LA GUERRA CONTADINA IN GERMANIA (1524-25)

TRA RIFORMA LUTERANA E INTERPRETAZIONE MARXISTA


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L'unità nazionale e imperiale nella Germania di Lutero

Ritratto di Carlo V, del Tiziano (Pinacoteca di Monaco)
Ritratto di Carlo V, del Tiziano (Pinacoteca di Monaco)

Vediamo ora come la storiografia marxista ha affrontato la grande guerra contadina nella Germania del '500, ivi inclusi i suoi rapporti con la riforma protestante.

Anzitutto è interessante notare come detta storiografia critichi da un lato la mancanza di unità nazionale del paese, e dall'altro tutti i tentativi di "riforma imperiale" di far rientrare nei territori dell'impero quelle regioni che avevano avviato un processo di indipendenza.

Questo strano atteggiamento trova ovviamente la sua spiegazione nel fatto che mentre l'unità imperiale avrebbe voluto essere fatta in nome di ideali feudali, quella nazionale doveva essere fatta in nome di ideali borghesi. In assenza di quest'ultima, detta storiografia preferisce sempre la separazione dei poteri feudali dominanti: di qui, p.es., i consensi favorevoli all'indipendenza dell'Unione Svizzera, che l'imperatore tedesco Massimiliano I e la Lega sveva furono costretti a riconoscere nel 1511.

Da questo punto di vista appare del tutto naturale che detta storiografia prenda sempre le difese del protestantesimo (espressione dei ceti borghesi) contro il cattolicesimo-romano (espressione dei ceti clerico-feudali).

In Germania gli Asburgo e in Austria gli arciduchi non rappresentavano soltanto gli interessi di un feudalesimo decrepito, ma anche quelli di una religione che aveva fatto il suo tempo.

Il confronto storico-culturale non viene posto dalla storiografia marxista tra Chiesa e Impero da un lato e mondo rurale dall'altro, ma da Chiesa e Impero da un lato e mondo borghese dall'altro. Il mondo rurale non viene mai considerato come uno dei termini positivi di riferimento dello scontro con le forze retrive del feudalesimo, se non per dire - come vedremo - ch'esso non era e non sarebbe stato in grado di porre alcuna vera alternativa allo stato di cose.

Da notare inoltre che detta storiografia, quando mette a confronto le esigenze imperiali di unificazione con quelle separatiste dei principi tedeschi, culturalmente entrambe retrive perché apertamente feudali e quindi lontanissime dagli sviluppi della borghesia, preferisce stare sempre dalla parte dei principi tedeschi, che pur si opponevano strenuamente, in contrasto con le idee asburgiche, a qualunque ipotesi di unificazione territoriale dell'impero.

E' vero che gli Asburgo avevano in mente più la prosecuzione dell'idea feudale di un sacro impero romano-germanico, che non la realizzazione di una moderna monarchia nazionale, ma per quale motivo, in questo caso particolare, il marxismo preferisce perorare la causa di chi non voleva né l'unificazione nazionale né quella imperiale (come appunto i principi aristocratici o il ceto della cavalleria)?

Il motivo sta nel fatto che, dovendo combattere a favore dell'unità nazionale, la borghesia può vincere più facilmente contro chi non ha alcuna vera idea di unificazione alternativa. E questo ragionamento al marxismo sta bene.

Qui il discorso esce dai binari dello storiografia e diventa meramente politico. E, se vogliamo, è lo stesso che fa il cattolicesimo-romano quando mette sui piatti della bilancia i suoi nemici di sempre: capitalismo e comunismo. Dovendo scegliere chi dei due debba essere considerato il suo nemico peggiore, il cattolicesimo sceglie sempre quello che, negli ideali di giustizia, uguaglianza ecc., gli assomiglia di più, e cioè il comunismo.

Detto altrimenti, invece di analizzare concretamente i pro e i contro di una politica imperiale cattolico-feudale, che nella fattispecie verrà condotta da Carlo V (1519-56), oltre che ovviamente dalla classe aristocratica tedesca, si preferisce assumere le difese, in maniera aprioristica, di tutte quelle forze politiche e sociali che le si opponevano, all'insegna del principio secondo cui uno sviluppo storico europeo verso il capitalismo sarebbe sempre stato da preferirsi, in modo assoluto, a qualunque altra soluzione alternativa.

Ora, è generalmente noto che la politica imperiale e aristocratica, non a caso appoggiata dall'Austria, dalla Spagna e dal papato, fu il tentativo di salvaguardare intatto il privilegio feudale, il clericalismo cattolico-romano, le rendite parassitarie, il servaggio, in una parola il peggio di quanto esistesse in tutto il Medioevo, ma è storicamente giustificato sostenere, in nome di questa certezza, che tutto quanto questa politica combatteva andava difeso ad oltranza?

Poniamo tale domanda anche perché, alla luce di quanto poi storicamente avvenne nell'Europa dei secoli successivi, gli storici non dovrebbero essere così sicuri che i guasti provocati da una politica imperiale cattolico-feudale, se avesse vinto, sarebbero stati superiori a quelli provocati dallo sviluppo del capitalismo, che riuscì a coinvolgere, nella sua fase sanguinosa di espansione, il mondo intero, cioè anche quella parte dell'umanità che dalle contraddizioni del feudalesimo europeo non era mai stata toccata.

Certo, qui si può obiettare che la vittoria della politica feudale in Germania (pur in veste luterana) provocò dei guasti di molto superiori a quelli provocati dallo sviluppo del capitalismo all'interno del territorio nazionale degli altri Stati europei, ma è anche vero che in Germania il ritorno a forme para-schiavistiche di sfruttamento della manodopera rurale fu dovuto a una reazione contro lo sviluppo borghese dell'economia.

Qui ovviamente sarebbe assurdo sostenere, come fanno le attuali forze retrive del cattolicesimo-romano, che, proprio alla luce dei guasti provocati dal capitalismo su scala mondiale, sarebbe stato meglio (e forse per loro lo sarebbe ancora oggi) tornare al regime feudale. Si vuole semplicemente sostenere che una qualunque storiografia viziata dai condizionamenti politici (peraltro inevitabili), rischia di diventare fatalmente superficiale. Ciò che fa parte del passato non è di per sé peggiore di quanto lo ha superato. L'idea di un progresso storico lineare va decisamente riveduta e corretta.

Naturalmente faremmo un torto alla storiografia marxista se dicessimo ch'essa non si preoccupa di esaminare, sul terreno socio-economico, le motivazioni che rendevano quanto mai superata la politica feudale dell'impero di Carlo V.

E' fuor di dubbio, tuttavia, che per una storiografia del genere, abituata a cercare nello sviluppo della borghesia, commerciale e soprattutto imprenditoriale, una delle principali cause della necessità di superare il feudalesimo, deve essere apparso alquanto strano che la principale opposizione alla politica imperiale e a quella dei principi tedeschi venisse condotta nella Germania del XVI sec. dalla classe rurale guidata da predicatori religiosi.

Vedremo però che la storiografia marxista cercherà di dimostrare alcune tesi che ancora oggi restano dei capisaldi di ogni interpretazione storica che voglia dirsi di "sinistra".


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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