Gianni Grana: strutture del romanzo

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GIANNI GRANA

"I VICERE'" E LA PATOLOGIA DEL REALE

Discussione e analisi storica delle strutture del romanzo

Questo libro ha una sua genesi quasi ventennale, originando da un 'profilo' sintetico - che fu apprezzato - scritto nel 1960 per I contemporanei di Marzorati, e in effetto di stesura più ampia del testo pubblicato. Il mio lavoro su De Roberto e particolarmente su I Viceré è continuato da allora, anche con sortite a Catania per l'esame del manoscritto e di altro, per più anni nell'impegno e disegno nuovo di una costruzione critica commisurata, per penetrazione e possibilmente per una relativa congruità ideologica, ai 'valori' propri del capolavoro derobertiano.

Abbandonato alcuni anni per altri più pressanti interessi, per scritture di diversa pulsione, fra l'altro quelle che hanno dato corposa materia al "poema infernale" diomorto, mi sono risolto a riprendere ridefinire e concludere questo lavoro critico, anzitutto per il suo stadio molto avanzato, per queltanto d'imponenza materiale che aveva assunto, ma specialmente per il constatato ristagno della critica su De Roberto e soprattutto su I Viceré, dopo i nostri 'profili' di venti anni fa e qualche altro successivo. Basterebbe appena calcolare che a I Viceré, romanzo miliare nella narrativa dell' Ottocento, si è dedicato un massimo di cinquanta pagine in tutto, di considerazioni più o meno corrette e 'lucide' ma sempre e per forza generiche.

Il forte movente che agiva come 'necessità' nel mio lavoro, pure nella sua fase più recente, era insomma l'insoddisfazione non solo della vecchia critica, ma anche delle nostre ricognizioni sintetiche e di altre parziali o ripetitive che sono seguite, e suttutto delle distorsioni che da un ventennio si sono accanite, da parte di critici di interessi diversi, ma consenzienti nel presupporre e sovrapporre i propri schemi socio-ideologici, nella lettura di un'opera che globalmente li rifiuta.

Perciò questo libro sistematico è anzitutto un riesame critico, per una interpretazione generale dell'opera derobertiana, e insieme un'analisi a più largo raggio della tecnicità del romanzo maggiore, ma contemporaneamente una ridiscussione dei temi posti settorialmente dalla critica novecentesca, e aldilà di questi anche di temi più generali, riguardanti l'estensione della tecnicità propria della critica letteraria, in rapporto determinato con le strutture narrative.

Il libro affronta poi - non mi pare con altri esempi italiani - l'analisi storica e tecnica del romanzo come organismo narrativo, nella complessità problematica delle sue strutture, con un procedere che unisce il sincretismo pluridisciplinare alla visione coordinata dell' universo romanzesco, ridiscutendo insieme i principali temi e nodi della narratologia contemporanea. Auspicherei un 'trattamento' narratologico così articolato anche per altri romanzi 'miliari', a cominciare da I promessi sposi. Nonostante l'adozione di terminologie tecniche, necessaria e quasi inevitabile come 'lingua comune' disciplinare, queste sono anzitutto pronunciate qui liberamente, secondo le necessità di linguaggio proprie di un discorso critico non solo leggibile ma possibilmente 'vivace'; e però sono intenzionalmente svalutate come semplici provvisorie metafore critiche, destituite cioè della illusoria armatura tecnologica e della pretensione 'scientifica' da letterati, qui - come in altre occasioni - esplicitamente contestata da chi dopotutto della scienza ha più rispetto.

Proprio per tutto questo il libro è il contrario di una composizione a tesi o a tema, di allure più o meno 'francese', una costruzione critica di tipo che direi monologico, cioè rispondente a una soggettiva logica di auto-espressione del critico, piuttosto che a un 'obiettivo' e concreto ancoraggio testuale, e agli specifici temi tecnici e culturali che ne scaturiscono. Di questi libri se ne leggono pure di 'buona firma', per quanto mi riguarda con scarso frutto di conoscenza, anche se con eventuale 'ammirazione' o apprezzamento della pagina critica. E non parlo delle esercitazioni inesauribili di tanta critica 'per titoli', sui medesimi temi particolari verniciati di 'nuova' tecnicità, nella fede scolastica del momento.

Sempre per la leggibilità del libro il discorso è tutto rifuso in unico carattere nei capoversi, senza alcuna diversione oculare appiè della pagina, soppresse le gloriose note di cui pure questo lavoro era carico, mentre ora anche i numerosi essenziali rimandi bibliografici sono sempre forniti in parentesi nel testo. I capitoli sono autonomamente costruiti, secondo i diversi livelli e 'punti di vista' strutturali da cui l'opera è osservata, ma insieme sono legati dai richiami e ritorni tematici da uno all'altro e dalla convergenza nella visione sistematica dell'opera. I titoli e i sottotitoli, in questo senso, non sono mai da intendere rigidamente, volendo segnalare solo i temi e problemi di maggiore rilevanza, e anche quando possono sembrare 'suggestivi' dicono molto meno, dando un'idea solo parziale del fitto intrico tematico che si compone nell'organicità del disegno critico.

Non più interessato per suo conto a 'titolarsi' per carriere onorevoli, l'autore s'illude senza ipocrisia che il libro laborioso, oltre a innovare nella critica specifica sull'opera derobertiana, possa essere accolto più in generale come 'esempio' - proposta di analisi complessa del romanzo moderno in Italia.

www.giannigrana.it

Marsilio da Padova

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015