Gianni Grana: Avanguardia e Tradizione: la cultura e gli intellettuali nel fascismo

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GIANNI GRANA

LA "RIVOLUZIONE FASCISTA"

Avanguardia e Tradizione: la cultura e gli intellettuali nel fascismo

Questa parte, necessaria e cruciale nella difficile ricognizione storico-culturale delle "avanguardie letterarie", rappresenta – se così posso dire – la mia riflessione matura sul fascismo, a 40 anni dal suo storico decesso pure nella mia esperienza possibile, avendolo ‘vissuto’ per coinvolgimento diretto nell’infanzia e nell’adolescenza, essendone venuto fuori nella giovinezza, come da un compatto sistema etico-religioso che, nella mia preclusa acerbità culturale, non lasciava scorgere altro fuori di sé.

E forse non a caso ciò ha coinciso per me con l’’emancipazione’, ideo-filosofica e religiosa, pure dal cattolicesimo e dal suo culto millenario del sacro, dalla fede irrazionale nelle trascendenze arcaiche, trasmesse per coercizione istituzionale e per tradizione famigliare: una difficile emancipazione ‘razionale’, a rischio quotidiano e sempre irrisolto di travolgimenti. Io associo infatti, nella mia conoscenza e coscienza offuscata di allora, cattolicesimo e fascismo, preclusivi per educazione famigliare e scolastica di ogni altro orizzonte, fino al risveglio catastrofico nei ventanni. Poi l’acre riflessione, filosofica prima che politica, negli studi mi scopriva criticamente l’altro che ci era ‘nascosto’, attraverso ‘rivolte’ e revulsioni, non liberanti realmente ma sofferenti, registrate lungamente nei frammenti versificati di diomorto.

Questa è perciò pure una personale ‘resa dei conti’ rispetto al fascismo, dalla prospettiva ‘superiore’ e ‘disinteressata’ resa possibile, credo, nella oramai tarda maturità, dall’esserne da molto tempo estraniato se non sradicato, per cultura e scelte ideo-politiche antitetiche, senza per questo condividere la facile settaria retorica dell’ "antifascismo".

E’ l’onesto confronto con una remota onta famigliare, condivisa con più generazioni d’italiani. E mi auguro che tale dichiarazione preposta valga a dissipare ogni equivoco possibile, ogni fraintendimento almeno sulle ‘intenzioni’ che guidano il mio tentativo di ridiscussione storico-culturale della genesi e durata del fascismo, come esperienza non solo conclusa a appunto remota, nella storia delle "avanguardie" borghesi del 900. Vorrei anche dire che, per un caso non preordinato, nella circolarità segmentata ma resistente della mia (nostra) ‘esperienza’ di lavoro, questo è in qualche modo un ritorno imprevisto a uno studio acerbo della prima giovinezza, 35 anni fa, sugli indirizzi filosofici europei del primo 900 classificati come "irrazionalistici", in rapporto alla genesi ideo-politica del fascismo. Fu il tema della mia seconda testi di laurea in storia della filosofia moderna, che ebbe fortunosa stesura e agitata discussione allora con Nardi relatore avverso e altri.

E più che mai in questo caso, non avrei neppure osato pensare, e non sarebbe servito al mio scopo, passare in rassegna l’immensa produzione storico-politica sul fascismo, la cui ‘fortuna’ è sempre enorme in Italia e all’estero; era sufficiente che qui mi soffermassi al solito a discutere alcuni libri-cardine – in positivo o in negativo, più probabilmente -, secondo i punti di vista culturali che m’interessano, in relazione ai temi centrali di questa de-‘costruzione’ storica.

Ma già tale impegno apparentemente limitato, eppure ugualmente complesso, è bastato a colmare un capitolo talmente spesso da costituire un libro autonomo, così da ritenere utile prevederne una circolazione anche fuori dell’opera maggiore di cui fa parte. Il suo percorso che – è ovvio per me – non poteva essere minimamente predeterminato negli esiti, si è fatto attraverso molte letture e riletture, per ovvie conferme ma anche per successivi ‘scoprimenti’ soggettivamente ‘inaspettati’, che mi hanno imposto di rivedere giudizi sepolti nella condivisa pregiudizialità politica dell’ "antifascismo" ideologico. Ne è sortito infine un tentativo di ri-‘comprensione’ storica – lo dico sùbito – con la necessaria spregiudicatezza che ispira tutte queste pagine – che sento di dovere non tanto a me (alla mia generazione) che, ripeto, credo di esserne culturalmente oltre, mi auguro non solo per rimozione inconscia, quanto a mio padre (alla sua generazione) sopravvivente come larva, all’ ‘intellettuale borghese’ che vi ha potuto ‘credere’ tutta la vita.

E non perché il fascismo ne esca assolto e riabilitato, ma perché qui si vuole superare appunto al lunga fase ‘giudiziale’, per tentarne una riconsiderazione dentro la complessiva trama epocale della cultura e della storia italiana contemporanea. Intendo dire che almeno in sede storica – fuori cioè degli àmbiti pubblicistici correnti, della settaria polemica inter-partitica – è più che doveroso, come un impegno primario di autentica "coscienza storica", uniformare i canoni e i criteri di valutazione del pensiero e dell’azione politica, sia che riguardino il fascismo o il socialismo o qualunque altro movimento politico.

E’ per contro un impegno di metodo non meno doveroso quello di comporre la storia dei singoli sistemi, dall’interno della cultura specifica che li ha generati e formati. L’ abito pre-giudiziale di chi valuta tutto l’altro da sé per verità assolute, etico-religiose o politiche, è estraneo alla cultura storica o risponde a un preciso calcolo, appartenendo a metodi pseudo-storiografici, risorgimentali o resistenziali, superati anche se tuttora largamente praticati.

E’ superfluo aggiungere che non mi pongo perciò neppure lontanamente il problema se possa apparire versato a simpatie "di destra" che non ho, e non perché non abbia la libertà di pensiero - che rivendico totalmente - anche di osservare con favore "ideale", nella cultura del 900, questa o quella concezione della poesia e dell’arte, della politica o del mondo, comunque si voglia classificarla scolasticamente. Ma perché tutt'altra convinzione metodologica io sostengo in questo impegno – come ho detto – di ‘ricerca’ e di ‘conoscenza’ non pregiudicato in partenza, da ideologie o teorie culturali avverse – che io professo in altri momenti di impegno – e che lo vanifichino in una iterazione di luoghi comuni propagandistici, inutilmente mascherati di false "prove", di dati precostituiti a quel fine, militante non ‘scientifico’. Sarebbe come essere sospettati di bonapartismo o legittimismo ecc., perché ci si occupa ricognitivamente, senza ovvi intenti distruttivi, di Bonaparte o dell’ ancien régime ecc.

Senza potere essere sospettato di senile nostalgia del crocianesimo, mi sono convinto che nell’abuso militante – che dilaga e perdura – di un pericoloso confusionismo le formule distintive crociane, da aggiornare e attualizzare strumentalmente, sono riproponibili per una autonomia della cultura che niente ha da spartire con la apoliticità, e s’identifica invece con una moralità e politicità sovrastanti gli interessi della piccola patria geografica e ideo-politica.

Ciò comporta che la ricerca storica, come quella scientifica a cui tende a modellarsi idealmente, sia animata da una ‘coscienza’ spassionata nell’impegno di verità, sia pure ‘probabilistica’, dell’accertamento storico. Fino al punto – occorre finalmente dire – che, pure nel rifiuto abbastanza facile di ogni forma di oppressione politica, di ogni concezione gerarchica autoritaria totalitaria del potere politico, si possa liberamente rimettere in questione lo stesso giudizio storico sul fascismo, istituzionalmente morto, senza mai dare nulla per scontato e "archiviato". Nel senso anzitutto che si possa dare una conoscenza relativamente "certa" estesa penetrante dei suoi dati costitutivi, della sua storia interna, della partecipazione di un popolo ecc., e si possa rigiudicare con distacco eventi e uomini, senza essere sospettati perciò di complicità ideologica.

Negare tale diritto-dovere significa ammettere inevitabilmente che si possa estendere da parte di altri la negazione allo studio storico non militante del socialismo, del comunismo e di qualunque altro movimento politico o altro capitolo storico-idoeologico ecc.

Non si tratta infatti di fornire una gratuita ‘legittimazione’ storica al fascismo, come usa dire per assurdo inavvertito, giacché il fascismo è legittimato alla storia nei fatti, per essere stato un evento cospicuo della storia politica italiana e europea del 900. Altre sono le sedi d’impegno civile in cui le nostre personali scelte politiche, e le nostre avversioni quindi, devono manifestarsi nella parola e pure nell’azione: possibilmente oltre il settarismo ‘religioso’, che sempre nella politica militante maschera precisi interessi di potere. Per quanto mi riguarda non esito a dire che, nella moralità complessiva del mio ‘impegno’ politico-culturale – dico proprio, in questo caso, come assoluto deontologico -, la tensione alla possibile "verità" etica e storica supera senza ombra di dubbio le mozioni contingenti e variabili della partecipazione politica.

Del resto quale coerenza può mai essere quella di intellettuali "democratici", di "cristiani" di "comunisti" di "antifascisti" militanti, che perpetuano metodologie in teoria reiette come "fasciste", anziché attestare anzitutto nella moralità del mestiere la superiorità dei sistemi ideo-politici che contrappongono come "antitetici" al fascismo? La cui storia relativamente estranea, con le sue fedi e la sua cultura, alla coscienza delle giovani o meno anziane generazioni, comunque appartiene interamente alla nostra identità di popolo, così che oltre ogni speculazione interessata oramai se ne può, se ne deve parlare come di evento concluso.

Altra cosa sono le eredità e le sopravvivenze storiche, la trama di cultura e di tradizioni, di tendenzialità ‘caratteriali’ e geopolitiche italiane, in cui pure il fascismo era radicato, e che permangono forti; ma non possono impedire o limitare o stravolgere la civile moralità di una ricognizione storica del passato, da parte di chi non intenda nascondersi nella rimozione o mettersene fuori de-responsabilizzato, col falso dell’ "antifascismo" sempre in armi, per fede o per opportunismo politico. Mentre intanto altre più attuali precipitazioni minacciano il mondo, nella stretta imperialistica di quelle democrazie "pacifiste" e "popolari" che, dopo avere cancellato con la superiorità delle armi la "violenza fascista", da tempo si fronteggiano in cieche competizioni, cooperando a prefigurare la "distruzione finale", non solo della ‘libertà’ come ‘civiltà’, ma dell’esistenza stessa dell’ uomo.

www.giannigrana.it

Marsilio da Padova

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015