LE DONNE NEI TESTI TEATRALI DEI TRAGICI

Abbiamo iniziato l'esame dei nostri temi nella tragedia e proseguiamo
analizzando in questa la posizione della donna. La prima distinzione da fare
è quella tra gnòme (gnèmh)
tragica e rappresentazione tragica del femminile.
La gnome è da una parte tratto connotativo del personaggio che la
pronuncia, dall'altro ha un valore denotativo, un significato generale,
extratestuale che coopta il consenso del pubblico. Tant'è vero che le varie
gnòmai (gnèmai)
ci presentano un'immagine del femminile quanto mai stereotipa e scontata.
Cosi Eteocle (Sette contro Tebe, vv. 230-232): "Degli uomini son
questi gli impegni: sacrificare agli dei ed interrogare gli oracoli quando
ci si trova a cimento col nemico. A te invece tacere e restare a casa."
Gli fa eco l'Aiace sofocleo (v. 293): "Donna, alle donne ornamento è
il silenzio". Nella casa è bene addirittura impedire l'acceso alle amiche:
"L'assennato che ha moglie non deve lasciarla visitare in casa da donne. Son
loro ad insegnarle il male." (Andr. vv. 945-946).
Il silenzio rappresentava una prescrizione ed una virtù peculiare delle
donne; esso consente di non divulgare ciò che va mantenuto nel segreto della
casa e non fa esporre al pubblico una creatura inadatta per natura a
pubbliche funzioni; è connesso con la virtù femminile (swfrosÚnh,
sophrosyne) che si identifica con la castità e col pudore, in quanto
la voce può essere mezzo di seduzione.
Ed ancora l'Elettra euripidea (75-76): "...quel che è dentro casa
tocca a me pensarci. A chi arriva dal lavoro fa piacere trovare la casa in
ordine." E poi Andromaca (213-214): "...perché la donna, anche se è data ad
uno sposo di poco conto, deve saperlo amare e non avere tanti pensieri."
Tali esempi potrebbero essere moltiplicati, ma con scarsa utilità; si
potrebbe invece discutere lungamente sul valore connotativo e/o denotativo
del celebre: "Siamo donne, al bene quanto mai incapaci, ma sapientissime
fabbricatrici di ogni male “ (Medea 408-409).
Per quanto concerne il campo delle rappresentazioni il discorso è molto
complesso. Solo un cenno ad Eschilo. La figura femminile eschilea che
risalta maggiormente è una donna non femminile: "Così comanda il cuore di
una donna dai virili propositi." (Ag. vv.10-11)
E' Clitennestra che uccide, e con un'arma virile: l’ascia. Il registro del
rovesciamento dei ruoli sessuali viene completato dalla definizione di
Egisto come o„kourÒj
(oikouròs, domestico, inerte, vile) e, senza mezzi termini,
gun» (gynè),
donna.
Le implicazioni dell'astuzia legata al desiderio appartengono correntemente
alla sfera del delitto e della guerra. Più di una tragedia illustra questa
relazione; ad esempio l'Elettra di Sofocle, quando evoca l'assassinio
di Agamennone per mano degli adulteri: "La frode (dÒloj,
dòlos) concepì il delitto, il desiderio (œroj,
èros) uccise" (197-200)... "D'altra parte... il desiderio conduce nel
suo slancio alle nozze...[ma] il gàmos (g£moj)
è già nell'amplesso... Da ciò consegue che gamos (g£moj)
e polemos (pÒlemoj)
saranno quasi sempre legati in modo molteplice e inestricabile... Segno
certo di ciò è il fatto che all'interno del discorso poetico l'uno possa
servire da metafora all'altro, e così pure le nozze alla morte (q£natoj
thanatos)... Certo, l'unione amorosa può essere presentata come
voluttuosa e feconda attraverso la felice complementarità delle potenze del
desiderio - ivi compresa l'astuzia. Ma spesso è sentita come distruttrice e
allora si muta in ciò che poteva sembrare il suo contrario. Questo
ribaltamento ha radice nell'ambiguità della visione, ma anche in quelle
dell'amplesso, quando è propriamente considerato sotto l'aspetto di corpo a
corpo...[Comunque] ciò che, in Eschilo, trasforma il gamos in
polemos non è tanto... la realtà fisica del contatto tra le persone,
quanto la prevalenza delle relazioni familiari deviate." (Durup,
L'espressione tragica del desiderio amoroso, pagg. 152-153 in Calame,
L'amore in Grecia, Laterza).
Qualche cenno anche per Sofocle. nell'Antigone Ismene parla per
gnomai e ribadisce la condizione di inferiorità e subalternità femminile
(cfr. vv. 61-67).
Ma un altro contrasto è vissuto in maniera ossessiva da Creonte, quello fra
legge e solidarietà, nomos e philia che si concretizza nel
contrasto uomo-donna: "Se ha potere di farlo impunemente, non più io sono
l'uomo, ma lei." (481-482) Sempre lui, il tiranno, pone fine alla contesa
verbale con un lapidario: "Finché vivo, non comanderà mai una donna." (525)
Tralasciamo a malincuore persino di sfiorare la complessità tematica di
questa tragedia ed osserviamo che in questa, come in altre tragedie di
Sofocle, non si registrano posizioni nuove o problematiche del rapporto fra
uomo e donna. Antigone è rappresentata in una funzione tipicamente legata
alle donne: quella del culto dei morti.
Nelle Trachinie il tema è quello amore-matrimonio, cioè il fine
ultimo della vita di ogni donna; in questo caso Deianira, la moglie di
Eracle, quando apprende che il marito torna a casa accompagnato dalla
giovane Iole, che è intenzionato a tenere come concubina, nel disperato
tentativo di recuperare l’amore perduto, gli invia come dono una camicia
intrisa del sangue del centauro Nesso: l’effetto non è quello voluto, ma
disastroso: Eracle muore tra i tormenti.
Il drammaturgo che in questa occasione ci interessa esaminare è Euripide che
presenta una lezione del femminile che risulta molto discutibile. Egli
infatti è l'unico tragediografo che ha provocato contrastanti commenti già
nella antichità e persino fra i suoi contemporanei. Basti citare il suo
'nemico’ Aristofane, che lo accusa di aver femminizzato la tragedia,
avendovi reso protagoniste delle donne, avendo insegnato loro a parlare,
presentando le sapienti e le prostitute, le oneste ma soprattutto le
disoneste adultere ed incestuose.
L'interrogativo era e rimane: Euripide è femminista o antifemminista? Le
dichiarazioni antifemministe espresse dai personaggi di Euripide sono
numerose e si possono sintetizzare in questi tre motivi:
1) il motivo della infedeltà,
¢pistosÚnh (apistosyne),
topico dalla caratterizzazione esiodea di Pandora in poi. (Cfr, Ipp.
480-481; 1249-1254 Andr.85) "Taci, non mi fido affatto delle donne." dice
Pilade ad Elettra.
2) l'altro motivo topico della
mwr…a (morìa)
la follia che diventa spesso tratto connotativo della natura femminile (cfr.
Medea vv. 61,457; Andromaca v. 938; Ippolito v. 966;
Troiane v.1059) e altrettanto spesso tende a coinvolgere la sfera
sessuale, tanto che Clitennestra afferma che la follia sessuale e la donna
sono senz'altro tutt'uno: "Mèron
mšn
oân
guna…kej
(mòron mèn ouv gynàikes)" (Elettra v. 1035). Le donne sono
profondamente anarchiche, l'unico movente sovrano è il letto, (lšcoj,
lechos). Per citare esempi celebri: "Una donna è timorosa in tutto,
debole di fronte alla forza ed alla vista del ferro. Ma quando si vede
tradita nel letto [eÙn»n],
non c'è nessun cuore più assetato di sangue." (Med. 264-266) "Anche
tu non potresti obiettare niente, se non ti bruciasse il letto [lšcoj].
Voi donne siete fatte così: se l'amore coniugale va bene [Ñrqoumšnhj
eÙn»j]
credete di avere tutto, ma se vi toccano nel letto [lšcoj
lèchos] le cose preferite e più belle le fate diventare le più nemiche." (Med.
567-573) (Cfr. anche El. 1035 Tro.988 segg.) Lo stereotipo
della sfrenatezza sessuale connessa con la seduzione-inganno, come è stato
detto, trova il suo fondamento nei testi basilari della cultura greca e
persisterà per tutta l’antichità.
3) ultimo motivo, quello della donna assassina. La follia sessuale non è che
una delle facce del genio distruttore femminile: il mito di Lemno aveva
esemplificato la violenza collettiva femminile con l'esito estremo dello
sterminio di un'intera genia di maschi. Un'interessante spiegazione
sociologica di tale tipologia femminile la propone P. E. Slater (in
La tragedia greca. Guida storica e critica, a cura di R. Beye,
Laterza 1974 Il rapporto madre-figlio in Grecia: sue origini e
conseguenze pagg. 159-176); egli considera l'immaturità fisica ed
intellettuale delle spose bambine, la successiva acquisizione di
consapevolezza di essere un nulla nella società e, per converso,
dell'importanza sociale di procreare un erede maschio, proiezione della
madre e surrogato idealizzato del padre.
Su di esso si sarebbe riversata l'ostilità inibita nei confronti del padre,
sempre assente da una casa in cui diveniva schiacciante il dominio di queste
madri frustrate. Lo studioso afferma: "Ciò mi sembra spiegare adeguatamente
la presenza nella tragedia greca di donne attive ed aggressive." Ed anche:
"Il disprezzo del maschio greco per le donne non solo era compatibile, ma
anzi indissolubilmente legato alla paura di esse ed al tacito sospetto
dell'inferiorità maschile." (pagg. 162-163)
Il matrimonio è uno dei temi prediletti da Euripide. Per la donna, il
matrimonio rappresenta il culmine dello sviluppo ed il fine principale:
oltre il matrimonio non succede più nulla per Io, che, nell’omonima
tragedia, pone fine a tutte le sue sofferenze con la procreazione di un
figlio per Zeus.
L’identità di una donna viene definita in relazione al matrimonio, rifiutare
il matrimonio può solo procurare rovina, come nel caso di Cassandra, il cui
rifiuto ad unirsi con Apollo procura pazzia, emarginazione, incredibilità.
Ancora peggiore il caso delle Amazzoni: il rifiuto del matrimonio, unito al
dispiegarsi sfrenato della sessualità in cui l’uomo è solo strumento ed
oggetto (addirittura volutamente mutilato) è mondo alla rovescia, stato
selvaggio, quello in cui si può andare a caccia nelle selve; le Amazzoni,
che non superano questo stato, rimangono emarginate e vivono in luogo
selvaggio, geograficamente remoto e tanto più lontano quanto lo è il modello
culturale rovesciato: la dedizione alla guerra è collegata addirittura ad
una anormalità fisica!
Le donne di Lemno, che rifiutano l’unione con gli uomini, dopo aver ucciso i
mariti, vivono nel terrore della punizione e con il marchio infamante di
ammazzamariti.
Le Danaidi per questa colpa manterranno in eterno questo marchio infamante
nella punizione degli Inferi. Il matrimonio è visto nella sua estremità
positiva nell’Alcesti, la cui dedizione all’amore ed al marito la porta ad
accettare di morire in sua vece.: “E quale prova più grande una può dare
dell’onore in cui tiene lo sposo che accettando di morire per lui?“ (vv.
154-155)
Anche per Medea il suo uomo ed il matrimonio sono il centro e l’unico scopo
della sua esistenza (vv. 228 e segg.). In questo caso la tragedia
rappresenta il fallimento del legame amoroso e coniugale e la protagonista
agisce in maniera distruttiva, non in modo inconsapevole, come la Deianira
di Sofocle: anche Medea manda un dono alla sua rivale oggetti tipicamente
femminili, un diadema ed una veste, ma nella consapevolezza che questi
saranno gli strumenti della sua vendetta e che provocheranno una morte
atroce alla sua rivale, Glauce.
L'uomo è, invece, costretto al matrimonio perché tale istituzione
costituisce la forma per una legittima procreazione, e talvolta vi appare
come vittima. “Andate, sposatevi; poi morite per le droghe e le astuzie
delle donne." (Cretesi 464)
Il matrimonio equivale a minaccia di morte e di distruzione (vedi Medea)
e nel migliore dei casi comporta la dilapidazione del patrimonio e
l'alienazione fisica. "Lui che era libero, eccolo schiavo del suo letto per
aver venduto il suo corpo al prezzo di una dote."(Oreste 566 segg.)
E' l'uomo l'oggetto del mercato, lui che perde la libertà: il paradosso è
chiaro. La minaccia mortale di annientamento totale da parte delle donne,
che risuscita il fantasma ancestrale dell'eccidio di Lemno, costituisce
l'oggetto della seconda parte dell'Oreste.
Il processo contro il matricida si rovescia in un processo contro le donne
totalmente da eliminare per evitare l'annientamento, la degradazione. Oreste
che ha impedito l'instaurazione di questo nomos, merita una corona!
(566 e segg.)
Il ristabilimento dell'ordine è operato, con improvviso cambiamento, da
Apollo: egli restituisce le donne alla loro vocazione coniugale e dà in
sposa ad Oreste quella Ermione che poco prima egli si accingeva ad uccidere
(come non pensare ad una provocazione, ad una punta di umorismo!).
Ad Elena viene restituito il pregio della sua bellezza e si preannuncia la
sua apoteosi; la guerra di Troia non è stata uno scandaloso massacro per
colpa di una sola donna, ma espressione "della volontà divina di purificare
la terra dalla insolente follia dei mortali che l'attanagliava."
Ancora un rovesciamento; la guerra non è da attribuire alla perversità delle
donne ma a quella degli uomini. Significativo per riconfermare tale
rovesciamento, un coro della Medea, in cui addirittura le acque dei fiumi
tornano indietro, l'apistosyne, (¢pistosÚnh
infedeltà) ed il dòlos (dÒloj
inganno) sono prerogativa degli uomini; alle donne è riservata la timè
(tim» onore; ma
le timài anche come il latino honores erano anche le cariche
pubbliche) e l’èukleia (eÜkleia
buona fama; il termine kleos indicava la fama aristocratica, tipica
del guerriero omerico); basta una condizione perchè tale ribaltamento sia
operato: Apollo, il dio della poesia, dia voce alle donne:
"A ritroso vanno le acque sacre dei fiumi;/ il giusto ordine delle cose
viene stravolto./ Gli uomini non pensano che agli inganni / e la fedeltà
giurata in nome degli dei vacilla./ Ma l'opinione pubblica cambierà la mia
condizione / e la renderà degna di rispetto./ Le donne stanno ottenendo il
rispetto:/ non avremo più cattiva fama./ Le muse degli antichi poeti
cesseranno / di celebrare la mia perfidia./ Al nostro ingegno / negò il dono
della poesia / Apollo, maestro di canti; altrimenti avrei ricambiato / la
razza dei maschi. Nel volgere degli anni, infatti, / molte cose si possono
dire di loro come di noi ". (410-430)
In questa tragedia il violatore della pìstis (p…stij,
fede) è Giasone; come può essere accusata una donna di sconvolgere l'ordine
sociale? Le donne di Euripide, spesso tacciate di intellettualismo, sono
prima di tutto esseri coscienti, capaci di leggere e spiegare la realtà e di
darne quel rendiconto che connotava la responsabilità di cittadino.
In un improvviso rovesciamento, le donne divengono da vittime ed oggetti,
agenti e soggetti a tutti gli effetti, capaci di deliberare e di scegliere
con grande lucidità; sono lo strumento attraverso cui Euripide, nel
ridiscorrete la condizione femminile, mette in discussione le ideologie
tradizionali e quelle contemporanee, gli stereotipi maschili e quelli
femminili, la storia ed il mito, libero di riesaminare un sistema e di
scrivere una vicenda al femminile.
In effetti il teatro di Euripide invita ad un'analisi molteplice, su diversi
livelli, specialmente dei personaggi misogini, dalla passione sospetta.
Menelao: "Non ti è bastato il sangue già versato di tua madre?" Oreste: "Non
smetterò di uccidere le malvagie, mai." (Or. 1589-1590)
Tali battute riecheggiano la più nota apostrofe di Ippolito (664 segg.):
"Siate maledette. Non mi sazierò mai di odiare le donne, neanche se qualcuno
dice che lo ridico sempre. Anche quelle, infatti, sono sempre malvagie.
Qualcuno insegni loro ad essere oneste o mi si lasci insultarle sempre."
Nel contesto, la hybris (Ûbrij)
di Ippolito è evidente sia nella generale violenza degli insulti sia nel
rifiuto dell'ordine naturale e sociale vigente, operato attraverso
un'impossibile reverie di un mondo primigenio, senza donne in cui
"gli uomini, depositando nei tuoi [di Zeus] templi bronzo o argento o oro
massiccio potevano comprare seme di bambini, ciascuno secondo il valore
dell'offerta, e vivere in case libere da femmine." (620-624)
Al di là di queste fantasticherie c'è la polemica di fondo contro la follia
femminile, contro la loro irrefrenabile lascivia che il casto Ippolito fugge
come la peste, vivendo nelle solitudini montane e ponendosi al di fuori
della città.
La forzatura non offusca il senso di una polemica più generale e molte
affermazioni misogine dei personaggi euripidei risultavano sicuramente
condivise da un gran numero di persone.
La pratica della citazione di tali posizioni, supportata da quella aggiunta
di leggibilità che le viene conferita dallo schematismo e dalla esemplarità
della azione scenica, viene operata secondo il meccanismo della
distanziazione, dell'ironia, dell'interrogazione spontanea.
Se prerogativa del teatro è quella di riflettere su ciò che è politico, le
megalomanie e le aberrazioni che accompagnano i discorsi dei misogini
mettono ancora più in risalto ed in discussione le opinioni di fondo ad esse
sottese e che ne erano il movente.
Esprimere un sicuro giudizio risulta per noi difficoltoso per diversi
motivi; di metodo per l’impossibilità di distinguere il livello connotativo
e quello denotativo; di confronto, perché ci mancano i modelli letterari e
culturali di riferimento; di procedura, trattandosi di un poeta ambiguo fino
alla vertigine, volutamente contraddittorio, sempre problematico e talvolta
scopertamente provocatorio.
A proposito dell’interpretazione del senso nella tragedia greca, scrivono
Vernant e Vidal-Naquet (Mito e tragedia due. Il Dioniso mascherato delle Baccanti di Euripide,
Einaudi 1991 pagg. xx e segg.): "La ricerca del senso si faceva con un va e
vieni fra l'esterno e l'interno. Si tratta quindi di un percorso spaziale
mobile, che suggerisce una pluralità di percorsi e di eventuali approdi.'
L'interpretazione ha una storia, che lascia dietro di sé tanto delle
acquisizioni durevoli quanto delle problematiche dimenticate. Anche noi
facciamo parte di questa storia, e non c'è bisogno di dire che non si tratta
di una imprecisata dialettica hegeliana, che sfocia nel trionfo di un'Idea
"(ib. pag. 106)... Il critico dichiara che l'interpretazione definitiva non
esiste ma ne esistono piuttosto varie, che si succedono nel tempo...
Ciascuna generazione ha sempre una questione più seria di quelle poste sino
a quel momento, da sottoporre all'attenzione delle persone che leggono in
contemporanea il testo “(ib. pagg. XVI-XVII).
Per concludere il discorso, risulta comunque difficile negare credibilità
all'amara constatazione espressa da Creusa (Ione vv. 398-400): "La
condizione delle donne nei confronti degli uomini è difficile. Siamo
disprezzate anche se buone in mezzo alle cattive. Così sfortunate siamo
nate" o a quella ancora più recisa e generalizzante espressa da Fedra (Ippolito
vv. 406-407): "sapevo bene di essere una donna, oggetto di disprezzo per
tutti (m…shma
p£sin,
mìsema pàsin)".
I
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IV - V -
VI - VII - VIII -
IX - X -
XI - XIII |