dalle cui istituzioni - sia centrali che periferiche - sono difatti guidati.

Sul piano giuridico, d'altra parte, non esiste (se non in forme secondarie e trascurabili) il fenomeno della proprietà privata : chi produce difatti, produce con mezzi (ex. le terre) che la stessa comunità gli ha affidato (e che egli gestisce per essa), ma che sono e restano in ultima analisi proprietà di quest'ultima!

Sempre per tale motivo poi, anche i prodotti del suo lavoro (al pari appunto dei mezzi che si trovano alla base della produzione) rimangono fondamentalmente una proprietà comune, ragion per cui - tolta la parte di cui egli si serve per la propria sopravvivenza - essi vengono incamerati dalla comunità, che può in tal modo usufruirne in base alle proprie esigenze di consumo, immediate o seguenti.

Come si può chiaramente vedere, nell'M.P.A. le strutture comunitarie o politiche 'imbrigliano' quelle produttive (la cui natura più profonda tuttavia è - come si è già detto - sempre individuale, in quanto frutto del lavoro di singoli individui o di singole entità), col risultato che le seconde, canalizzate appunto dalle prime, non possono - almeno in linea di massima - evolvere al proprio interno, né di conseguenza coinvolgere nella propria trasformazione le strutture politiche a esse complementari.

La prevalenza del pubblico sul privato si traduce quindi in un tale sistema in un fondamentale stato di immobilità, dovuto a una divisione di carattere funzionale dei compiti e delle attività che vi si svolgono - ciò che si traduce poi nell'esistenza di gruppi sociali chiusi, detti "caste".

Ma se la struttura e l'organizzazione produttiva dell'M.P.A. è caratterizzata da una divisione funzionale della popolazione - ovvero del complesso dei lavoratori -, quest'ultima, lungi dal poter essere considerata libera, è invece composta essenzialmente da funzionari, ognuno dei quali svolge un compito determinato (in qualche modo deciso 'ab aeterno', e perciò anche tendenzialmente inalterabile) all'interno dell'intera struttura sociale ed economica.

Né una tale 'catena produttiva', in sé chiusa e finita, trova facilmente delle ragioni che la inducano - o che la costringano - a mutare. Non è casuale infatti, che le società caratterizzate da un tale sistema produttivo, siano state caratterizzate di solito da una rapidità di trasformazione decisamente inferiore rispetto a quelle privatistiche di stampo occidentale.

Conquistate difatti alcune conoscenze che possiamo considerare basilari (e che furono in gran parte all'origine dell'uscita dalla precedente, e più primitiva, fase tribale o gentilizia…) le società asiatiche terminarono in sostanza la propria corsa verso il futuro, passando in sostanza la palla del progresso a quelle occidentali (ciò che spiega perché, ad esempio, se furono i Lidi a inventare la moneta come mezzo per facilitare gli scambi, furono invece le poleis greche a sviluppare successivamente le implicazioni privatistiche di tali attività, nonché l'uso stesso della moneta.)

(Ci pare interessante citare qui di seguito un brano di Ezio Savino, nel quale si descrivono molto in sintesi le caratteristiche organizzative salienti dell'Impero persiano del V-IV secolo; ciò in ragione del fatto che quest'ultimo sia un tipico esempio di Stato asiatico, organizzato secondo le modalità dell'M.P.A.

"Dario plasmò il magma di genti e tradizioni incluse nei confini, creando un equilibrio tra la centralità assoluta del trono e le pluralità locali. Emblema vivente dell'Impero era il monarca, vicario del dio supremo Ahura-Mazda, da cui irraggiava una spinta prodigiosa a dominare la totalità del mondo. Tutto era possesso del sovrano: uomini e beni. Egli era destinatario dei tributi e capo delle forze armate. Le <<province>> (satrapie) conservavano forme di autonomia culturale e religiosa, subendo però limiti vistosi nella sfera economica: esazione dei tributi, leve coatte, direttive centrali rigide sulle attività produttive e mercantili. Al governo delle province era il <<satrapo>>, nominato dal Re e in ogni momento destituibile. Un cancelliere e un generale dell'esercito lo affiancavano, definendone i poteri. Ispettori viaggianti, <<gli occhi e le orecchie del Re>>, perlustravano le satrapie, riferendo al sovrano sullo stile dell'amministrazione, e sulla docilità dei governatori. Questi funzionari imperiali facevano da deterrente alle ambizioni dei notabili periferici, non di rado ansiosi di autonomie eccessive, e autori di aperte rivolte.
Concreti fattori di coesione erano una rete viaria estesa ed efficiente, per movimenti rapidi di notizie, comandi, truppe, e la circolazione di una moneta unitaria - il darico, la moneta di Dario - che garantiva ordine agli scambi commerciali interni e all'afflusso dei tributi [corsivo mio]".)

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Adriano Torricelli - Homolaicus - Contatto - Sezione Economia


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Aggiornamento: 12/09/2014