Kant: il coraggio di servirsi della propria intelligenza

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Kant: il coraggio di servirsi della propria intelligenza

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Giuseppe Bailone

Kant pubblica nel 1781 la Critica della ragion pura, scritta “quasi di volata”, ma frutto della riflessione di oltre un decennio. Si tratta di un’opera molto complessa e, in alcune parti, assai difficile. Essa non ha il successo che Kant si aspettava e riceve anche recensioni negative, proprio per la sua l’oscurità. Nel 1783 ne riespone i contenuti essenziali in un’opera meno faticosa, Prolegomeni a ogni metafisica futura che si presenterà come scienza. Nel 1784 scrive la Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?. In essa espone la sua idea originale di illuminismo, inteso come coraggio di servirsi della propria intelligenza e di praticare l’autonomia morale. È uno scritto di facile lettura che ci avvicina allo spirito che anima il pensiero maturo di Kant.

L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e di coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E’ questo il motto dell’illuminismo.

La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha fatti liberi da direzione estranea (naturaliter maiorennes), rimangono ciò nondimeno volentieri per l’intera vita minorenni, per cui riesce facile ad altri erigersi a loro tutori. Ed è così comodo essere minorenni! Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me il regime che mi conviene ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero di me. Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A persuadere la grande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) che il passaggio allo stato di maggiorità è difficile e anche pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra i loro simili minorenni. Dopo di averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e di avere con ogni cura impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori della carrozzella da bambini in cui li hanno imprigionati, in un secondo tempo mostrano ad essi il pericolo che li minaccia qualora cercassero di camminare da soli. Ora questo pericolo non è poi così grande come loro si fa credere, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi imparerebbero finalmente a camminare: ma un esempio di questo genere li rende paurosi e li distoglie per lo più da ogni ulteriore tentativo.

E’ dunque difficile per ogni singolo uomo lavorare per uscire dalla minorità, che è diventata per lui una seconda natura. Egli è perfino arrivato ad amarla e per il momento è realmente incapace di valersi del proprio intelletto, non avendolo mai messo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi riuscisse a sciogliersi da essi, non farebbe che un salto malsicuro sia pur sopra i più angusti fossati, poiché non avrebbe l’abitudine a siffatti liberi movimenti. Quindi solo a pochi è venuto fatto con l’educazione del proprio spirito di sciogliersi dalla minorità e camminare poi con passo più sicuro.

Al contrario, che un pubblico si illumini da sé è ben possibile e, se gli si lascia la libertà, è quasi inevitabile. Poiché in tal caso si troveranno sempre tra i tutori ufficiali della gran folla alcuni liberi pensatori che, dopo di avere scosso da sé il giogo della tutela, diffonderanno intorno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sé. Al riguardo è singolare vedere che il pubblico, tenuto prima da costoro sotto questo giogo, li obbliga poi esso stesso a rimanervi, quando sia a ciò istigato da quelli tra i suoi tutori che fossero essi stessi incapaci di ogni lume. Tanto è pericoloso seminare pregiudizi! Essi, infatti, finiscono per ricadere sui loro autori o sui successori dei loro autori. Forse una rivoluzione potrà bene determinare la caduta di un dispotismo personale e porre termine a un’oppressione avida di guadagno e di potere, ma non provocherà mai una vera riforma del modo di pensare: piuttosto, nuovi pregiudizi serviranno del pari dei vecchi a guidare la gran folla di chi non pensa.

Senonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di far pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: «Non ragionate!». L’ufficiale dice: «Non ragionate, ma fate esercitazioni militari”. L’impiegato di finanza: “Non ragionate, ma pagate!». L’uomo di chiesa: «Non ragionate, ma credete!». Non vi è che un solo signore al mondo, che dice: «Ragionate fin che volete e su quel che volete, ma obbedite».1 Qui è dovunque limitazione della libertà. Ma quale limitazione è d’impedimento all’illuminismo? Quale non lo è, anzi lo favorisce? Io rispondo: il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo, ed esso solo può attuare l’illuminismo tra gli uomini; mentre l’uso privato della ragione può anche più spesso essere strettamente limitato, senza che ne venga particolarmente ostacolato l’illuminismo.

Intendo per uso pubblico della propria ragione l’uso che uno ne fa come studioso davanti all’intero pubblico dei lettori.”

Kant spiega, quindi, che il militare in servizio deve eseguire gli ordini, “ma non è giusto impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra e sottoporle al giudizio del suo pubblico”; il cittadino deve pagare le tasse, ma è libero di manifestare, come studioso, “il suo pensiero sulla sconvenienza o anche sull’iniquità di queste imposizioni”; un ecclesiastico deve insegnare il catechismo secondo la confessione della Chiesa da cui dipende, “ma come studioso egli ha piena libertà ed ha anche il compito di comunicare al pubblico tutti i pensieri, che un esame severo e coscienzioso gli ha suggerito circa i difetti di tale confessione, e di fare le sue proposte di riforma della religione e della Chiesa”.

Il filosofo dell’imperativo categorico, del dovere per il dovere, affida al coraggio la realizzazione del compito dell’illuminismo e ne individua gli ostacoli nella pigrizia e nella viltà. Ci vuole coraggio per servirsi individualmente della propria ragione; è una questione di forza, di energia morale: bisogna misurarsi con i tutori e con l’abitudine di consegnarsi ad essi; c’è da vincere la propria vile ed abituale impotenza; bisogna crescere, diventare maggiorenni, esercitare il potere della propria autonomia. La ragione ha bisogno del coraggio che le apra la strada. Ci vuole forza per liberare la ragione dai tanti ostacoli che la inceppano. La ragione non s’impone da sola: si afferma solo se il coraggio e la forza della maggiore età le sgomberano strada.

In Kant la secolare battaglia per la ragione e quella per l’autonomia individuale, cui la Riforma ha dato nuovo slancio, si rafforzano reciprocamente e promuovono l’idea dell’autonomia razionale individuale, al centro della sua teoria morale, ma anche della sua teoria del diritto e della politica.

Avvicinarsi alla teoria morale di Kant con le pagine del 1784, sull’esortazione al coraggio dell’autonomia razionale individuale, permette di vederne il rigorismo e il formalismo in una luce molto diversa da quella che su di essi proietta la critica romantica di razionalità fredda e astratta: il rispetto dell’imperativo categorico diventa l’approdo alla maggiore età, la pratica della libera razionalità individuale orientata in senso universale.

Il rispetto morale kantiano si rivela come coraggio di servirsi individualmente della ragione e di mettersi al servizio di quel che nell’interiorità personale si presenta come dovere universale. La morale mortifica gli interessi passionali particolari, ma esige il coraggio di cercare nella propria interiorità razionale la legge universale da realizzare. Anche il razionalismo stoico e la sua apatia, remote radici del rigorismo razionale kantiano, dopo la lettura delle pagine kantiane sull’illuminismo, possono apparire meno freddi di come siano stati spesso presentati.

Il coraggio promuove il trionfo della ragione, ma chi o che cosa promuove il coraggio? Come direbbe don Abbondio, chi non ce l’ha non se lo può dare. Kant, invece, pensa che lo possa promuovere l’uso pubblico della ragione, in cui è stato maestro: egli ha, infatti, sottoposto al giudizio della ragione non solo molti aspetti della realtà, ma, come indicano anche i titoli delle sue opere mature, la ragione stessa.

Kant è, infatti, convinto che l’uso coraggioso, ma non temerario, della ragione, richieda coscienza dei suoi limiti.

Coraggio e coscienza dei limiti sono i punti di forza del pensiero di Kant. Per questo egli ha portato la ragione davanti al proprio tribunale e ne ha esaminato le pretese conoscitive e pratiche. Per questo le tre opere principali della sua maturità filosofica hanno tutte nel titolo la parola “critica”, cioè esame dei limiti.

L’uomo può molto, ma non tutto. È potente, ma non onnipotente.

Il pieno sfruttamento del proprio potere richiede quindi la coscienza dei suoi limiti.

Kant è in questo del tutto interno al movimento illuministico e alla sua filosofia del limite.

Torino 10 febbraio 2015

Nota

1 Allude a Federico II, re di Prussia.


ANNO ACCADEMICO 2014-15 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 10 febbraio 2015

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 06-09-2015