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AMBIGUITA' E ROVESCIAMENTO
DONNE, POLITICA, GUERRA, GUERRA CIVILE
Abbandoniamo per un poco tale prospettiva e cerchiamo di individuare la
presenza delle donne nella storia della città. Se è vero che essa è pensata
come un club di uomini, la loro presenza non può che essere minima.
Le donne fanno parte del gruppo degli achreioi, degli inutili, visti
in questo ordine:donne, vecchi e bambini; i vecchi ed i bambini sono
inadeguati in quanto gli uni non possiedono più l'età, gli altri non l'hanno
ancora, per esercitare attivamente la funzione di cittadini; le donne sono
un gruppo aperto, composito, né cittadine né non cittadine, tesoro che si
ripone, come premio della lotta in quanto in esse e nei bambini la città
difende la propria capacità di riprodursi e perpetuarsi.
Messe al sicuro, prese in ostaggio, divenute schiave, sono un oggetto
passivo tant'è vero che il sintagma viene sempre citato all'accusativo
pa…daj
ka…
guna…kaj
(paidas kai gynaikas).
Esse fanno alcune fugaci apparizioni in momenti di grave crisi. Gli esempi
mitici di donne guerriere le mostrano anormali, come nel caso delle Amazzoni
che mutilano volontariamente se stesse di uno dei seni per eliminare un
impedimento fisico all'uso della faretra e finendo per risultare una parodia
dell'uomo; la vittoria riportata da Teseo su di loro viene presentata dagli
oratori ufficiali ateniesi (cfr. Lisia nella sua Orazione funebre)
come vittoria di veri uomini su donne anormali, come ristabilimento della
normalità e riconferma della inferiorità femminile attraverso la sconfitta.
Altro esempio, storico ma che divenne presto mitico, è quello della regina
Artemisia narrato da Erodoto (VII 68 e segg..) Artemisia ha assunto, alla
morte del marito, il compito virile di tiranno; compete in un campo
improprio alla sua natura femminile, come quello della guerra e del valore
(per definizione virile,
¢ndre‹a, andreia); prima della battaglia di
Salamina dà un consiglio al re di Persia, applicando una griglia di pensiero
maschile greco che ribadisce la differenziazione dei sessi e dei ruoli; il
grande re non deve accettare una battaglia navale "perché questi uomini [i
Greci] sono sul mare tanto più forti dei tuoi quanto gli uomini sono più
forti delle donne", e quando riesce, con l'astuzia, a sfuggire con la sua nave
all'inseguimento degli Ateniesi, Serse, constatando la rotta dei suoi,
riflette amaramente che i suoi soldati: "sono diventati donne e le donne (scil.
Artemisia) uomini. "(VII 87).
Gli Ateniesi reagiscono allo smacco in un modo
diverso: per ristabilire l'ordine di un mondo altrimenti alla rovescia,
promettono una ricompensa di mille dracme per la cattura di Artemisia viva "tanto ritenevano intollerabile che una donna venisse a far guerra ad Atene.“ (VII 93)
Tucidide, nella sua storia, presenta un gruppo di donne una prima
volta quando il popolo di Platea effettua un contrattacco notturno nella
città occupata dai Tebani; i Tebani resistono. "Poi, mentre i Plateesi
attaccavano con grande tumulto, e intanto dalle case le donne e gli schiavi
gridavano ed ululavano e scagliavano pietre e tegole, in mezzo alla pioggia
che per tutta la durata della notte cadde in abbondanza, si spaventarono."
Pochi Tebani riescono a scampare, per l'intervento di una donna "avuta una
scure da una donna, uscirono di nascosto da una porta lasciata incustodita,
dopo averne spezzato il chiavistello; ma non furono molti, perché i Plateesi
se ne accorsero ben presto." (Tuc. II,4,4)
Il secondo episodio riguarda la
st£sij
(stasis, guerra civile) di Corcira, (427) dove si scontrano le opposte
fazioni di oligarchici e democratici; ambedue hanno promesso la libertà agli
schiavi, che si alleano con il demo.(Tuc. II 4 2-7)
Passato un giorno si
ingaggia di nuovo battaglia e il popolo vince, superiore per numero e per i
vantaggi che offrivano le sue posizioni. "E le donne audacemente
coadiuvavano, scagliando tegole dalle case e sopportando il clamore della
battaglia più di quanto consentisse la loro natura." (Tuc. III 73-74)
La
presenza congiunta di donne e di schiavi è il segno maggiore del disordine
per la città. L'azione delle donne non rispetta le norme del comportamento oplitico; le armi non sono quelle canoniche, ma mezzi improvvisati, quelle
dei non-soldati; la guerra non è né quella vera né quella buona, in cui si
applicano le regole del combattimento leale; si tratta di momenti di
disordine e la st£sij
(stasis) di Corcira, la prima menzionata da Tucidide,
tende ad assumere un valore esemplare per lo stravolgimento di tutti i
valori morali, etici, politici che regolano la convivenza umana e per la
scomparsa di quel logos che rappresentava, per i Greci, non solo la
qualità distintiva dell'uomo ma quella che indicava il suo grado di dignità,
la capacità di saper pensare e modellare il reale e di interpretare in
maniera intelligente gli avvenimenti umani; il dominio del logos costituiva
inoltre la qualità principale richiesta all'uomo politico e lo strumento
principe della vita democratica ateniese. In un altro episodio citato da
Enea il Tattico ricompare un'annotazione sulla natura femminile (Poliorcetica, 40
4-5).
L'evento accade a Sinope: in mancanza di uomini “si fece assumere alle donne
fisicamente più adatte all'uopo un aspetto ed un equipaggiamento più
maschili possibili, dando loro, a mo’ di armi e di elmi, le loro brocche ed
i loro utensili di bronzo dello stesso tipo... ma esse non avevano il
permesso di tirare, perché si sarebbe visto bene anche da lontano che era
stata una donna a tirare."
Travestimento, finzione, finte armi.
Interessante, per dimostrare la polarità e lo scambio, l'esame dei riti di
iniziazione maschili e femminili. "Se i riti di passaggi significano per
gli adolescenti l'accesso alla condizione di guerriero, per le fanciulle a
loro associate in questi riti... le prove iniziatiche hanno il valore di
preparazione al matrimonio. Il matrimonio è per la giovane quel che la
guerra è per il ragazzo.. Così una fanciulla che rifiuta il matrimonio,
rinunciando per ciò stesso alla femminilità, viene a trovarsi in certo modo
respinta al lato della guerra per diventare paradossalmente equivalente ad
un guerriero. E' quanto si constata, sul piano del mito, con personaggi
femminili del tipo delle Amazzoni e, sul piano religioso, con dee come
Atena: il loro statuto di guerriere è legato alla condizione di parthenoi
[vergini] che hanno fatto voto di verginità per sempre... Così i
combattimenti fittizi in cui le adolescenti d'una stessa classe d'età si
affrontano da guerriere... hanno inoltre il valore di una prova per accertare
la verginità: le fanciulle che soccombono nei combattimenti rivelano da sé
di non essere vergini. In uno dei luoghi in cui la tradizione greca
collocava la nascita di Atena Tritogeneia [Erodoto IV 180,189] il gruppo
delle parthenoi, divise in due campi, combattevano le une contro le altre a
colpi di pietre e di bastoni; quelle che morivano delle loro ferite erano
chiamate pseudoparthenoi, false vergini. Se le false parthenoi si tradiscono
così nella prova guerresca durante la quale soccombono, il giovane guerriero
può rivelare la propria natura autenticamente bellicosa attraverso
un'apparenza di parthenos. E' il caso di Achille, educato come una fanciulla,
tra fanciulle, in abiti da fanciulla... Del resto, per ciascun sesso,
l'iniziazione che lo porta a compimento nella sua qualità specifica di uomo
o di donna può comportare, attraverso lo scambio degli abiti, la
partecipazione momentanea alla natura dell'altro sesso, di cui diventerà,
separandosene, il complemento. Le iniziazioni guerriere dei giovani fanno
normalmente ricorso a travestimenti femminili, come, a Sparta, la giovane
sposa il primo giorno delle nozze indossa abiti maschili [Plutarco, Lic.15,5]."
(J. P. Vernant, La guerra tra le città, pagg. 29-31) in Mito e società
dell'antica Grecia, Einaudi 1981).
Ancora sul concetto di natura femminile:
Senofonte (Hell. VI 5 28) cita un episodio, all'indomani della sconfitta di
Leuttra subita dagli Spartani, in cui i Tebani si presentano di fronte a
Sparta, dopo aver devastato la Laconia. Gli spartiati, nella città senza
mura, si ergono come baluardo coi loro corpi "pur essendo ed apparendo
pochi; in città le donne non sopportavano nemmeno la vista del fumo, perché
non avevano mai visto un nemico."
Tale breve annotazione viene commentata da
Aristotele (Politica II 1269 b): "Mentre l'audacia (thrasytes) non serve a
niente... le donne, anche in questo campo, hanno fatto il peggior danno ai
Lacedemoni. Lo dimostrarono bene al tempo dell'invasione tebana:
completamente inutili come in tutte le altre città, causarono più scompiglio
(qÒrubon,
thòrybon) dei nemici."
Per Aristotele la virtù maschile è
¢ndre‹a
¢rcik» (andreia archikè) cioè virtù di dominio e la virtù delle donne è
invece virtù di sottomissione (Øphretik»
yperetichè); l'audacia che si
attribuisce alle donne spartane è parodia del coraggio mentre le annotazioni
di Tucidide ed Enea il Tattico alludono alla paura come distintiva della
psicologia femminile. La natura femminile si muove quindi sugli opposti di
audacia e paura; è distinta dall'eccesso e non a caso compare fugacemente
solo nei momenti di
st£sij, stasis, rivoluzione, e provoca scompiglio (qÒrubon,
thòrybon).
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