DONNA E POLITICA, DONNA E GUERRA
Riflessioni sulla condizione femminile nella Grecia classica


LA PROBLEMATICA FEMMINILE NELLE TESTIMONIANZE ANTICHE
Diana cacciatrice (di Giuseppe Graziosi, 1926)

2) lo stereotipo femminile nei testi letterari

Lo stereotipo trova il suo fondamento nei testi basilari della cultura greca, in Omero ed Esiodo. La schematicità e tipicità del racconto omerico configura - è stato riconosciuto - un universo di relazioni stabili socialmente organizzate.

La lunga scena di seduzione operata da Era nei confronti di Zeus e narrata nel XIV libro dell’Iliade costituisce racconto esemplare. La vestizione di Era ha un significato magico: la dea indossa le vesti per l’amore come l’eroe indossa le armi per la guerra. Nello specifico, Era riceve in prestito da Afrodite una fascia ricamata capace di ammaliare in modo irresistibile e di suscitare amore, desiderio e carezzevole persuasione. La finta ritrosia di Era completa, a livello operativo, la macchinazione ingannevole, la dea, quando scorge il marito, lo trova addirittura odioso (stughrÒj, stygheròs) e completa l’inganno inventando un litigio fra Oceano e Teti. Zeus cade nella trappola, e rivela di essere preda di un desiderio amoroso straordinario ed inserisce Era nell’ambito delle sue conquiste, di cui fa un dettagliato elenco; se, da un verso, tale enumerazione può facilmente essere giudicata grossolana mancanza di tatto, dall’altro rimarca la potenza fecondatrice del re degli dei e la sovranità maschile.

Era, invece, mira ad ”ingannare la mente di Zeus” per indurlo, attraverso il sesso ed il sonno, al proprio volere, ma il conseguimento dello scopo specifico fa parte della generale capacità ingannatrice della donna che seduce l’uomo e lo rende incosciente e vulnerabile. D’altronde Afrodite rappresenta l’intero campo di azioni che sono comprese tra il fascino e la seduzione e la soddisfazione del desiderio.

Abbiamo già visto che in Omero la divisione dei sessi non era così ben delineata; se è vero che l'eroe manifesta caratteristiche “femminili”, si può anche notare, per quel poco che appaiono le donne, che l'eroina dell'Iliade, Andromaca, porta un nome da Amazzone e quando piange nel cordoglio si dice che soffre come un guerriero che muore. E se tale osservazione può risultare irrilevante, ben dichiarata e puntuale è la divisione sociale dei sessi.

Ettore, nel famosissimo episodio dell'incontro con Andromaca, spiega chiaramente (Il. VI 441 segg.): "Ho tremendamente vergogna dei Troiani e delle Troiane se mai dovessi fuggire come un vile lontano dalla guerra". Il rispetto dell'opinione pubblica (a„dèj, aidòs), in quella che Dodds ha definito molto icasticamente civiltà di vergogna, indica insieme la più potente forza morale nota all'uomo greco e nel contempo l'obbligo inderogabile del rispetto di un modello di comportamento inequivocabilmente e rigidamente definito. (Cfr. Dodds, I Greci e l'irrazionale, La Nuova Italia cap. II pagg. 33 e segg.)

La definizione dello stereotipo non è solo operata al negativo ma prosegue dettagliata al positivo: "né l'animo a ciò mi esorta, poiché ho imparato ad essere valoroso sempre e a combattere fra i Troiani in prima fila, cercando di conservare la gloria di mio padre".

La perpetuazione del modello, da padre in figlio per il passato, viene ribadita per il futuro nella preghiera che Ettore esprime per il figlio Astianatte (vv. 476 e segg.): "O Zeus e voi altri dei, concedete che anche questo mio figlio sia, qual appunto son io, illustre fra i Troiani, e del pari valente per il suo vigore... ed un giorno qualcuno possa dire di lui quando torna dal campo di battaglia 'costui è molto più forte del padre'; porti egli le sue spoglie cruente dopo aver ucciso il nemico e la madre si rallegri in cuore".

Questa esaltazione della figura del maschio combattente, che si ritrova in popoli anche di cultura molto diversa, si esalta nel duello fra due eroi, per cui si parla, per Omero, di etica agonale. Anche la madre è consapevole di ciò ed accetta la univocità dei ruoli, non solo di quello eroico maschile, ma anche di quello subalterno femminile che Ettore ribadisce in maniera brusca per concludere il colloquio (vv. 490 e sgg.). "Suvvia, torna a casa e prenditi cura dei tuoi lavori, il telaio ed il pennecchio ed ordina alle ancelle di attendere al lavoro: alla guerra penseranno gli uomini".

Grave insulto era, per un guerriero, essere paragonato ad una donna. Tersite apostrofa i suoi compagni con l'insulto più offensivo (Il. II 235): “ð pšponej, kak™lšgc,Acaˆdej oÙkšt’ ‘Acaio…, (o pèpones, kak’elènk’Akàides ouket’Achiòi) poltroni, brutti vigliacchi, Achee non più Achei” (riecheggiato da Virgilio (Aen. IX,617): "O vere phrigiae, neque enim Phriges").

Ancora Ettore insulta in maniera cosi violenta Diomede che questi, benché il triplice fulmine di Zeus indichi che la vittoria sarà dei Troiani, si appresta ad attaccare l’avversario: (Il. VIII 163-164): “gunaikÒj ¤r¢nt… tštuxo, œrre, kak» gl»nh (gynaikòs ar ‘antì tètyxo, èrre, kakè glène) ti sei cambiato in femmina! Vattene, sciocca bambola.”

Il pensiero è cosi comune e diffuso nella mentalità greca antica che uno dei primi legislatori, Caronda di Katane (VII sec.) prevede per i disertori un mutamento di pena, da quella di morte, alla esposizione al pubblico ludibrio, nell’agorà, in vesti femminili (Diod. Siculo XII,16,1-2).

Per concludere puntualizzando i rapporti fra uomo e donna in epoca omerica, ci serviamo di un commento all’incontro fra Ettore ed Andromaca di un noto studioso americano: è evidente che Ettore vuole bene ad Andromaca, come “Odisseo vuole bene a Penelope.. e la considera sessualmente desiderabile: essa è parte di ciò che egli intende per ‘casa’, la madre del caro figlio, e la padrona del suo oikos. Il matrimonio monogamico è la regola … Il significato della monogamia non deve però essere frainteso. Essa non imponeva al maschio la sessualità monogamica né metteva la famiglia ristretta al centro della vita affettiva dell’uomo. La lingua non aveva un parola per indicare la famiglia ristretta... Agamennone aveva detto di Criseide, la prigioniera figlia del sacerdote” si, la preferisco a Clitennestra, mia legittima compagna di letto” (Il. I vv. 113-114). Di fatto, da Omero fino alla fine della letteratura greca non ci sono parole comuni col significato specifico di ‘marito’ e ‘moglie’: Un uomo era un uomo, un padre, un guerriero, un nobile, un capo, un re, un eroe; linguisticamente non era quasi mai un marito.” (M.I. Finley, Il mondo di Odisseo, Marietti Scuola 1992 pagg. 99-100 passim)

La divisione dei sessi e dei ruoli rimarrà inalterata, secondo questo schema, fino all'epoca classica; basta rileggersi i vv. 505 e seguenti della Lisitrata di Aristofane, in cui, la persistenza del modello viene inequivocabilmente ripetuta, rimarcandone l’origine con la citazione omerica: "E lui, guardandomi di traverso, mi diceva di badare a tessere, altrimenti avrei avuto mal di testa per un pezzo 'alla guerra penseranno gli uomini’".

Anche la sfera di attività riservata alle donne è rigidamente definita ed è esclusivamente attinente alla cura dell’oikos: cucinare, filare tessere; è per questo motivo che, tra gli oggetti funerari ritrovati nelle tombe femminili, ci sono recipienti per la cottura dei cibi, cesti, fusi.; ancora più emblematica era l’usanza di appendere alla porta un pezzo di stoffa di lana, ad indicare la nascita di una femmina.

L’immagine più significativa di Penelope la vede intenta nel lavoro della tessitura, non solo della tela che disfa alla notte, ma anche di quella per il sudario del suocero (Od. II 94 sgg); la tela tessuta al giorno e disfatta alla notte è legata ad un contesto amoroso, ma anche il sudario è legato al letto, anche se quello funebre, in relazione ad una funzione espletata dalle donne: la cura dei morti.

Anche Elena sta seduta in casa, a Troia, a dirigere i lavori domestici (Il. VI, 323-324) e soprattutto segue i lavori su una tela su cui sono rappresentati i travagli bellici conseguenti alla sua fuga da Sparta (Il. III,125-128).

La tela di Penelope è legata al noto inganno perpetrato nei confronti dei Proci; il legame tessitura-inganno amoroso era già stato splendidamente espresso da Saffo con il termine doloploke (tessitrice di inganni) rivolto ad Afrodite.

Tale legame risalta in maniera più evidente, rispetto al racconto omerico, nel mito, meno noto, di Filomela, sorella di Procne e cognata di Tereo: questi la violenta e, per far si che niente si sappia, le strappa la lingua; Filomela tesse una tela in cui rappresenta l’accaduto e la sorella Procne uccide il figlio di Tereo, cuoce le sue carni e le imbandisce al padre. “Questo racconto brutale mette in evidenza una mossa narrativa molto comune quando ci sono di mezzo le donne: è una loro caratteristica servirsi di un oggetto legato al mondo femminile per ottenere con la frode quel potere sugli uomini che non potrebbero imporre apertamente con la violenza.” (R. Buxton, La Grecia dell’immaginario, La Nuova Italia 1997 pag. 139).

Nausicaa si dimostra preoccupata per l'adempimento del suo dovere di andare a lavare i panni al fiume (Od. VI 71 e sgg.); Calipso, benché dea "Cantando con bella voce e percorrendo il telaio con la spola tesseva" (Od. V 61-62).

Il luogo dove si svolgono le attività femminili è l'interno della casa; quando Omero descrive lo scudo di Achille (Il. XVIII, 495 e segg.), le donne sono rappresentate ferme sulla porta durante un corteo nuziale; quando escono di casa, lo fanno in gruppo come fa Ecuba quando si reca al tempio di Atena (Il. VI,286 e segg) o Elena che si reca alle mura (Il. III 384).

Solo le donne anziane hanno libertà di movimento, come la vecchia spartana che si presenta ad Elena sulle mura; per tale motivo, anche le dee, quando compaiono sotto false spoglie, prendono solitamente le sembianze di anziane donne.

Il motivo di simile diversità di comportamento appare evidente: la donna giovane non può circolare liberamente in quanto oggetto sessuale desiderabile e quindi in pericolo, mentre la donna anziana non corre più tali pericoli.

Tale prescrizione non muterà in seguito: Solone stabilisce che, ai funerali, oltre alle parenti strette, possono partecipare solo donne che abbiano compiuto i sessant’anni. Ancora in epoca classica leggiamo, in un frammento di Iperide (fr. 205 Blass): "Una donna che esce di casa dovrebbe essere in un periodo della vita in cui coloro che la incontrano non le chiedano di chi sia moglie ma di chi sia madre." Per un uomo ateniese era inconcepibile che una donna onesta aprisse anche la porta di casa. Teofrasto (Car. 28,3) rimarca che solo le cortigiane potevano aprire la porta (nell'Elena di Euripide, la portinaia è una vecchia; nelle Troiane, Ecuba teme di dover divenire portinaia).

Una nota per quanto concerne Penelope e la statuto della sua condizione matrimoniale "i Proci tentano invano di conquistare il trono e la mano di Penelope: per loro, potere e matrimonio con la regina appaiono indissolubilmente legati. Ma questa pretesa non ha alcun fondamento in una società mascolina e patrilineare: vi è già un erede, Telemaco... La procedura... è quella a lungo tempo fraintesa come 'matrimonio per compera’: il pretendente offriva al padre della sposa doni infiniti (mÚria ›dna, myria èdna)... Per tutti gli studiosi il punto oscuro è il meccanismo per cui la trasmissione del potere regale si trova stranamente ad essere affidata ad una donna... Penelope scioglie l'impasse proponendo la gara con l'arco, applicazione del 'matrimonio per concorso‘ , ma irregolare: la sposa promessa non ha bisogno di un padre che bandisca l'agone, Penelope agisce senza la tutela (kurie…a, kyrièia)..." (Lacey, The family in the classical Greece, London 1968 pag. 67) "Almeno una parte della confusione esistente nell'Odissea circa il nuovo matrimonio di Penelope è determinata dalla mancanza di un accordo tra i contendenti su chi sia il kÚrioj (kyrios tutore) di Penelope ... le regole non sono così nettamente codificate come più tardi nel diritto attico... In ultima analisi bisogna riconoscere che 'forse la situazione sociale e legale... non è più ricostruibile’ (Finley)" (in I. Savalli, La donna nella società della Grecia antica, Patron 1983 pagg. 41-43 passim)

Si può affermare che quando si legge Senofonte o le gnomai (sentenze) dei tragici sulla funzione e divisione dei ruoli si troverà che, da Omero in poi, sotto questo aspetto, molto poco è cambiato: le donne sono considerate le responsabili, sotto gli aspetti fondamentali, della continuità della comunità.

Per quel che riguarda il passato della famiglia: alle donne spettavano l’abluzione, l’unzione e la vestizione del cadavere; le donne erano le depositarie del culto dei morti (Antigone docet).

Per quel che riguarda il presente: tutto ciò che riguardava l’amministrazione ed il funzionamento dell’interno dell’oikos era di esclusiva pertinenza delle donne.

Per quello che riguarda il futuro, esso era garantito dalla moglie attraverso la procreazione di figli (maschi) legittimi.

La religione ed il mito greco non ci hanno tramandato una versione univoca dell’origine dell’uomo, come è accaduto per la religione giudaico cristiana; in Grecia ogni città si attribuì come antenato un ‘primo uomo’, fondatore di stirpe ed eroe civilizzatore, nato dalla terra. L’uomo è per definizione nato dalla terra; su questo grado zero del mito concordano tutti; ci sono, però, almeno due distinte tipologie della nascita, una riferita agli uomini, l’altra alla donna.

Nel primo caso, pur nelle diverse varianti, l’uomo nasce dalla terra-madre come una pianta, sia esso un gegenès (nato da ) come nel mito platonico, o autoctono (nato da solo autos dal suolo chton), come nel mito ateniese, o come gli Sparti (da speiro, seminare) nati dalla terra seminata con i denti del drago, come nel mito tebano.

La donna nasce, invece, plasmata dalla terra, per opera di Efesto, non attraverso un processo naturale, ma per un artificio del dio, come un daidalon vivente: “Con della terra l’illustre zoppo modellò un essere in tutto simile ad una vergine“ (Esiodo, Opere 71; Teog. 572); la donna rassomiglia ad una donna, la donna vive del suo artificio, è ”l’amabile inganno”: da lei si introduce, nella stirpe umana, la dualità, poiché gli uomini, fino a quel momento, si riproducevano da soli per intervento divino: ”Da lei è sorta la razza femminile delle donne”. (Teogonia 590).

Esiodo, in ambedue le versioni del mito di Pandora, parla di un cinto donato, questa volta, da Atena (Teo. 573; Opere 72) (Teo. vv 570 segg.) Pandora diviene così (Opere vv. 62 segg.) “per gli uomini il bel male al posto del bene... l’alto inganno... Il padre di uomini e dei a Efesto illustre ordinò che... somigliante alle dee immortali nell’aspetto, formasse bella e amabile figura di vergine... e che grazia le effondesse intorno alla fronte l’aurea Afrodite e desiderio tremendo e le cure che rompono le membra; che le ispirasse un sentire impudente e un’indole scaltra ordinò ad Ermete... Dentro al suo petto il messaggero Argifonte menzogne e discorsi ingannevoli e scaltri costumi pose .... inganno difficile e senza scampo."

La donna presentata da Esiodo in altri passi è conseguentemente la creatura che incanta con la sua seduzione (filÒthj, philòtes), inganna col suo chiacchierio bugiardo (¢p£th, apàte) per poi divorare, lei, ventre (gast»r, gastèr) insaziabile, tutti i beni dell'uomo e le sue energie fisiche e sessuali, conducendolo a precoce vecchiaia.

E’ il caso di annotare che, nell’affermazione che la donna è ventre che divora, si sottende un altro stereotipo antico, cui si era già fatto cenno: la donna si distingue dall’uomo per la sua insaziabilità erotica. E’ facile rilevare come, nei famosi giambi di Semonide contro le donne, la diversificazione della tipologia trova un unico elemento unificatore: l’eccesso di libido.

Tale stereotipo femminile persisterà in tutta la cultura greco-romana: ancora in epoca imperiale Plutarco consiglierà di non far conoscere l'amore alle spose; Flavio Giuseppe (Ant. IV, 219) spiega perché nel diritto tradizionale giudaico la testimonianza delle donne non era valida: “di£ koufÒthta kaˆ qr£soj toà gšnouj aÙtèn,(dià kouphòteta kai thràsos tou ghènous autòn) per la leggerezza, volubilità, e per la sfrenatezza della loro natura”.

Filone di Alessandria identificava il noàj (noùs) con il maschio e il p©qoj (pathos) con la femmina, servendosi di queste categorie per l’interpretazione dei primi capitoli della Genesi.

Esaustiva, per tutte le altre, la testimonianza di Ovidio il quale, nella sua Ars amatoria, dopo aver passato in rassegna alcuni degli innumerevoli exempla che la tradizione mitologica metteva a sua disposizione per dimostrare questa tesi - Biblide, Mirra, Pasifae...- sentenzia “In noi uomini il desiderio è più moderato e non così furioso, la passione dei maschi rispetta il limite della legge” (Ars a. vv. 281-282).

Ancora più interessante la trasposizione mitica dello stereotipo, individuabile nel mito di Tiresia: questi, dopo aver avuto la possibilità di vivere una doppia esperienza di vita umana, sia come uomo che come donna, interrogato da Era e Zeus su quante parti di godimento spettassero, rispettivamente, all’uomo e alla donna, nell’atto sessuale, assegna una parte nettamente superiore alla donna (secondo la versione più celebre, quella fornita di Esiodo, nove parti per la donna ed una per l’uomo).

La contraddizione è evidente: se, nella mentalità antica (e non solo), la donna è l’essere debole, come può essere così nettamente più forte la sua libidine? La risposta si può trovare nel fatto che alla donna veniva imputata una dipendenza, dal punto di vista fisico, dinamico e dei sentimenti, dalla parte “sinistra” in un modello culturale che poneva a “destra” tutti gli elementi positivi.

Altra spiegazione, non ininfluente, è costituita dal fatto che l’attrattiva erotica, come abbiamo visto, viene strettamente collegata ad un’altra prerogativa femminile negativa, quella dell’inganno, individuabile nella seduzione e negli espedienti messi in atto per realizzarla. Bisogna anche ricordare che l’atto sessuale, nella mentalità antica (Esiodo docet) era visto dall’uomo come una dispersione di seme e un dispendio di energie che evocava paura di perdita e senso della morte.

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a cura di Gerardo Pompei

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015