Gianni Grana: LETTERATURA (900) E POTERI ISTITUZIONALI

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GIANNI GRANA

L'IPER (DIS) FUNZIONE CRITICA

LETTERATURA (900) E POTERI ISTITUZIONALI

Il titolo non può fare impressione, non può dare a pensare che l'esile libro si offra come trattazione sistematica sull'argomento: un tema così carico e intricato - anche limitatamente al 900 - da richiedere larga indagine. Queste pagine, che si fregiano orgogliose di tale titolo, sono in realtà originate da altra sollecitudine, in una particolare circostanza editoriale. Sono nei quattro capitoli in cui figurano divise: l'Introduzione generale al Novecento, da me organizzato e diretto per Marzorati; la Reintroduzione alla terza parte dell'opera, quella strettamente "contemporanea"; il mio intervento sul problema della storia letteraria, che precede la prima ristampa della stessa opera; il capitolo da me dedicato alle avanguardie estremiste europee, in rapporto all'"esperienza fondamentale", di alienazione dal senso e dal segno, di Emilio Villa.

Però tutte queste pagine, scritte a breve distanza negli ultimi due anni, nelle pause possibili dalla impegnativa "costruzione" dell'opera, sono nate come da un solo getto in un ordine concettuale "coerente", frutto di lunga riflessione-reiezione nello stesso lavoro decennale, e poi insieme di oggettiva passione liberatoria, di partecipazione-consenso critico e ideologico per le utopie eversive e palingenetiche delle avanguardie estreme, - riecheggiate nelle rivolte giovanili del decennio - , contro e anzi per la morte della letteratura, delle arti borghesi della forma, delle retoriche tradizionali, della vecchia cultura estetico-critica.

L'alternativa fascinosa, in questo caso, era per me quella di una rinascita o nuova nascita eventuale dell'arte, della poesia restituite a una possibile e attiva "necessità", come rimesse nel mondo tra i gesti autentici dell'uomo: più o meno secondo l'analisi che ne fa Marcuse in Arte e rivoluzione, ma ovviamente aldilà delle sue occlusioni svalutative. Era l'ipotesi e probabilità, forse, di quella che Breton chiamava "un'arte di sinistra", e che io sentivo coincidere nella sua sostanza con la necessità patetica di dire e fare di altro mio lavoro-energia intriso delle ragioni anche "politiche", e direi delle pulsioni contraddette dell'esistenza, documentato in parte da Diomorto.

Ecco allora, e subito, le motivazioni autobiografiche, di "testimonianza" e reazione diretta che sono all'origine di questi interventi, nel perimetro e nei limiti della mia personale e globale esperienza di lavoro. Quando ci si è dedicati per oltre venti anni a un certo tipo di programmazione e organizzazione editoriale, per opere corpulente di informazione storico letteraria, con la collaborazione di tanti e tanti critici e storici della letteratura, si ha veramente molto da dire, partendo dalla pratica quotidiana e dal rapporto con gli uomini: sul farsi tecnico e prodursi di tanta "letteratura" critica, sulle istituzioni che la recepiscono per ritrasmetterla dalle loro strutture professionali, sulla stessa istituzionalità" quindi di queste opere, di questa industria dell'"informazione culturale" che promuove, mobilita e organizza tanta parte del lavoro, della elaborazione mentale, che si accredita nella pubblicistica come critica e storiografia letteraria.

Quanto se ne dice qui, quanto se ne diceva nelle Introduzioni del Novecento, è ben poco rispetto al molto che se ne potrebbe e dovrebbe dire, con narrazione distesa e sistematicità di discorso. Ma è bastato questo poco a provocare reazioni anche furenti, al livello più basso, sulle pagine "culturali" di alcuni "grandi quotidiani" per es., dove pochi re-censori di mestiere profittano del privilegio contrattuale che gli garantisce spazio retribuito, per pubblicizzare o colpire - secondo l'interesse e il mandato - i risultati del lavoro altrui, sapendo che comunque non si ha diritto di contraddittorio a difesa nella stessa sede.

La solita breve lettera al direttore, in tutt'altra parte se non decurtata o cestinata, sarà una risposta del tutto sperequata. E ci sono perfino direttori di quotidiani "di sinistra", noti per "democraticità esemplare", che considerano la pretesa di discutere pubblicamente coi "critici" del giornale, un segno infausto dei tempi, "uno dei tanti segni del disordine che caratterizzano la nostra epoca" (Scalfari).

La frase storica è in una lettera a me indirizzata, per un mio tentativo d'intervento-discussione sul suo giornale, dopo un attacco-rivalsa animoso di uno dei suddetti re-censori, tra i più volgarmente acritici. Tanto per dire, per accennare solo, quale lunga e complessa storia si potrebbe e bisognerebbe fare delle situazioni di potere e di costume, che legano la letteratura al suo sfruttamento economico-politico: e anche dell'uso, abuso e maluso, che si fa della cosiddetta "libertà di opinione", a servizio d'interessi costruiti.

Dovrebbero comunque valere queste pagine - che io ho preferito lasciare intatte nella "autenticità" della stesura originaria, dei momenti in cui sono nate, nell'intrico tematico, anche divagante rispetto ai temi centrali -, dovrebbero valere come contribuzione parziale e assaggio essenziale di una problematica più estesa e impegnativa, di una storia che forse qualcuno vorrà tentare, su esperienze e dati e casistiche ulteriori, con ricerche e strumenti più elaborati. Chissà che questo libello non sia stimolante, in ogni senso, per lettori di "buonafede".

www.giannigrana.it

Marsilio da Padova

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015