|
|
LA PROBLEMATICA FEMMINILE NELLE TESTIMONIANZE ANTICHE

1) il problema teorico Se si considera l'identità e l'alterità un dato
acquisito nella cultura greca si rischia di prendere alla lettera, confortati
dall'appoggio rassicurante della citazione, il discorsetto esemplare sulla
divisione naturale dei sessi e dei ruoli espresso da Senofonte nell'Economico.
Lo stesso Senofonte ci fornisce testimonianza che Socrate, a differenza della
maggior parte dei suoi concittadini, teneva le donne in una certa
considerazione, e, soprattutto, non le riteneva inferiori per natura (come le
ritenevano sia Platone sia Aristotele).
Nel Simposio (VIII, 23) ad esempio, ci racconta che Socrate, di fronte
all'abilità di una giocoliera, osserva che la donna sta dando “una prova fra
tante che la natura femminile non è naturalmente inferiore a quella dell'uomo,
salvo perché manca di saggezza e di forza fisica.” Una limitazione, quest'ultima,
che può sembrare misogina a noi, ma che certamente non è tale valutata nel
quadro di quello che i greci dell'epoca pensavano del sesso femminile.
Quello che è da rilevare è l’affermazione che per Socrate le donne non erano
‘naturalmente’ inferiori: quello che le rendeva tali, per lui, era in misura
prevalente la mancanza di educazione. Ed egli spiegava, quindi, che era dovere
dei mariti insegnare alle mogli a essere delle buone compagne, per evitare
(dichiarazione sintomatica!) che fossero le persone con le quali essi avevano
minor dialogo. Non a caso, dunque, quando una donna era istruita come Aspasia,
Socrate era pronto a riconoscere, quantomeno in alcuni campi, la sua
superiorità. Della concubina di Pericle, infatti, Socrate aveva grande
rispetto. Nell'Economico (III,14-15) di Senofonte, ad esempio,
interrogato sulla questione “se uno ha una buona moglie, è lui che l'ha fatta
tale?”, Socrate risponde invitando a interpellare in proposito Aspasia che,
sull' argomento, ne sa molto più di lui!. Ma il suo rispetto teorico per le
donne, o quantomeno per alcune di esse, non impediva a Socrate di amare i
ragazzi, e di considerare le donne, nei fatti, (quando non erano, del tutto
eccezionalmente, come Aspasia) delle persone con le quali, al di là di
affermazioni di principio, non era possibile avere il benché minimo scambio
intellettuale.
Come giudicare, altrimenti, il suo atteggiamento verso la moglie, la ben nota
Santippe, divenuta, chissà perché, il prototipo della donna petulante e
prepotente? Dei rapporti di Socrate con Santippe, in realtà, sappiamo ben poco.
Ma un episodio sembra molto significativo: dopo essere stato condannato a morte,
mentre nel carcere discute con gli amici dell'immortalità dell'anima, Socrate
riceve una visita della povera donna che, come tutte le donne semplici, è
incapace di comportarsi nobilmente: alla vista del marito che sta per andare a
morte, Santippe piange e si dispera. E Socrate, infastidito, senza degnarla di
una parola, cosi la liquida: “O Critone, qualcuno la porti via di qui e la
riconduca a casa”. (Fedone 60,a) A giudicare dall'episodio, dobbiamo
concludere che Socrate non metteva in pratica le sue teorie. Santippe,
evidentemente, non aveva ricevuto da lui gli insegnamenti che, nell'Economico,
egli afferma che i mariti avrebbero dovuto impartire alle mogli. Ed era rimasta,
di conseguenza, quello che, in teoria, per Socrate, una moglie non doveva
essere: una persona, appunto, con cui il marito non aveva dialogo alcuno.
Il Socrate filosofo, invece, gioca spesso sul dibattito fra maschile e
femminile e la parodia offerta da Aristofane nelle Nuvole ne è una efficace
conferma. La trattazione del problema della differenziazione dei sessi
costituirebbe materia più che abbondante per una ricerca specifica, per cui
bastino alcuni cenni. Sarà interessante, comunque, individuare, nell’insieme
della rappresentazione che la civiltà greco-antica costruì a proposito della
donna, quegli elementi invarianti che rimasero più significativi e persistenti
nella cultura occidentale, fino ai nostri giorni.
Nella tradizione eroica di matrice omerica si postula un uomo virile che
manifesta caratteristiche successsivamente riservate al femminile: l'eroe
piange, trema, e conosce la paura. Nella mitologia troviamo l'Androgino
primordiale o l'Ermafrodito (cfr. Plat. Simposio 190 sgg.) o Zeus che
partorisce - Atena dalla testa e Dioniso dalla coscia - o che inghiotte Metis:
il dio più forte acquista completezza inglobando una divinità femminile e
partorendo un figlio che sarà una divinità dalla sessualità ambigua come quella
di Dioniso, o femminile, come quella di Atena, che si identifica però nei suoi
attributi esteriori ed interiori, virili (sapienza e valore bellico); una
fanciulla virile, una dea non-donna (anche nella iconografia bizantina il ventre
fortemente marcato di Gesù sembra voglia indicare che da tale ventre ha origine
la vita?!) Il senso di tale inglobamento potrebbe interpretarsi nel senso più
generale di una operazione culturale consistente nello scivolamento attraverso
il quale il femminile passerebbe dal corpo della donna al pensiero dell'uomo,
per cui il corpo della donna perderebbe sostanza e l'uomo acquisterebbe
complessità e completezza. Detto questo, mi sembra che l'osservazione della
differenza tra sessi sia alla base del pensiero, sia tradizionale sia
scientifico. Fin dalla nascita del pensiero infatti, la riflessione degli esseri
umani non ha potuto dirigersi che su quanto era loro dato di osservare più da
vicino, cioè il corpo e l'ambiente in cui il corpo è immerso.
Tra i meccanismi fondamentali del pensiero vige un'opposizione concettuale
essenziale, quella che oppone l'identico al differente, uno di quei themata
arcaici che si ritrovano in tutto il pensiero scientifico, antico e moderno, e
in tutti i sistemi di rappresentazione. Supporto principale dei sistemi
ideologici, il rapporto identico-differente è alla base dei sistemi che
oppongono, due a due, valori astratti o concreti (caldo/freddo, secco/umido,
alto/basso, inferiore/superiore, chiaro/scuro ecc.), valori che contengono
contrasti, e che si ritrovano nelle griglie di classificazione del maschile e
del femminile. Tale distinzione si attenua o scompare nella trattazione teorica
della distinzione dei sessi. Nel trattare la differenziazione dei sessi,
infatti, il medico Ippocrate aveva detto che gli uomini sterili sono femminili e
le donne sterili maschili. Platone si serve delle categorie di
gšnoj (ghenos)
ed e†doj
(eidos);
gšnoj (ghenos)
significa genere, ma anche stirpe, razza;
e†doj
(eidos) è secondo Platone non solo specie, ma
soprattutto forma.
Nel mito della creazione del mondo narrato nel Timeo egli evoca una razza
delle donne che sarebbe venuta ad affiancarsi al ghenos degli uomini. Ma nel
Politico (262c-263a) divide il genere umano, il
gšnoj
¢nqrèpinon,
ghènos antròpinon, in maschi e femmine ed afferma che prendendo un
g˜noj
(ghenos) e tagliandolo in due si ottengono due
œ‰dh
(eide) e due
gšnh (ghene).
Platone sa bene che l'identico partecipa dell'altro, ma la distinzione è tutt'altro che
chiara; per superare tale aporia ci indica una via d'uscita quando avanza
l'esigenza di una rigida separazione dei sessi, per evitare i pervertimenti, sia
"per i ragazzi, sia maschi che femmine, e per le donne-uomini e per gli
uomini-donne"! (Leggi 836b).
Nella Repubblica (450 e segg.) la distinzione dei sessi, dal piano teorico
generale, viene subito indirizzata a quello politico; Socrate, esprimendo
concezioni ancorate ad un buon senso tradizionale, afferma che il politico è
costituito da un dominio regolato da leggi autonome e quindi, su tale piano, non
ha valore una distinzione tra i sessi.
Tale affermazione teorica è, però, subito
annullata dall'applicazione del pregiudizio della inferiorità femminile,
individuata nel valore vile delle sfere di attività specifiche femminili: "C'è
qualche campo dell'attività umana in cui il genere maschile non superi sotto
tutti questi punti di vista quello femminile?" domanda Socrate a Glaucone e
continua poi con tono ironico e retorico "Dobbiamo dilungarci a parlare della
tessitura, della confezione di focacce e degli alimenti cotti, dove sembra
distinguersi il sesso femminile e dove anzi è ridicolo che venga
sconfitto?"(Rep. 455-c,d)
Il doppio significato di
gšnoj (ghenos), come gruppo
che si può dividere in coppie di
eƒdh (eide), e come gruppo capace di
perpetuarsi attraverso la riproduzione è lasciato in eredità da Platone ad
Aristotele insieme all'idea che la comparsa del genere femminile sia dovuta alla
rottura di una perfezione originaria (Timeo 42 b;90 e).
Aristotele, pur conoscendo circa quattrocento specie di animali, le descrive
secondo le categorie di specie e genere, senza arrivare ad individuare nessuna
delle categorie tassonomiche moderne; secondo le scienze attuali esistono
infatti classi, suddivise in ordini, composti da famiglie, ognuna delle quali è
formata da generi, ognuno dei quali è un insieme di specie. La questione se si
deve riconoscere una differenziazione secondo le specie (kat'e‰dh) fra maschi e
femmine è posta dallo Stagirita nel X libro della Metafisica.
La concezione moderna attuale di un genere che implica la riproduzione incrociata bisessuale
incontra un'aporia teoretica insormontabile nel filosofo antico: il disformismo
sessuale fra maschio e femmina gli appariva troppo importante per essere
considerato un "accidente" e poco essenziale per sembrare "sostanza" per cui
tale differenza è collocata in un spazio intermedio, senza sconvolgere le
gerarchie della zoologia e della sua classificazione tassonomica.
L'aporia che tenta di risolvere il filosofo è connessa a questo
interrogativo: perché la donna e l'uomo non sono differenti per specie, pur
essendo la femmina ed il maschio differenti per proprietà contraria? Anche per
il filosofo-naturalista il genere riproduce esseri che hanno la stessa forma che
è considerata come unica, ma si vuole fare subito una precisazione importante:
la forma del gšnoj (ghenos) trasmessa è quella del padre.
Come è possibile ciò? La riflessione slitta dall'ammissione di un'analogia
pertinente al piano teorico alla rilevazione di una ineguaglianza ed inferiorità
naturale del corpo femminile: "La femmina è meno muscolosa, ha le articolazioni
meno pronunciate... la carne più debole, le ginocchia più vicine e le gambe più
sottili. I loro piedi sono più minuti... la voce più debole ed acuta.. L'uomo ha
il cervello più grande ... ed anche il maggior numero di suture craniche".
(Storia degli animali 638; Parti degli animali 653) La donna è assimilata al
bambino, uomo difettoso perché non cresciuto, mentre la donna è uomo difettoso
perché incapace di crescere in quanto variante difettiva della specie. “Vi è
rassomiglianza anche di forma tra un bambino ed una donna, e la donna è come un
uomo sterile."
Ma veniamo a considerare una differenza più rilevante. Riprendendo tale
teorizzazione da Diogene di Apollonia, Aristotele afferma che il seme femminile,
derivato per metabolismo dal sangue, riceve nel corpo femminile, più freddo a
causa della sua impotenza (¢dunam…a,
adynamìa), una cottura debole. "La femmina è contraddistinta da una
impotenza di fondo: non è in grado, a motivo della sua natura fredda, di operare
la cottura del seme a partire dall'elemento ultimo cioè il sangue." Il seme non cotto rimane quindi abbondante e viene espulso, in
forma sanguinolenta, dalla mestruazione femminile.
Al contrario, il seme maschile, ben cotto (se non lo è contiene tracce di
sangue) è l'unico principio generatore (¢rc»
genšsewj,
archè ghenèseos). "Il maschio [è] portatore del
principio del mutamento e della generazione, la femmina di quello della materia“ (Ar.
GA 738; poi 761 e segg.). La femmina fornisce soltanto il supporto
alimentare in un processo creativo che dipende solo dal maschio.
Il seme
maschile contiene infatti tre qualità:
1) il principio dell'anima (tÁj
yucÁj
¢rc», tès pychès archè) in quanto è il
maschio "che introduce l'anima sensitiva sia direttamente, sia indirettamente
attraverso il seme";
2) il principio del movimento (¢rc»
kinšsewj,
archè kinèseos), del movimento
biologico inteso come principio attivo del processo creativo in quanto il seme
maschile "quando penetra nell'utero, coagula e mette in movimento il residuo
della femmina imprimendo ad esso il movimento da cui esso stesso è animato."
3) il principio della forma (¢rc»
toà
e‡douj, archè tou èidous) che completa
l'opera di trasferimento dell'anima e del principio attivo e creativo, in un
modello di forma che corrisponde a quello del padre generatore.
Il discorso
aristotelico -secondo quel meccanismo binario di opposizione vigente nel
pensiero umano e soprattutto evidente nel pensiero antico- oppone il maschile al
femminile come rispettivamente caldo e freddo, animato e inerte, soffio e
materia. Ma se prendiamo esempi più recenti, i discorsi di igienisti del XVIII e
XIX secolo, o anche i principi medici contemporanei, possiamo notare,
chiaramente formulata o implicita, la persistenza di questi sistemi categoriali
di opposizione.
Nell’edizione dell’Encyclopaedia Universalis, pubblicata nel 1984, alla voce
Fecondazione l'incontro tra ovulo e spermatozoo, il cui meccanismo rimane
tuttora non spiegato, è presentato dai biologi come l'incontro di una materia
inerte, vegetativa - che ha bisogno di essere animata - con un principio attivo,
una energia apportatrice di vita. In questo si vede non la sopravvivenza di una
conoscenza filosofica di cui noi saremmo eredi, ma la manifestazione spontanea
di una griglia interpretativa, valida sia nel discorso scientifico sia nel
discorso naturale, che ingloba i generi, i sessi e anche - come in questo caso -
i gameti, in un sistema di opposizione la cui origine si trova nella primitiva
osservazione della irriducibile differenza dei sessi. La donna, essere debole,
si afferma che possedeva, rispetto all’uomo, una libido erotica molto più forte,
ma risulta nettamente inferiore per quanto concerne la philia, che noi rendiamo,
in maniera incolore ed impropria con la parola “amicizia”.
Ancora Aristotele,
nel libro ottavo dell’Etica Nicomachea, afferma che c’è una philia di genere
inferiore, di una specie più bassa, se questa si crea fra esseri disuguali come
uomo e donna, perché “ciascuna delle due è diversa per virtù e funzione, nel
motivo dell’amicizia e quindi anche dell’affetto… il migliore dei due (scil.
l’uomo) dovrebbe ricevere più affetto di quanto ne dà.”
I - III -
IV - V -
VI - VII - VIII -
IX - X -
XI - XII -
XIII |