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LA PROBLEMATICA FEMMINILE NELLE TESTIMONIANZE ANTICHE

2) lo stereotipo femminile nei testi letterari Lo stereotipo trova il suo
fondamento nei testi basilari della cultura greca, in Omero ed Esiodo. La
schematicità e tipicità del racconto omerico configura - è stato riconosciuto -
un universo di relazioni stabili socialmente organizzate.
La lunga scena di seduzione operata da Era nei confronti di Zeus e narrata
nel XIV libro dell’Iliade costituisce racconto esemplare. La vestizione
di Era ha un significato magico: la dea indossa le vesti per l’amore come l’eroe
indossa le armi per la guerra. Nello specifico, Era riceve in prestito da
Afrodite una fascia ricamata capace di ammaliare in modo irresistibile e di
suscitare amore, desiderio e carezzevole persuasione. La finta ritrosia di Era
completa, a livello operativo, la macchinazione ingannevole, la dea, quando
scorge il marito, lo trova addirittura odioso (stughrÒj,
stygheròs) e completa l’inganno inventando un litigio fra Oceano e Teti.
Zeus cade nella trappola, e rivela di essere preda di un desiderio amoroso
straordinario ed inserisce Era nell’ambito delle sue conquiste, di cui fa un
dettagliato elenco; se, da un verso, tale enumerazione può facilmente essere
giudicata grossolana mancanza di tatto, dall’altro rimarca la potenza
fecondatrice del re degli dei e la sovranità maschile.
Era, invece, mira ad ”ingannare la mente di Zeus” per indurlo,
attraverso il sesso ed il sonno, al proprio volere, ma il conseguimento dello
scopo specifico fa parte della generale capacità ingannatrice della donna che
seduce l’uomo e lo rende incosciente e vulnerabile. D’altronde Afrodite
rappresenta l’intero campo di azioni che sono comprese tra il fascino e la
seduzione e la soddisfazione del desiderio.
Abbiamo già visto che in Omero la divisione dei sessi non era così ben
delineata; se è vero che l'eroe manifesta caratteristiche “femminili”, si può
anche notare, per quel poco che appaiono le donne, che l'eroina dell'Iliade,
Andromaca, porta un nome da Amazzone e quando piange nel cordoglio si dice che
soffre come un guerriero che muore. E se tale osservazione può risultare
irrilevante, ben dichiarata e puntuale è la divisione sociale dei sessi.
Ettore, nel famosissimo episodio dell'incontro con Andromaca, spiega
chiaramente (Il. VI 441 segg.): "Ho tremendamente vergogna dei Troiani
e delle Troiane se mai dovessi fuggire come un vile lontano dalla guerra".
Il rispetto dell'opinione pubblica (a„dèj,
aidòs), in quella che Dodds ha definito molto icasticamente civiltà di
vergogna, indica insieme la più potente forza morale nota all'uomo greco e nel
contempo l'obbligo inderogabile del rispetto di un modello di comportamento
inequivocabilmente e rigidamente definito. (Cfr. Dodds,
I Greci e
l'irrazionale, La Nuova Italia cap. II pagg. 33 e segg.) La definizione
dello stereotipo non è solo operata al negativo ma prosegue dettagliata al
positivo: "né l'animo a ciò mi esorta, poiché ho imparato ad essere valoroso
sempre e a combattere fra i Troiani in prima fila, cercando di conservare la
gloria di mio padre".
La perpetuazione del modello, da padre in figlio per il passato, viene
ribadita per il futuro nella preghiera che Ettore esprime per il figlio
Astianatte (vv. 476 e segg.): "O Zeus e voi altri dei, concedete che anche
questo mio figlio sia, qual appunto son io, illustre fra i Troiani, e del pari
valente per il suo vigore... ed un giorno qualcuno possa dire di lui quando
torna dal campo di battaglia 'costui è molto più forte del padre'; porti egli le
sue spoglie cruente dopo aver ucciso il nemico e la madre si rallegri in cuore".
Questa esaltazione della figura del maschio combattente, che si ritrova in
popoli anche di cultura molto diversa, si esalta nel duello fra due eroi, per
cui si parla, per Omero, di etica agonale. Anche la madre è consapevole
di ciò ed accetta la univocità dei ruoli, non solo di quello eroico maschile, ma
anche di quello subalterno femminile che Ettore ribadisce in maniera brusca per
concludere il colloquio (vv. 490 e sgg.). "Suvvia, torna a casa e prenditi
cura dei tuoi lavori, il telaio ed il pennecchio ed ordina alle ancelle di
attendere al lavoro: alla guerra penseranno gli uomini".
Grave insulto era, per un guerriero, essere paragonato ad una donna. Tersite
apostrofa i suoi compagni con l'insulto più offensivo (Il. II 235): “ð
pšponej,
kak’™lšgc’,’Acaˆdej
oÙkšt’
‘Acaio…, (o
pèpones, kak’elènk’Akàides ouket’Achiòi) poltroni, brutti vigliacchi,
Achee non più Achei” (riecheggiato da Virgilio (Aen. IX,617): "O
vere phrigiae, neque enim Phriges").
Ancora Ettore insulta in maniera cosi violenta Diomede che questi, benché il
triplice fulmine di Zeus indichi che la vittoria sarà dei Troiani, si appresta
ad attaccare l’avversario: (Il. VIII 163-164): “gunaikÒj
¤r’
¢nt…
tštuxo,
œrre,
kak»
gl»nh
(gynaikòs ar ‘antì tètyxo, èrre, kakè glène) ti sei cambiato in
femmina! Vattene, sciocca bambola.”
Il pensiero è cosi comune e diffuso nella
mentalità greca antica che uno dei primi legislatori, Caronda di Katane (VII
sec.) prevede per i disertori un mutamento di pena, da quella di morte, alla
esposizione al pubblico ludibrio, nell’agorà, in vesti femminili (Diod. Siculo
XII,16,1-2).
Per concludere puntualizzando i rapporti fra uomo e donna in epoca omerica, ci
serviamo di un commento all’incontro fra Ettore ed Andromaca di un noto studioso
americano: è evidente che Ettore vuole bene ad Andromaca, come “Odisseo vuole
bene a Penelope.. e la considera sessualmente desiderabile: essa è parte di ciò
che egli intende per ‘casa’, la madre del caro figlio, e la padrona del suo
oikos. Il matrimonio monogamico è la regola … Il significato della monogamia non
deve però essere frainteso. Essa non imponeva al maschio la sessualità
monogamica né metteva la famiglia ristretta al centro della vita affettiva
dell’uomo. La lingua non aveva un parola per indicare la famiglia ristretta...
Agamennone aveva detto di Criseide, la prigioniera figlia del sacerdote” si, la
preferisco a Clitennestra, mia legittima compagna di letto” (Il. I vv. 113-114).
Di fatto, da Omero fino alla fine della letteratura greca non ci sono parole
comuni col significato specifico di ‘marito’ e ‘moglie’: Un uomo era un uomo, un
padre, un guerriero, un nobile, un capo, un re, un eroe; linguisticamente non
era quasi mai un marito.” (M.I. Finley,
Il mondo di Odisseo, Marietti Scuola 1992
pagg. 99-100 passim) La divisione dei sessi e dei ruoli rimarrà inalterata, secondo questo schema,
fino all'epoca classica; basta rileggersi i vv. 505 e seguenti della
Lisitrata
di Aristofane, in cui, la persistenza del modello viene inequivocabilmente
ripetuta, rimarcandone l’origine con la citazione omerica: "E lui, guardandomi
di traverso, mi diceva di badare a tessere, altrimenti avrei avuto mal di testa
per un pezzo 'alla guerra penseranno gli uomini’". Anche la sfera di attività riservata alle donne è rigidamente definita ed è
esclusivamente attinente alla cura dell’oikos: cucinare, filare tessere; è per
questo motivo che, tra gli oggetti funerari ritrovati nelle tombe femminili, ci
sono recipienti per la cottura dei cibi, cesti, fusi.; ancora più emblematica
era l’usanza di appendere alla porta un pezzo di stoffa di lana, ad indicare la
nascita di una femmina.
L’immagine più significativa di Penelope la vede intenta nel lavoro della
tessitura, non solo della tela che disfa alla notte, ma anche di quella per il
sudario del suocero (Od. II 94 sgg); la tela tessuta al giorno e disfatta alla
notte è legata ad un contesto amoroso, ma anche il sudario è legato al letto,
anche se quello funebre, in relazione ad una funzione espletata dalle donne: la
cura dei morti.
Anche Elena sta seduta in casa, a Troia, a dirigere i lavori
domestici (Il. VI, 323-324) e soprattutto segue i lavori su una tela su cui sono
rappresentati i travagli bellici conseguenti alla sua fuga da Sparta (Il. III,125-128). La tela di Penelope è legata al noto inganno perpetrato nei confronti dei Proci;
il legame tessitura-inganno amoroso era già stato splendidamente espresso da
Saffo con il termine doloploke (tessitrice di inganni) rivolto ad Afrodite.
Tale
legame risalta in maniera più evidente, rispetto al racconto omerico, nel mito,
meno noto, di Filomela, sorella di Procne e cognata di Tereo: questi la violenta
e, per far si che niente si sappia, le strappa la lingua; Filomela tesse una
tela in cui rappresenta l’accaduto e la sorella Procne uccide il figlio di Tereo,
cuoce le sue carni e le imbandisce al padre. “Questo racconto brutale mette in
evidenza una mossa narrativa molto comune quando ci sono di mezzo le donne: è una
loro caratteristica servirsi di un oggetto legato al mondo femminile per
ottenere con la frode quel potere sugli uomini che non potrebbero imporre
apertamente con la violenza.” (R. Buxton,
La Grecia dell’immaginario, La Nuova
Italia 1997 pag. 139).
Nausicaa si dimostra preoccupata per l'adempimento del suo
dovere di andare a lavare i panni al fiume (Od. VI 71 e sgg.); Calipso, benché
dea "Cantando con bella voce e percorrendo il telaio con la spola tesseva"
(Od. V 61-62).
Il luogo dove si svolgono le attività femminili è l'interno della
casa; quando Omero descrive lo scudo di Achille (Il. XVIII, 495 e segg.), le
donne sono rappresentate ferme sulla porta durante un corteo nuziale; quando
escono di casa, lo fanno in gruppo come fa Ecuba quando si reca al tempio di
Atena (Il. VI,286 e segg) o Elena che si reca alle mura (Il. III 384).
Solo le
donne anziane hanno libertà di movimento, come la vecchia spartana che si
presenta ad Elena sulle mura; per tale motivo, anche le dee, quando compaiono
sotto false spoglie, prendono solitamente le sembianze di anziane donne.
Il
motivo di simile diversità di comportamento appare evidente: la donna giovane
non può circolare liberamente in quanto oggetto sessuale desiderabile e quindi
in pericolo, mentre la donna anziana non corre più tali pericoli.
Tale
prescrizione non muterà in seguito: Solone stabilisce che, ai funerali, oltre
alle parenti strette, possono partecipare solo donne che abbiano compiuto i
sessant’anni. Ancora in epoca classica leggiamo, in un frammento di Iperide (fr.
205 Blass): "Una donna che esce di casa dovrebbe essere in un periodo della
vita in cui coloro che la incontrano non le chiedano di chi sia moglie ma di chi
sia madre." Per un uomo ateniese era inconcepibile che una donna onesta aprisse
anche la porta di casa. Teofrasto (Car. 28,3) rimarca che solo le cortigiane
potevano aprire la porta (nell'Elena di Euripide, la portinaia è una vecchia;
nelle Troiane, Ecuba teme di dover divenire portinaia).
Una nota per quanto
concerne Penelope e la statuto della sua condizione matrimoniale "i Proci
tentano invano di conquistare il trono e la mano di Penelope: per loro, potere e
matrimonio con la regina appaiono indissolubilmente legati. Ma questa pretesa
non ha alcun fondamento in una società mascolina e patrilineare: vi è già un
erede, Telemaco... La procedura... è quella a lungo tempo fraintesa come
'matrimonio per compera’: il pretendente offriva al padre della sposa doni
infiniti (mÚria
›dna, myria èdna)... Per tutti gli studiosi il punto oscuro è il
meccanismo per cui la trasmissione del potere regale si trova stranamente ad
essere affidata ad una donna... Penelope scioglie l'impasse proponendo la gara
con l'arco, applicazione del 'matrimonio per concorso‘ , ma irregolare: la sposa
promessa non ha bisogno di un padre che bandisca l'agone, Penelope agisce senza
la tutela (kurie…a,
kyrièia)..." (Lacey, The family in the classical Greece,
London 1968 pag. 67) "Almeno una parte della confusione esistente nell'Odissea
circa il nuovo matrimonio di Penelope è determinata dalla mancanza di un accordo
tra i contendenti su chi sia il
kÚrioj (kyrios tutore) di Penelope ... le
regole non sono così nettamente codificate come più tardi nel diritto attico...
In ultima analisi bisogna riconoscere che 'forse la situazione sociale e
legale... non è più ricostruibile’ (Finley)" (in I. Savalli,
La donna nella
società della Grecia antica, Patron 1983 pagg. 41-43 passim)
Si può affermare che quando si legge Senofonte o le gnomai (sentenze) dei
tragici sulla funzione e divisione dei ruoli si troverà che, da Omero in poi,
sotto questo aspetto, molto poco è cambiato: le donne sono considerate le
responsabili, sotto gli aspetti fondamentali, della continuità della comunità.
Per quel che riguarda il passato della famiglia: alle donne spettavano
l’abluzione, l’unzione e la vestizione del cadavere; le donne erano le
depositarie del culto dei morti (Antigone docet).
Per quel che riguarda il
presente: tutto ciò che riguardava l’amministrazione ed il funzionamento
dell’interno dell’oikos era di esclusiva pertinenza delle donne.
Per quello che
riguarda il futuro, esso era garantito dalla moglie attraverso la procreazione
di figli (maschi) legittimi. La religione ed il mito greco non ci hanno tramandato una versione univoca
dell’origine dell’uomo, come è accaduto per la religione giudaico cristiana; in
Grecia ogni città si attribuì come antenato un ‘primo uomo’, fondatore di stirpe
ed eroe civilizzatore, nato dalla terra. L’uomo è per definizione nato dalla
terra; su questo grado zero del mito concordano tutti; ci sono, però, almeno due
distinte tipologie della nascita, una riferita agli uomini, l’altra alla donna.
Nel primo caso, pur nelle diverse varianti, l’uomo nasce dalla terra-madre come
una pianta, sia esso un gegenès (nato da gè) come nel mito platonico, o
autoctono (nato da solo autos dal suolo chton), come nel mito ateniese, o come
gli Sparti (da speiro, seminare) nati dalla terra seminata con i denti del
drago, come nel mito tebano.
La donna nasce, invece, plasmata dalla terra, per
opera di Efesto, non attraverso un processo naturale, ma per un artificio del
dio, come un daidalon vivente: “Con della terra l’illustre zoppo modellò un
essere in tutto simile ad una vergine“ (Esiodo,
Opere 71; Teog. 572); la donna
rassomiglia ad una donna, la donna vive del suo artificio, è ”l’amabile
inganno”: da lei si introduce, nella stirpe umana, la dualità, poiché gli
uomini, fino a quel momento, si riproducevano da soli per intervento divino: ”Da
lei è sorta la razza femminile delle donne”. (Teogonia 590).
Esiodo, in ambedue le versioni del mito di Pandora, parla di un cinto donato,
questa volta, da Atena (Teo. 573; Opere 72) (Teo. vv 570 segg.) Pandora diviene così
(Opere vv. 62 segg.) “per gli uomini il bel male al posto del bene... l’alto
inganno... Il padre di uomini e dei a Efesto illustre ordinò che... somigliante
alle dee immortali nell’aspetto, formasse bella e amabile figura di vergine... e
che grazia le effondesse intorno alla fronte l’aurea Afrodite e desiderio
tremendo e le cure che rompono le membra; che le ispirasse un sentire impudente
e un’indole scaltra ordinò ad Ermete... Dentro al suo petto il messaggero Argifonte menzogne e discorsi ingannevoli e scaltri costumi pose .... inganno
difficile e senza scampo."
La donna presentata da Esiodo in altri passi è
conseguentemente la creatura che incanta con la sua seduzione (filÒthj,
philòtes), inganna col suo chiacchierio bugiardo (¢p£th,
apàte) per poi divorare, lei,
ventre (gast»r, gastèr) insaziabile, tutti i beni dell'uomo e le sue energie
fisiche e sessuali, conducendolo a precoce vecchiaia. E’ il caso di annotare che, nell’affermazione che la donna è ventre che divora,
si sottende un altro stereotipo antico, cui si era già fatto cenno: la donna si
distingue dall’uomo per la sua insaziabilità erotica. E’ facile rilevare come,
nei famosi giambi di Semonide contro le donne, la diversificazione della
tipologia trova un unico elemento unificatore: l’eccesso di libido.
Tale
stereotipo femminile persisterà in tutta la cultura greco-romana: ancora in
epoca imperiale Plutarco consiglierà di non far conoscere l'amore alle spose;
Flavio Giuseppe (Ant. IV, 219) spiega perché nel diritto tradizionale
giudaico la testimonianza delle donne non era valida: “di£
koufÒthta
kaˆ
qr£soj
toà
gšnouj
aÙtèn,(dià kouphòteta kai thràsos tou ghènous autòn)
per la leggerezza,
volubilità, e per la sfrenatezza della loro natura”.
Filone di Alessandria identificava il
noàj (noùs) con il maschio e il
p©qoj
(pathos) con la femmina, servendosi di queste categorie per l’interpretazione
dei primi capitoli della Genesi.
Esaustiva, per tutte le altre, la testimonianza
di Ovidio il quale, nella sua Ars amatoria, dopo aver passato in rassegna alcuni
degli innumerevoli exempla che la tradizione mitologica metteva a sua
disposizione per dimostrare questa tesi - Biblide, Mirra, Pasifae...- sentenzia
“In noi uomini il desiderio è più moderato e non così furioso, la passione dei
maschi rispetta il limite della legge” (Ars a. vv. 281-282).
Ancora più
interessante la trasposizione mitica dello stereotipo, individuabile nel mito
di Tiresia: questi, dopo aver avuto la possibilità di vivere una doppia
esperienza di vita umana, sia come uomo che come donna, interrogato da Era e
Zeus su quante parti di godimento spettassero, rispettivamente, all’uomo e alla
donna, nell’atto sessuale, assegna una parte nettamente superiore alla donna
(secondo la versione più celebre, quella fornita di Esiodo, nove parti per la
donna ed una per l’uomo).
La contraddizione è evidente: se, nella mentalità
antica (e non solo), la donna è l’essere debole, come può essere così nettamente
più forte la sua libidine? La risposta si può trovare nel fatto che alla donna
veniva imputata una dipendenza, dal punto di vista fisico, dinamico e dei
sentimenti, dalla parte “sinistra” in un modello culturale che poneva a “destra”
tutti gli elementi positivi.
Altra spiegazione, non ininfluente, è costituita
dal fatto che l’attrattiva erotica, come abbiamo visto, viene strettamente
collegata ad un’altra prerogativa femminile negativa, quella dell’inganno,
individuabile nella seduzione e negli espedienti messi in atto per realizzarla.
Bisogna anche ricordare che l’atto sessuale, nella mentalità antica (Esiodo docet) era visto dall’uomo come una dispersione di seme e un dispendio di
energie che evocava paura di perdita e senso della morte. I
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