STUDI LAICI SUL NUOVO TESTAMENTO


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SFONDO STORICO DELLA SEPARAZIONE FRA COMUNITA’ EBRAICHE E COMUNITA’ CRISTIANE

WOLF MURMELSTEIN

L'ultima cena

PREMESSA

La presente nota trae origine dall’azione svolta nel periodo 1978-1983 da chi scrive per combattere la menzione sui libri di testo di storia nelle scuole secondarie dell’infame accusa di Deicidio che per secoli ha istigato attacchi violenti contro le comunità ebraiche nell’Europa cristiana. Questa azione, che ha ottenuto qualche piccolo risultato, ha invogliato a studiare lo sfondo storico e i motivi della separazione fra Cristiani e Ebrei. Infatti, solo conoscendo le ragioni della separazione è possibile gettare le basi per un vero dialogo e motivare le richieste di revisione di libri di testo. Con questa motivazione chi scrive ottenne nel lontano 1989 la tessera di ingresso alla Biblioteca del Pontifico Istituto Biblico dove per una decina di anni ha potuto consultare libri ormai rari.

Quanto esposto in queste poche righe intende dimostrare l’assurdità dell’infame accusa di Deicidio. Quanto narrato, infatti, nel Nuovo Testamento rispecchia la situazione del popolo ebraico in quei tempi. E’ quindi da respingere il vezzo di molti “studiosi” di dire che questo o quell’altro episodio narrato o detto riportato sia frutto di interpolazioni oppure di pie leggende. Gli Evangelisti, e anche gli autori delle epistole, dovettero scrivere in un linguaggio, spesso poetico, per evitare l’accusa di sedizione contro l’Impero Romano. In questo studio gli episodi e i detti citati vengono inseriti nel contesto storico dell’epoca cercando di vedere tutto con gli occhi dell’apparato repressivo – Legati, Prefetti, Centurioni, Pretori, ecc - di quella tirannia genocida che era, in effetti, l’Impero Romano. Solo in questo modo si comprende meglio, e con senso di giustizia, il comportamento di coloro – Sommo Sacerdote e Sinhedriti - che all’epoca dovettero rappresentare il popolo ebraico di fronte all’oppressore romano; chi da secoli li giudica verrà giudicato per i suoi vari patti col diavolo, quali Concordati o pressioni per ottenere qualche privilegio.

NOTA PRELIMINARE

ALCUNE NORME RITUALI EBRAICHE NECESSARIE PER UNA MIGLIORE COMPRENSIONE DI MOLTI PASSI DEL NUOVO TESTAMENTO

Chi scrive ha spesso notato, prima con stupore poi con disappunto, come grandi studiosi (teologi, storici e saggisti) omettono di considerare norme rituali ebraiche fondamentali, si citano qui quelle necessarie per meglio comprendere i fatti citati in seguito.

NON PRONUNCIARE IL NOME INVANO

Significa in questo contesto che quanto detto nelle preghiere, nel Tempio e nelle Sinagoghe, nei discorsi pubblici deve essere citato con delle circonlocuzioni. Quindi all’espressione REGNO DEI CIELI corrispondono varie invocazioni pronunciate ancora oggi nelle Funzioni in Sinagoga, specialmente a Capo d’Anno (Rosh Ha Shanah) e il Giorno di Kippur.

BAR MITZVA = FIGLIO DEL PRECETTO = MAGGIOR ETA' CON OBBLIGO PER TUTTI I PRECETTI

All’età di 13 anni un giovanetto raggiunge la maggiore età religiosa con l’obbligo della piena osservanza di tutti i precetti e deve dimostrare avanti a Maestri di aver studiato le norme da osservare e i principi da considerare.

BENEDIZIONE = RENDERE GRAZIE

Prima di godere di qualsiasi cosa (cibo, ma non solo) o di adempiere ad un precetto si recita una Beracha = Benedizione per rendere grazie.

KIDUSH = CONSACRAZIONE

Viene detto prima dei pasti la sera e a mezzogiorno di Sabato e Festività Solenni; si conclude con la benedizione sul vino. Viene detto prima dell’inizio del Seder di Pesach(Simposio di Pasqua). Se non è stato detto significa che non si trattava di pasto di Sabato e Festa Solenne.

DIGIUNO DEI PRIMOGENITI

Il giorno della Vigilia di Pesach(Pasqua) i maschi primogeniti dovrebbero osservare un digiuno per ricordare che l’Angelo della Morte ha colpito i primogeniti egiziani passando oltre alle case ebraiche. Forse in quei tempi già esisteva l’usanza di sostituire al digiuno una riunione di studio la sera precedente alla Festa oppure un’offerta per beneficenza.

PURITA' RITUALE DEI SACERDOTI

Dovevano osservare speciali norme di condotta personale e evitare contatti con morti e visite a cimiteri. Non potevano celebrare il Sacrificio se nello stesso giorno o quello precedente avevano avuto un rapporto coniugale o visitato una casa dove venivano adorate divinità pagane; dovevano prima purificarsi, nei tempi prescritti, col bagno rituale. Chi non apparteneva al ceto sacerdotale non aveva questi obblighi d purità e, pertanto, non poteva esimersi dall’adempimento del precetto della sepoltura di un morto.

ANNO SABATICO E ANNO GIUBILARE

Ogni 50 anni, dopo sette settenni conclusi con l’Anno Sabbatico (Riposo per la terra da non coltivare, remissione dei debiti, ecc.) cadeva l’Anno Giubilare con ritorno delle terre ai proprietari espropriati - idealmente la terra era considerata appartenente al Signore; la terra era solo affidata a chi la coltivava - e la definitiva liberazione degli schiavi non liberati nei precedenti anni sabatici. Secondo alcuni doveva iniziare col Pesach del settimo Anno Sabatico. Non si sa fino a che punto, nella storia, queste norme siano state realmente osservate.

Per questo studio è importante ricordare che si credeva anche nell’arrivo del Messia (discendente Casa di David) all’inizio dell’Anno Giubilare. Il settimo ciclo di anni precedenti l’Anno Giubilare assumeva quindi un significato particolare; nei primi anni le condizioni peggioravano mentre nei successivi si aveva un crescente miglioramento fino all’arrivo del Messia liberatore.

ANNO EBRAICO/ANNO ROMANO – CALENDARIO LUNARE EBRAICO E CALENDARIO GIULIANO

L’anno ebraico, secondo il calendario lunare di origine babilonese, inizia e termina a fine estate e può avere, secondo i casi 12 o 13 mesi di 29 o 30 giorni. L’anno romano secondo il calendario solare giuliano iniziava dopo il solstizio d’inverno quando la durata del giorno ricomincia ad allungarsi e prevede un anno bisestile ogni 4 anni. L’anno ebraico è quindi a cavallo di due anni del calendario giuliano romano.

IL GIORNO SECONDO IL CALENDARIO EBRAICO

Dura da sera a sera; dal tramonto al tramonto.

SABATO E FESTIVITA'

E’ noto che il giorno di Sabato e di Festività Solenne ogni lavoro era ed è proibito; per le Festività Solenne valgono regole meno rigorose. Di certo né di Sabato, né di Festività Solenne era possibile fare acquisti. Di Venerdì o Vigilia di Festività Solenne tutte le cose pratiche dovevano essere sbrigate durante la mattinata. Le norme relative al Sabato prevalevano su quelle della Festività Solenne in caso di coincidenza.

SEDER = SIMPOSIO DI PESACH/PASQUA

E’ la celebrazione (simposio) rituale che deve seguire un certo ordine per ricordare la liberazione dalla schiavitù egiziana; si mangiano l’agnello pasquale, le azzime, le erbe amare. E’, ed era anche allora, uso di tenere almeno una seduta di preparazione che differisce dal Seder per il fatto che, ovviamente, non si mangiano le azzime e l’agnello pasquale. Allora si doveva (oggi si dovrebbe) stare in posizione sdraiata.

SANGUE

E' ed era assolutamente vietato bere sangue, cibarsi di carne non dissanguata oppure raccogliere sangue per adorazione.

PORCO

E' l’animale impuro per definizione; la sua presenza costituisce profanazione. Ricordando la profanazione del Tempio con un porco da parte di Antioco IV, Epiphanes, la parola “porco” poteva indicare i greci e/o la filosofia greca.

IL POPOLO EBRAICO ALL’EPOCA DEL NUOVO TESTAMENTO

DIVISIONI PER TERRITORIO E PER PARTITI

Coloro che non considerano l’importanza delle regole rituali ebraiche per la comprensione di quanto narrato nel Nuovo Testamento non tengono neanche conto della divisione del popolo ebraico sia fra i vari partiti/orientamenti dottrinali che nel mondo allora conosciuto e neanche ricordano che la Diaspora ebraica aveva avuto inizio dopo la distruzione del Primo Tempio con la “Cattività Babilonese”.

All’epoca dei fatti narrati nel Nuovo Testamento il popolo ebraico era sparso sia entro che oltre i confini dell’Impero Romano.

1. IL REGNO DI GIUDEA, poi suddiviso e successivamente ridotto a provincia imperiale di confine.

2. LE COMUNITA’ EBRAICHE NELL'IMPERO ROMANO. Nell’Urbe e nella Regio Italica e in varie provincie dell’Impero; essenzialmente Egitto, Siria, Asia (Penisola Anatolica).

3. LE COMUNITA’ EBRAICHE NEL REGNO DEI PARTI; si trattava dei discendenti di coloro che erano stati portati in esilio dopo la distruzione del Primo Tempio.

4. ALTRE DIASPORE come ETIOPIA, ARABIA FELIX (l’attuale Yemen), INDIA, ecc.

La divisione per partiti/orientamenti dottrinali era anche una divisione di classe sociale:

1. I SADDUCEI; essenzialmente aristocrazia sacerdotale e laica.

2. FARISEI;essenzialmente borghesia delle città quali artigiani e commercianti, in rapporti con le varie diaspore. Questo partito era diviso in diverse scuole fra le quali vi erano vive discussioni su vari argomenti dottrinali.

3. ZELOTI; essenzialmente contadini che erano favorevoli alla resistenza armata; non si sa quali rapporti avessero con la Diaspora e gruppi analoghi di altre popolazioni vicine

4. ESSENI, pietisti in ritiro spirituale.

Rilevante per questo studi è pure la contrapposizione fra popolazione delle campagne e quella delle città. La popolazione di campagna, estranea alle discussioni fra le varie scuole farisaiche, veniva chiamata, in modo dispregiativo, “popolo della terra”/”amha aretz”

In seguito agli espropri di terre si era formato un proletariato di campagna. E’ pure probabile che era in via di formazione anche un proletariato urbano, specialmente in Diaspora.

LA FUGA IN EGITTO

Protagonista della Fuga in Egitto è la Sacra Famiglia – Giuseppe, Maria e Gesù – che deve fuggire dalla città di Nazareth, in Galilea. La “Strage degli Innocenti” è un riferimento, in forma poetica, alla condanna e l’esecuzione di due figli di Erode il Grande, quelli nati dalla seconda moglie Mariam (principessa asmonea), e di circa 300 ufficiali dell’esercito loro seguaci. Questi figli, Alessandro e Aristobulo, considerati gli ultimi eredi della Dinastia degli Asmonei, vennero coinvolti in una congiura, solo velleitaria, contro l’Impero Romano e il suo vassallo Erode il Grande. Per non dover ammettere l’esistenza di questa congiura, l’accusa venne formulata come oltraggio ad Erode quale “Pater Familias” reato di diritto romano. Il processo farsa venne presieduto dal Legato per la Siria Saturninus che lo condusse, apparentemente, in modo da soddisfare le esigenze di Erode e finì con la condanna a morte, prontamente eseguita. L’intera famiglia di Erode il Grande aveva, infatti, la cittadinanza romana e quindi i suoi membri erano giudicati secondo le leggi romane. Poco dopo questa tragica farsa, Augusto decise però il richiamo di Saturnino e la nomina, quale Legato per la Siria, del più duro Varus.

Il riferimento ai Re Magi – o meglio, a loro messi – venuti dall’Oriente a Betlemme indica che la Sacra Famiglia aveva contatti con lo ”Estero Nemico”, cioè la grande collettività ebraica che viveva nel Regno dei Parti. Accanto al Gran Re dei Parti, in molte regioni governavano re-vassalli (alcuni dei quali appartenevano al ceto religioso dei Magi) coi quali le comunità ebraiche (specialmente delle zone di Nehardea, Sura, Pumbendita sull'Eufrate e Nisibisin Mesopotamia) dovevano convivere. Anche se nell’anno 10 a.e.v. il Gran Re Phraates IV aveva concluso un trattato coll’Impero Romano e mandato alcuni figli quali ostaggi a Roma, i singoli feudatari continuavano a tessere i propri intrighi politici, più o meno velleitari. E’ quindi ipotizzabile che i feudatari con grandi comunità ebraiche fossero interessati ad avere contatti in Giudea con possibili oppositori di Erode il Grande. Fra questi oppositori c'erano anche i discendenti di Casa di David e i loro sostenitori farisei. Non si può oggi sapere quale fosse in questo contesto il ruolo dell’Exilarca (anche lui discendente di Casa di David). Questi intrighi non sfuggivano, però, agli ogni presenti “Agentesin Rebus”, il servizio segreto istituito da Augusto, che ne avranno fatto rapporto, sia ad Antiochia (sede del Legato per la Siria) che a Roma.

Da parte romana si cercò di minare il Regno dei Parti facendo leva sulle diverse città greche, risalenti al passato Regno Seleucida, e sulle ambizioni di alcuni re-vassalli. Da parte dei Parti si faceva leva sul diffuso risentimento sia degli Ebrei che degli altri popoli semiti nell’area della Siria contro il dominio romano che, nelle provincie, era caratterizzato da un intenso e duro sfruttamento e frequenti espropri di terre, assegnate a veterani romani. Ne derivavano crescenti tensioni sociali. L’Impero Romano era quindi attentissimo ad ogni indizio, sia pure vago, di azioni volte a mobilitare le masse; erano quindi controllate anche le predicazioni religiose.

Era certamente vivo il ricordo delle diverse rivolte di masse di schiavi (Spartaco, ecc.) e in particolare del “Vespro di Efeso” (quando sarebbero stati uccisi circa 80.000 coloni romani), la ribellione delle provincie romane dell’Asia Minore contro i coloni, insediati sulle terre confiscate e

lo sfruttamento da parte di affaristi, appaltatori delle imposte e funzionari corrotti. La lotta era stata guidata, in tre fasi, da Re Mithradates VI del Ponto che, anche se sconfitto alla fine, costituiva sempre il modello di un re-guida della lotta per la riscossa nazionale e un migliore ordinamento sociale.

Il fenomeno astronomico indicato come la Stella Cometa che avrebbe guidato i Re Magi, oppure i loro inviati come ritengono alcuni, si verificò nel mese di settembre dell’anno 7 a.e.v. vale a dire alcuni mesi dopo l’esecuzione della condanna dei due figli di Erode il Grande e di molti loro seguaci con la quale il Legato Saturninus aveva liquidato, come visto, la farsesca congiura asmonea. Il più duro Varus, sempre in quell’anno 7 a.v., intendeva liquidare la temuta, altrettanto farsesca, congiura davidica la quale era però più allarmante dal punto di vista dell’Impero Romano per i molteplici contatti dei Farisei con le diverse Diaspore e, in particolare, con quella nel Regno dei Parti. E’ quindi ipotizzabile che Varus abbia ordinato, sotto la forma di un suggerimento, di chiamare i Farisei a prestare un giuramento di fedeltà all’Imperatore e al Re Vassallo. L’accenno nel Nuovo Testamento ad un censimento potrebbe quindi riferirsi alla rilevazione di coloro che avrebbero dovuto prestare il richiesto giuramento. Sapendo che Erode il Grande aveva imposto ai Farisei che non avevano prestato il giuramento solo un’ammenda, formalmente pagata per tutti dalla moglie del fratello Pheroras, appare evidente che non era la persecuzione di tutti i Farisei ma quella di un determinato gruppo farisaico (legato ai discendenti di Casa di David), il motivo della fuga della Sacra Famiglia. Al riguardo si deve ricordare che Eusebio di Cesarea, seguendo Eghesipo, riferisce di persecuzioni – sotto Domiziano e Traiano – di discendenti (o ritenuti tali) di Casa di David. Appare però probabile che queste persecuzioni siano iniziate già sotto Erode il Grande, probabilmente su “consiglio” (ordine) di Varus. Giuseppe aveva quindi validi motivi per lasciare la sua città (Nazareth) e affrontare il lungo viaggio fino all’Egitto, dove poteva trovare rifugio nella grande comunità ebraica di Alessandria ed era più facile vivere in una specie di clandestinità. Per il trattato fra i Maccabei e Roma, infatti, Erode era l’unico re-cliente che poteva chiedere l’estradizione di una persona fuggita.

Si doveva però raggiungere l’Egitto. La sosta nella Grotta (della Natività) con l’ospitalità dei pastori, indica che Giuseppe, in fuga, di certo non poteva sostare in una locanda dove sarebbe stato identificato e catturato. Appare pure probabile che l’artigiano Giuseppe appartenesse ad una scuola di Farisei che voleva superare la contrapposizione fra ceto urbano e ceto rurale. I pastori, sfidando il rischio di venire puniti, gli accordavano quindi rifugio. Betlemme all’epoca era vicino al confine col Regno dei Nabatei, dove i controlli erano forse meno severi che al confine con del Regno di Giudea con l’Egitto.

DAL RITORNO DALL’EGITTO ALL’INIZIO DELLA PREDICAZIONE

La Sacra Famiglia tornò dall’Egitto a Nazareth quando apprese della morte di Erode e del governo in Giudea del figlio Archelao e in Galilea dell’altro figlio Erode Antipa, quindi alla fine dell’anno 4 a.e.v.

Alla morte di Erode il Grande il suo regno venne,su decisione di Augusto, diviso in cinque parti:

1. La Giudea vera e propria, l’Idumea e la Samaria vennero date al figlio Archelao col titolo di Etnarca; quello di Re lo doveva meritare.

2. La Galilea e la Perea (sulla riva orientale del Giordano) vennero date al figlio Erode Antipa col titolo di Tetrarca (principe provinciale).

3. Le zone montuose ad Est e Nord-Est del Mare della Galilea, con popolazione prevalentemente non ebraica, vennero date al figlio Erode Filippo col titolo di Tetrarca.

4. Le città di Ashdod e Jamnia sulla costa e un piccolo lembo di terra sulla riva occidentale del Giordano costituirono il vitalizio della sorella Salomè. Dopo la morte nell’anno 10 e.v. di questa infaticabile intrigante e spiona questo territorio divenne patrimonio imperiale.

5. Le città greche di Gadara e Hippos ottennero di tornare nella Decapoli, quindi sotto il diretto controllo del Legato per la Siria.

Al figlio Erode Boethus, ancora troppo giovane, venne dato un fondo patrimoniale che gli consentiva di vivere in vita privata a Roma. Delle figlie di Erode il Grande non è stato tramandato neanche il nome per cui nulla si sa della loro sorte. Infine, Augusto non accolse la richiesta della, cosi detta, “Delegazione del Popolo” (forse ispirata da Varus, desideroso di aumentare il proprio potere) di abolire del tutto il Regno di Giudea e costituire la città di Gerusalemme in Municipio romano. Nello stesso anno Varus, che aveva represso molto duramente i moti popolari contro Archelao,venne richiamato da Augusto.

La Sacra Famiglia fece ogni anno il pellegrinaggio a Gerusalemme per Pesach/Pasqua, quindi anche quando Gesù, all’età di 12 anni - anno 6 e.v. - giusto prima della Sua maggiore età religiosa, (Bar Mitzva) doveva presentarsi davanti ai Maestri. Un Vangelo Apocrifo riferisce che sia stato esaminato su tutte le scienze studiate all’epoca, cioè anche quelle profane che, ovviamente, dovevano essere studiate in modo conforme alla Legge. La versione che Gesù non sapesse leggere e scrivere si rivela quindi del tutto assurda. Mentre la versione che Giuseppe e Maria abbiano lasciato il gruppo dei pellegrini di ritorno verso la Galilea “per cercare Gesù” potrebbe, semplicemente, indicare l’esigenza di tenere segreta la Sua presentazione di fronte ai Maestri.

Nello stesso anno - 6 e.v.,- venne esiliato Archelao (che non era riuscito di meritare il titolo di re ma solo di farsi esiliare) e istituita la Provincia Imperiale di Confine della Giudea comprendente anche la Samaria e l’Idumea. Fu In quell’anno che venne effettuato quel censimento che molti ritengono, erroneamente, sia quello menzionato nel Nuovo Testamento.

Tiberio divenne imperatore nell’anno 14 e.v.e, con lui, nell’anno 17 e.v., assunse vasti poteri Seiano, molto ostile alle comunità ebraiche.

Seiano nell’anno 18 e.v. divenne Unico Prefetto del Pretorio e quindi il capo dell’apparato repressivo romano, Molti ebrei di Roma vennero mandati in Sardegna e nei Pirenei per lavori forzati in miniera. Il reclamo del marito di una nobildonna romana per donazioni fatte ad una scuola farisaica di Gerusalemme costituì il pretesto per altri provvedimenti contro la comunità ebraica di Roma.

Nel Regno dei Parti si ebbero due avvenimenti che da una parte eccitarono le speranze messianiche ebraiche e la propaganda degli Zeloti mentre dall’altra parte allarmarono le autorità romane:

a. Nella città di Nehardea, intorno all’anno 20 a.e.v., si ebbe la ribellione di operai tessitori ebrei. I fratelli Anileus e Asineus organizzarono un regno ebraico, riconosciuto in qualche forma dal Gran Re Artabano III, acceso avversario (se non nemico) di Tiberio. Asineus venne perfino nominato feudatario della Babilonia.

b. Il Regno vassallo semi-indipendente dell’Adiabene, che sorgeva sul territorio dell’antica Assiria, divenne regno ebraico per la conversione, intorno all’anno 23 a.e.v., della dinastia reale e della nobiltà. La profezia del Libro di Giona sulla della conversione del re di Niniveh sembrava quindi avverata.

Tiberio, riguardo alle nomine e politiche nelle provincie, seguiva i suggerimenti di Seiano. Subito dopo la ribellione dei tessitori di Nehardea venne nominato nell’anno 21 e.v., quale Legato per la Siria, il prestigioso Senatore Lucio Elio Lamia il quale venne però “dispensato” (in realtà impedito) dal recarsi nella sua provincia e di esercitarvi le funzioni. Appare ovvio che Seiano, in presenza di una “ribellione ebraica” oltre il confine preferiva servirsi di funzionari di grado inferiore, di rango equestre, ligi ai suoi ordini.

Coerente con la politica antiebraica di Seiano fu pure la nomina, nell’anno 26 e.v., di Ponzio Pilato – sempre della classe dei cavalieri e discendente da uno degli assassini di Giulio Cesare – quale Prefetto della Giudea e Procuratore del Patrimonio della Casa Imperiale nella stessa provincia. Aveva tutti due i titoli, non alternativi, menzionati nei testi.

Pilato confermò quale Sommo Sacerdote il famoso Caifa, nominato nell’anno 18 e.v. dall’allora Prefetto Gratus. Il Sinedrio venne però obbligato a riunirsi nella parte del Tempio dove i Gentili potevano entrare per dar modo di controllare le discussioni e individuare i sinedriti non abbastanza leali verso Roma.

Con Pilato, descritto come uomo collerico, il dominio romano in Giudea divenne più duro, evidentemente per dimostrare, a chi era incline a ribellarsi o guardava oltre l’Eufrate, la forza di Roma. Far entrare le truppe a Gerusalemme con l’esibizione di stendardi con l’effige imperiale oppure coniare monete sempre con l’effige di Tiberio furono delle dimostrazioni provocatorie. Più discussa fu la decisione di Pilato di attingere al Tesoro del Tempio per la costruzione (già decisa da Erode il Grande e ultimato poi sotto Erode Agrippa I) di un grande acquedotto, in effetti necessario, per la città di Gerusalemme;non si sa quale fosse il suo profitto personale.

Proprio nell’anno 28 e.v. sul lontano Mare del Nord, il popolo dei Frisoni si era ribellato contro la pesante tassazione romana e riuscì a sconfiggere le truppe romane; la Provincia della Frisia aveva ottenuto, in quel momento, l’indipendenza. Non si poteva prevedere che nell’anno 46 e.v. Roma riconquistò quella provincia, peraltro diventata, in seguito, regno tributario.

Non solo gli Zeloti volevano vedere nella vittoria di un piccolo popolo, anche se lontano, un incoraggiamento alla lotta armata. Non si considerava, però, la differenza fra una provincia in posizione periferica come la Frisia e una in posizione strategica – fra Siria e Egitto – quale era la Giudea.

L’ATTESA PER L’IMMINENTE ANNO GIUBILARE E L’INIZIO DELLA PREDICAZIONE DI GESU'

Intorno all’anno ebraico 28/29 e.v.(quando aveva “circa trent’anni”) Gesù Cristo iniziò la sua predicazione e non si deve più parlare della Sacra Famiglia. Era il primo anno del settennio precedente l’Anno Giubilare, databile 35/36 e.v., quando, secondo le aspettative, doveva arrivare il Messia (un Principe di Casa di David) con l’integrale vigenza della Legge e quindi, molto importante, il ritorno di tutte le famiglie alle terre delle quali erano state spodestate e la reciproca remissione dei debiti. All'epoca molte famiglie erano indebitate o espulse dalle proprie terre espropriate dai diversi dominatori succedutisi in Giudea e in Galilea.

L’ideale sociale ebraico è la piccola proprietà – ognuno deve avere il suo albero da frutto e la sua vite – con indubbi vantaggi ecologici (come la rotazione agraria e il riposo della terra nell’anno sabatico, ecc.). Per contro, l’Impero Romano prediligeva il latifondo: o monocolture (che, alla lunga, depauperavano il terreno) oppure allevamenti estensivi di animali. Il risultato era che l’Impero Romano non era autosufficiente sul paino alimentare ed era costretto ad importare grandi quantità di grano anche dalla regione sarmatica (l’attuale Ucraina). Erano quindi frequenti proteste popolari (spesso sfociate in rivolte) per mancanza di generi alimentari oppure per prezzi troppo alti. Cosi si spiegano anche gli episodi di carestia in Giudea che risentiva comunque dei problemi economici d sociali dell’Impero Romano. Erode il Grande di fronte ad una grave carestia provvide, grazie alle proprie amicizie, a massicci acquisti di grano in Egitto.

Questo settennio iniziò con il grande peccato commesso dal Tetrarca Erode Antipa coll'unirsi ad Erodiade, l’ambiziosa moglie ripudiata dal fratello Erode Boethus. Erodiade aveva voluto un marito che regnasse su un territorio e aveva circuito Erode Antipa (perlomeno Tetrarca della Galilea) che a Roma aveva visitato questo fratello. Come visto, Erode Boethus, alla morte di Erode il Grande era troppo giovane per poter partecipare alla divisione del Regno di Giudea ed era stato quindi accontentato con una parte del patrimonio per cui poteva vivere a Roma; saggiamente evitò di prendere parte all’attività politica.

Il gesto di Erode Antipa era:

1. Un peccato dal punto di vista religioso dato che non era allora consentito sposare la cognata divorziata da un fratello vivente e neanche se vedova con figli di fratello morto. Oggi giorno non è consentito sposare una cognata, né vedova né, tantomeno, divorziata.

2. Una follia dal punto di vista politico. Per unirsi ad Erodiade, Erode Antipa dovette ottenere l’autorizzazione di Tiberio per poter ripudiare la prima moglie col pretesto della sterilità. Ciò venne considerato da Re Areta IV dei Nabatei un grave oltraggio da vendicare al momento opportuno. Ma più probabilmente Re Areta IV era molto interessato ad impossessarsi della Perea(parte del Tetrarcato di Erode Antipa) per arrivare alla riva orientale del Giordano.

Erodiade, ostile alle tradizioni religiose ebraiche, voleva la morte di Giovanni il Battista che andava predicando: “io vi dico che vive nel peccato”. La decapitazione del predicatore non valse a migliorare la fama del debole Erode Antipa.

E' detto che, dopo la morte di Giovanni il Battista, suo cugino, Gesù Cristo iniziò la propria predicazione in favore della più rigorosa osservanza della Legge. Questa predicazione era rivolta solo al popolo ebraico oppresso e disperso ed era molto critico nei confronti delle dotte discussioni dei Maestri che erano incomprensibili al popolo, specialmente ai “poveri di spirito”, il ceto rurale.

Si dovrebbe riflettere sul vero significato di quanto detto nel Discorso della Montagna, e in particolare sui versi seguenti:

Mt 5,17 “… non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento”.

Mt 5,18 “… prima che passa il cielo e la terra, non un iota, non un apice passerà della Legge …”.

Mt. 10,5/6/7 “… Non prendete la via dei pagani, e non entrate in una città di Samaritani. Andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Nel vostro cammino, poi, predicate dicendo: E’ vicino il regno dei cieli “

Mt. 10,23 “… non avrete finito le città d’Israele che il Figliol dell’Uomo sarà venuto.”

La situazione all’inizio del settimo settennio precedente l’Anno Giubilare atteso per l’anno 35/36 si presentava nei seguenti termini:

La Provincia Imperiale di Confine della Giudea - comprendente Giudea, Samaria e Idumea - era stata costituita dopo che nell’anno 6 e.v. era stato esiliato l’Etnarca Archelao. Si aveva la forte contrapposizione della popolazione ebraica sia con i Samaritani che con gli abitanti delle varie città greche. Inoltre, come già visto, la collettività ebraica era divisa in partiti quali i Sadducei (aristocrazia sacerdotale e laica con relativi clienti), Farisei (borghesia e proletariato delle città, essenzialmente Gerusalemme), Zeloti (fautori della resistenza armata, chiamati anche “banditi”), Esseni (pietisti dimoranti sul Mar Morto). La borghesia cittadina (commercianti, artigiani, ecc.) era contrapposta al ceto rurale per interessi e, quindi, anche per varie opinioni dottrinali. Infine, gli Idumei erano malvisti come discendenti di Esaù, sostenitori di Erode e ritenuti alleati dei Romani. La parte più fertile era la Valle di Jezreel (Samaria), abitata dai Samaritani. L’Idumea era dedita essenzialmente alla pastorizia. La montuosa Giudea intorno a Gerusalemme era meno fertile. Nella città di Gerusalemme il Tempio era la più importante fonte di lavoro. Erano quindi importanti le offerte dalle Diaspore per il funzionamento e i lavori di restauro (iniziati ancora sotto Erode il Grande) del Tempio come pure la spesa dei pellegrini. All’inizio di questo settimo settennio precedente l’Anno Giubilare la Provincia imperiale di confine Giudea era sotto il dominio di Ponzio Pilato, duro e offensivo verso la religione ebraica.

La Galilea era governata dal Tetrarca (principe provinciale e non re) Erode Antipa; del Tetrarcato faceva parte anche la Perea(riva orientale del Giordano) confinante con il Regno dei Nabatei. A differenza della Giudea prevaleva il ceto rurale, chiamato però dai Farisei, in senso dispregiativo, “popolo della terra”. La configurazione montuosa/collinare era favorevole agli Zeloti.

L’economia era basata essenzialmente su agricoltura (il terreno era più fertile che in Giudea), pesca nel Mar della Galilea e commercio di transito dalla regione di Damasco verso i porti fenici. A differenza della Giudea, la vita economica in Galilea era o po’ più facile, proprio perché governato dal Tetrarca.

Erode Antipa, anche se di cultura ellenista, era riuscito nei decenni a mantenere un buon rapporto con i Farisei. Gli viene accreditato di essere intervenuto presso Ponzio Pilato per protestare con forza contro l’intento di piazzare nel Tempio delle targhe con dedica all’Imperatore.

La Decapoli, area sulla riva orientale del fiume Giordano e sul Mar della Galilea di 10 città greche. Era un’area prima appartenente al Regno di Israele e allo Stato degli Asmonei che Pompeo pose sotto il controllo diretto del Legato per la Siria. Augusto restituì ad Erode il Grande le città di Gadara e Hippos che poi, come visto, tornarono nuovamente sotto il controllo diretto del Legato per la Siria; in quelle città non si doveva avere alcun riguardo alle norme ebraiche.

Il Tetrarcato di Filippo, sulle montagne ad Est del Mar della Galilea dove la popolazione ebraica era in assoluta minoranza non interessa per lo studio degli avvenimenti.

Nelle Diaspora, sia nell’Impero Romano che nel Regno dei Parti, i rapporti delle comunità ebraiche con i Greci erano tesi, specialmente ad Alessandria d’Egitto e Antiochia, dove negli anni seguenti si ebbero provocazioni di ordine religioso seguiti da tumulti e scontri. La borghesia mercantile greca era interessata ad indebolire la posizione delle comunità ebraiche; era una questione di concorrenza nella vita economica.

Ogni segnale di possibili ribellioni popolari, di scarsa lealtà verso l’Impero Romano o di “debolezza” veniva raccolto dagli “agentesin rebus”, il noto servizio segreto romano.

Con queste premesse, quando nel Discorso della Montagna Gesù disse:

Mt. 5.3 “Beati i poveri di spirito perché loro sarà il regno dei cieli”.

Mt. 5.5 “Beati i miti, perché possederanno la terra”.

La Sua predicazione era sempre più interpretabile come promessa messianica che le famiglie avrebbero riavuto le delle quali erano state espropriate. Gli spioni romani percepivano quindi un invito alla rivolta sociale.

I rapporti dell’Impero Romano con il Regno dei Parti erano sempre tesi. Proprio negli anni dal 29 al 36 e.v. l’Impero Romano appoggiava, contro il Gran Re Artabano III, un pretendente al trono. Le comunità ebraiche in Babilonia e Mesopotamia (che godevano di una certa autonomia sotto la guida morale dell’Exilarca, discendente di Casa di David), il Regno Ebraico semi indipendente dell’Adiabene e il “Regno rivoluzionario” di Nehardea erano fedeli al Gran Re Artabano III. Le città greche e di qualche feudatario, poco leale, erano, invece, favorevoli al pretendente filo romano. L’invito di andare dalle pecore perdute di Casa di Israele poteva quindi sembrare a fare causa comune col Gran Re dei Parti.

La medicina praticata e insegnata dal ceto dei Magi era differente da quella greca, la sola lecita nell’Impero Romano. Le guarigioni praticate, non spiegabili con la medicina greca, potevano venire viste come prove di rapporti con i Magi del Regno dei Parti.

Il gesto di Gesù di far affogare i porci nel Giordano era motivo di allarme. Viene detto che gli spiriti maligni entrarono nei porci che correndo affogarono nel fiume. Infatti, esaminando lo sfondo storico del gesto se ne rileva il significato. La Decapoli, sottoposta direttamente al Legato per la Siria, era considerata dal nazionalismo ebraico come Terra di Israele; l’esistenza di allevamenti di porci era, quindi, considerata una profanazione. Gli spiriti maligni erano i riti pagani considerati immondi come i porci. Per purificare questa parte di Terra di Israele, gli spiriti maligni (riti pagani) dovevano entrare nei porci da affogare nelle acque del Giordano. Un gesto che agli spioni romani poteva apparire solo come un invito alla ribellione.

Il gesto – Mc. 2,23 e Lc. 6,1 ss. - di attraversare di sabato un campo di grano aprendosi un sentiero doveva suscitare grande allarme. Infatti, secondo le norme ebraiche solo un re aveva il diritto di aprirsi un sentiero in un campo coltivato di grano. Se poi il gesto venne compiuto da chi era considerato discendente di Casa di David l’attenzione delle autorità romane era nell’ordine delle cose.

All’inizio del quarto anno del settennio, Ottobre dell’anno 31 e.v., a Roma veniva destituito e giustiziato Seiano e vennero giustiziati anche molti suoi sostenitori e protetti. Tiberio, liberatosi di quell’influenza, modificò un po’ l’atteggiamento verso la Giudea e le comunità ebraiche. Persisteva però la tensione fra l’Impero Romano e il Regno dei Parti dove viveva una grande collettività ebraica.

La parabola del “Buon Samaritano” – Lc. 10,30 ss. - è solo apparentemente in contrasto coll’invito agli Apostoli di non andare nelle città dei Samaritani. Questa parabola intende avviare la riconciliazione con i Samaritani, giusta in via di principio e necessaria in vista dell’imminente Anno Giubilare. La divergenza tra Ebrei e Samaritani era, infatti, ben sfruttata dal potere romano. Sotto il governo di Pilato una delle sei coorti era composta da Samaritani e veniva impiegata a Gerusalemme per la repressione delle proteste popolari ebraiche.

La vera grande novità di questa predicazione era che un artigiano (non importa se falegname, fabbro, carpentiere o imprenditore) appartenente al ceto cittadino e ad una scuola del partito farisaico, si rivolgeva al popolo delle campagne, o “popolo della terra”, per dar la speranza che i diritti stabiliti dalla Torah saranno ben presto nuovamente in vigore. Questa interpretazione è coerente col fatto che Giuseppe, in fuga dalla repressione contro i discendenti di Casa di David, poté rifugiarsi presso dei pastori, anche loro appartenenti al “popolo della terra”. In vista dell’imminente Anno Giubilare sembrava necessario superare le contrapposizione fra la borghesia cittadina e il ceto rurale; fra I colti Farisei e il “Popolo della Terra” e quella fra Giudea e Galilea. Gli spioni dell’apparato repressivo, “agentesin rebus”, potevano riferire sull’agitazione volta a lottare contro la tirannia romana e il suo ordine economico basata su crudele schiavismo.

All’inizio del quarto anno – 31/32 e.v.– in Giudea l’abile Pilato, pur essendo un protetto di Seiano e malgrado l’epurazione, era riuscito a rimanere al proprio posto. Per Pilato doveva, comunque, essere un segnale significativo che nell’anno 32 il Legato Lucius Aelius Lamia, al quale non era mai stato consentito di esercitare le proprie funzioni, venne chiamato ad un prestigioso incarico a Roma e sostituito, in Siria, con Lucius Pomponius Flaccus, Senatore molto vicino a Tiberio del quale era benevolo cronista, che poi si trovò in conflitto con Erode Antipa.

E’ da ricordare, per completare il quadro della situazione, che nello stesso anno a Roma e, molto probabilmente, in diverse provincie si ebbero proteste popolari per i pressi dei generi alimentari.

IL QUINTO ANNO (32/33 e.v.) DEL SETTENNIO – GESU' VA A GERUSALEMME.

Nel quinto anno del settennio - 32/33 e.v.– si ebbero vari problemi nell’impero Romano;

1. Non c’erano persone disponibili a diventare governatori delle provincie; appare evidente che questa è una delle ragioni per cui l’abile Pilato – noto come amico di Seiano – non era stato rimosso.

2. Crisi bancaria a Roma in seguito alle misure prese dal “Praetor” Sex Gracchius contro gli interessi usurai.

3. Ondata di revoche di mutui e, di conseguenza, di vendite di terreni nella “Regio Italica”.

4. Tiberio concesse alle banche un prestito ponte per un totale di 100 milioni di sesterzi prelevati dallo “aerarium” imperiale.

5. Venne istituito l’obbligo di investire gran parte dei capitali in terreni nella “Regio Italica” dove, però, prevaleva l’allevamento di animali e la produzione di grano era insufficiente per la popolazione.

Tiberio era intervenuto per alleviare la situazione a Roma (“Urbe”) e nella “Regio Italica”; non si sa quali erano le conseguenze nelle varie provincie di una crisi economica e finanziaria dovuta, in gran parte, all’emorragia di oro verso l’Oriente (India, Cina, ecc.) in seguito ai lussi sfrenati a Roma, che Tiberio aveva invano tentato di frenare con vari divieti. E’ probabile che lo sfruttamento economico delle provincie sia diventato ancora più duro.

Nel corso di quell’anno ebraico Gesù va a Gerusalemme tre volte:

1. Per la Festa delle Capanne nell’autunno dell’anno 32 e.v. - Gv. 7,1 ss. – quando si festeggia la fine dell’anno agrario. Il settimo giorno di questa festività è il giorno di Osanna al Signore, celebrato con grande e gioiosa partecipazione popolare.

2. Per la festa di Chanukkà ( “Festa della Dedicazione”) – Gv10,22 ss. – che era dicembre dell’anno 32 e.v. che ricorda la riconsacrazione del Tempio nell’anno 164 a,e,v. (tre anni dopo la profanazione da parte del seleucida Antioco IV Epiphanes) per merito della lotta armata dei Maccabei. Le luci di Chanukkà vennero, e vengono accese anche nei giorni nostri, in opposizione alla festa pagana (oggi neopagana) del Solstizio d’inverno e in memoria dei miracoli fatti dal Signore “in quei giorni e in questo tempo”. Però all’epoca dei Maccabei l’Impero dei Seleucidi era in declino mentre all’epoca dei fatti narrati nel Nuovo Testamento l’Impero Romano era al massimo della sua potenza.

3. Per la Festa di Pesach (Pasqua) – “Festa delle Azzime” - nel mese di Aprile dell’anno 33 e.v. - Gv. 12,12 ss. - quando poi venne arrestato.

Gesù va quindi a Gerusalemme, per la Festa di Pesach dell'anno 33 e.v., di Domenica, il Primo Giorno, di una settimana quando la Festa inizia il Settimo Giorno, Sabato, per cui si doveva mangiare il Sacrifico Pasquale dopo il tramonto del Venerdì, infatti la giornata inizia con la sera e termina col successivo tramonto. La settimana nella quale il Settimo Giorno (Shabbat) era la prima giornata della Festa di Pesach/Pasqua – col ricordo dell’Esodo dall’Egitto, Casa di Schiavitù - aveva un grande valore simbolico. Nelle tradizioni riprese nel Talmud (Sanhedrin96b/97a), il Messia era atteso o per la Festa di Pesach o alla fine del settimo anno del settennio che precedeva l’Anno Giubilare.

La violenta contestazione - Mc 11,13 ss. e Lc. 19,45 ss. - dei mercanti presenti nel Tempio, che nella città di Gerusalemme era la più importante fonte di lavoro, poteva essere visto come incitamento a disordini in una città affollata di pellegrini e vicina ai confini.

Per Pilato, che doveva evitare passi falsi per rimanere al proprio posto, la situazione si presentava molto difficile:

1. La città di Gerusalemme era affollata di pellegrini provenienti dalla Giudea, dalla Galilea, dalla Diaspora nell’Impero Romano e dalla Diaspora di oltre Eufrate (Regno dei Parti) e, forse, da altre diaspore quali Arabia Felix, Etiopia, ecc.

2. Molti dei pellegrini potevano avere la cittadinanza romana e, quindi, appellarsi a Cesare contro arbitri subiti.

3. Fra i pellegrini venuti da oltre Eufrate potevano esserci sobillatori venuti dai regni ebraici di Nehardea e Adiabene.

4. Ovviamente erano numerosi gli Zeloti, sempre pronti a qualche azione dimostrativa.

Ma … se liberando il capo-zelota Barabba si poteva ottenere l’astensione degli Zeloti da azioni violente nella settimana di Pesach? Si poteva. C’erano delle personalità erano in grado di agire da intermediari.

Dopo la caduta di Seiano, l’imperatore Tiberio voleva evitare azioni superflue contro la popolazione ebraica in Giudea e nell’Impero, essenzialmente per non allarmare con azioni repressive le grandi comunità ebraiche della Babilonia. Ciò in vista del conflitto con il Re dei Parti, Artabano III. In Giudea, provincia imperiale di confine, Pilato doveva quindi prevenire i disordini, specialmente a Gerusalemme piena di pellegrini, per non doverli poi reprimere.

Pilato, quale Prefetto, doveva però far rispettare col massimo rigore la “Lex Julia”, legge emanata oltre un secolo prima all’epoca della “Guerra Sociale” fra Roma e una coalizione di popolazioni italiche. Questa legge offriva la cittadinanza romana a chi non si era ribellato contro Roma e, con un successivo emendamento, considerava pure i rivoltosi che si arrendevano. Pilato doveva quindi procedere contro chi era accusato, anche in base a semplici sospetti, di essersi proclamato re del popolo oppresso per fomentare una rivolta contro l’Impero Romano; chi non era cittadino romano non poteva appellarsi a Cesare.

Per il Sommo Sacerdote Caifa e il Sinedrio, che conoscevano la durezza delle “pacificazioni” romane, la situazione era drammatica come narra l’Evangelista e Apostolo Giovanni:

Gv. 11,47 ss. “I gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e dicevano: Che cosa possiamo fare? Perché quest’uomo fa molti miracoli. Se lo lasciamo continuare tutti crederanno in lui, e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo e la nostra nazione.”

Gv. 11.49/50“ … Voi non ci capite nulla, né riflettete che è nel vostro interesse che un uomo solo muoia e non perisca la nazione intera.”

Il Sommo Sacerdote Caifa viene sempre presentato come una persona malvagia e colpevole di quanto poi accaduto. Ma anche lui deve essere giudicato – Mt. 7,1 ss. - solo secondo giustizia, considerando la sua posizione di fronte ai Romani che, in base al trattato dell’anno 161 a.e.v. tra Roma e i Maccabei, lo consideravano capo/rappresentante, in Giudea e nella Diaspora, del “Popolo dei Giudei” e obbligato a tenere conto degli interessi dell’Impero Romano.

Caifa era fra l’incudine delle attese messianiche del popolo e il martello delle rappresaglie romane in caso di tumulti o semplici assembramenti che, per la massa dei partecipanti, potevano sembrare sospetti al Tribuno e alla coorte. Su Caifa gravava quindi la grande responsabilità di evitare una feroce rappresaglia romana con distruzione di città e nazione.

Si doveva pure evitare di destare anche il minimo sospetto di favoreggiamento di violazioni della “Lex Julia”, di intese contro l’Impero con l’estero nemico (con il Regno di Nehar dea, il Regno dell’Adiabene, col Gran Re dei Parti) o che nel Tempio e nelle Sinagoghe si potesse predicare in favore di una ribellione, sociale o politica che fosse.

Gesù era ovviamente consapevole della situazione tesa e dei pericoli:

1. Mt. 26.21, Mc. 14,18, Lc. 22,21, Gv. 13,21: Gesù dice che uno degli Apostoli l’avrebbe tradito.

2. Mt. 36,28 ss., Mc. 14,13 ss., Lc. 22,7 ss.: Gesù inviò gli Apostoli Pietro e Giovanni ad incontrare un uomo, da riconoscere dalla brocca d’acqua che avrebbe portato, e domandargli dove si poteva “magiare la Pasqua”. Era quindi avvertita la necessità di precauzioni per non venire scoperti.

In base a quanto narrato, l’Ultima Cena non era un Seder/Simposio Pasquale ma una riunione di studio e preparazione alla celebrazione di Pesach. Pertanto, ha avuto luogo la sera di giovedì che, però, era già il giorno della vigilia della Festa di Pesach/Pasqua. E’ scritto, infatti, - Mt. 26,26/27, Lc. 22,17 e 19, Mc. 14,22/23, - che Gesù rese grazie, cioè disse la Benedizione per il vino (frutto della vite) e per il pane. Non recitò la preghiera di consacrazione di Festa Solenne e di Sabato, né fece cenno alcuno all’Esodo dall’Egitto. E’ pure detto che mangiarono pane e non azzime.

Gli Apostoli – Gv. 13, 29/30 - ritennero che Giuda fosse uscito per fare gli acquisti necessari per la Festa. Sapendo che di Festa Solenne (primo giorno di Pesach) e di Sabato non si potevano fare gli acquisti, risulta ancora meglio che l’Ultima Cena non fu un Seder ma solo una riunione preparatoria e di studio. Secondo la tradizione cristiana, l’Apostolo Giovanni è anche l’Evangelista; pertanto la Sua narrazione è anche una testimonianza. La stessa tradizione dice che Giovanni abbia scritto una prima versione in aramaico(andata perduta) quando era ancora a Gerusalemme mentre a noi sarebbe pervenuta la versione greca stesa, molti anni dopo, ad Efeso da un Suo discepolo.

Sulla morte di Giuda sono riportate due versioni. In Mt. 27.5 si parla di un suicidio mentre in Atti 1.16/19 di un incidente mortale. Lo sfondo storico esposto permette di spiegare questa contraddizione apparente: è ipotizzabile che Giuda sia stato “suicidato” quale traditore e che poi siano state predisposte le prove per far risultare l’incidente mortale. Infatti, alle autorità romane di polizia si dovevano dare delle spiegazioni accettabili per chiudere rapidamente il caso. Appare pure strano l’acquisto del terreno effettuato coll’intervento di uno scriba per la stipula dell’atto, nel breve tempo della mattinata della Vigilia quando tutti dovevano prepararsi alla Festa.

Narra l’Evangelista e Apostolo Giovanni, l’unico dei quattro Evangelisti che tiene conto delle reali condizioni di potere in Giudea, che Gesù venne catturato – Gv 18,12 ss. - dal Tribuno e da soldati della coorte romana; ciò indica che si trattava di delitto contro l’Impero Romano. Come già visto, per la citata Lex Julia chiunque era solo sospettato di aver reclamato per sé, o per un altro, il titolo di re di un popolo oppresso veniva arrestato e condannato a morte. La presenza delle guardie del Sommo Sacerdote era, quindi, del tutto secondaria.

Gesù, sempre secondo la narrazione dell’Evangelista e Apostolo Giovanni, viene prima portato nella casa privata dell’ex Sommo Sacerdote Hannas (Pietro lo rinnega tre volte davanti a delle serve) e poi nella casa privata di Caifa, Sommo Sacerdote in carica quell’anno.

A differenza dei Vangeli di Matteo, Luca e Marco, nel Vangelo di Giovanni non si parla di un processo in Sinedrio. E’ la seconda differenza fondamentale tra il racconto dei tre Vangeli Sinottici e quello di Giovanni.

Coloro che sostengono la storicità di un processo in Sinedrio dovrebbero pure spiegare dove sarebbero stati allora Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e il Maestro Gamliele I; personaggi che, come si vedrà, avrebbero poi dimostrato un atteggiamento del tutto contrastante con la partecipazione ad un fantomatico processo, con una presunta condanna a morte, in Sinedrio. E se non erano presenti Gamliele I, Nicodemo e Giuseppe di Arimatea dove sarebbero stati gli altri maestri farisei? E’ molto più verosimile che siano stati quel giorno di Vigilia con i propri discepoli per la doverosa preparazione alla Festa di Pesach. Inoltre si trascurano alcune norme fondamentali riguardo al Sinedrio:

1. Non poteva riunirsi in ore notturne.

2. Un processo in Sinedrio doveva durare due giorni.

3. Non poteva venir riunito quale tribunale nei gironi precedenti la Festa di Pesach.

4. Se nel processo nessuno aveva parlato a favore dell’accusato, la condanna era nulla.

L’Evangelista e Apostolo Giovanni, testimone dei tempi, tiene conto delle reali condizioni di potere quell’anno in Giudea e descrive una tipica procedura di giustizia sommaria romana.

Gesù viene, infine, portato al Pretorio – ex palazzo di Erode – di fronte a Pilato. Essendo vigilia della Festa di Pesach/Pasqua i Sacerdoti ormai non poterono entrare; Pilato uscì per parlare con loro, in modo canzonatorio, per coinvolgerli nei propri arbitri:

a. Gv. 18,29 “Pilato dunque uscii fuori … e disse: Quale accusa portate contro quest’uomo?”

b. Gv. 18,30 “Essi gli risposero: Se costui non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato.” (Come dire: ma se è stato arrestato dal Tribuno).

c. Gv. 18,31 “Prendetelo voi e giudicatelo secondo le vostre leggi. Gli risposero i Giudei: A noi non è permesso uccidere alcuno”.

Inizia dunque il sommario interrogatorio; non è precisato in quale lingua ma non si accenna al ruolo dell’interprete, probabilmente una delle fonti dell’Evangelista e Apostolo Giovanni:

a. Gv. 18.33 "…egli disse: Tu sei il Re dei Giudei?"

b. Gv. 18,34 “Gesù rispose. Dici tu questo da te oppure altri te lo dissero di me?"

c. Gv. 18, 35 “… che hai fatto?"

d. Gv. 18,36 “Gesù rispose: … il mio regno non è di questo mondo”.

e. Gv. 18,37 “… Gli disse allora Pilato. Dunque, sei re, tu? Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re; … Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.”

f. Gv. 18,38 “Gli dice Pilato:. Che cosa è la verità?...”

Pilato con queste domande voleva sapere se:

a. Gesù si considerava Re dei Giudei in quanto discendente di Casa di David; quindi da condannare direttamente per violazione della Lex Julia.

b. Gesù, galileo, fosse in contattato con uno dei regni ebraici (Adiabene e Nehardea) vassalli del Gran Re dei Parti; quindi da condannare per intesa col nemico estero dell’Impero (tradimento), dopo aver sentito il Tetrarca e il Legato.

c. Gesù fosse un inviato o un principe di uno di questi regni ebraici, da inviare a Roma quale prezioso ostaggio.

Le risposte non seguono la regola del “si, si, no, no,” tanto raccomandato. Pilato, del tutto indifferente alla verità preferì credere di aver catturato il Re dei Giudei che era in suo potere condannare. Meglio però verificare:

a. Gv. 19,9: (Pilato) “… e disse a Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede risposta.”

b. Gv. 19,10: “Pilato allora gli disse: A me non parli? Non sai che io il potere di rilasciarti e ho il potere di crocifiggerti?”

Pilato domanda cinicamente “che cosa è la verità?” e chiarisce di essere l’unico detentore del potere di condannare e di rilasciare. Pilato trova però conveniente condannare Gesù per poter liberare lo zelota Barabba e evitare azioni degli Zeloti nella settimana di Pesach; intende comunque coinvolgere il Sommo Sacerdote in questo arbitrio.

Pilato ora fa il colpo grosso, anche perché intanto nel cortile si è radunata la folla di amici di Barabba. Fingendo di dimenticarsi degli altri due prigionieri pronti per essere giustiziati dice

Gv. 18,30: “Ma è per voi consuetudine che io vi rilasci qualcuno in occasione della Pasqua. Volete che vi rilasci il re dei Giudei?”

Da una parte una folla (di Zeloti o loro simpatizzanti) che grida: Gv18,40 “Non costui ma Barabba…”

Dall’altra parte i sacerdoti Caifa e Annas non potevano chiedere di liberare il “Re dei Giudei”; ciò sarebbe stato considerato atto di ribellione all’Impero Romano e poteva solo scatenare una feroce azione, per le quali Pilato era ormai tristemente famoso. Cosa che i sacerdoti Caifa e Annas dovevano evitare; erano quindi costretti a proclamare la propria fedeltà all’Imperatore:

Gv. 19,15 “… Dice loro Pilato: Devo crocifiggere il vostro re? Risposero i gran sacerdoti: Non abbiamo altro re che Cesare.”

Pilato era ormai pronto: Dopo aver soddisfatto la richiesta degli Zeloti per non creare disordini nella settimana di Pesach/Pasqua liberando il loro compagno Barabba, poteva ormai dare un chiaro segnale di intimidazione al popolo facendo giustiziare Gesù con altri due condannati, vittime della ferocia romana, sulla collina del Golgota, in modo che il tutto fosse ben visibile. Sulla Croce Pilato appose l’iscrizione del motivo della condanna:

a. Gv. 19,19 ”…Re dei Giudei”.

b. Gv. 19,20 “… era scritto in ebraico, latino e greco.”

c. Gv. 19,21 “… I gran sacerdoti dicevano a Pilato: … ma “Egli disse: sono re dei Giudei”.

d. Gv. 19,22, “ Pilato rispose; Ciò che ho scritto, ho scritto.”

Pilato tratta l’ex Sommo Sacerdote Annas e quello in carica Caifa senza alcun risguardo, come inferiori, dai quali di certo non prendeva ordini.

Pronunciare e far eseguire tre condanne a morte proprio il giorno di Vigilia di certo non era un segno della fantomatica tolleranza romana in materia di religione e del rispetto della Festa con le salme rimaste senza sepoltura.

Riferisce l’Evangelista (e Apostolo) Giovanni:

a. Gv. 19,31 “I Giudei, poiché era la Preparazione, affinché i corpi non rimanessero sulla croce di sabato – era un giorno solenne quel sabato – chiesero … e fossero portati via.”

b. Gv. 19,38 “ … Venne dunque Giuseppe e portò via il corpo di Gesù.”

c. Gv. 19,39 “Venne anche Nicodemo, …”

d. Gv. 19,40 “ Essi presero dunque il corpo di Gesù e lo avvolsero con pannilini, insieme con gli aromi, come usano fare i Giudei per la sepoltura.”

e. Gv. 19,42 “Là dunque, a causa della Preparazione dei Giudei, essendo il sepolcro vicino, deposero Gesù.”

E’ ipotizzabile che, dal primo giorno lavorativo dopo la settimana della Festa di Pesach, Domenica (forse la Domenica in Albis), gli Apostoli, rimanendo in ritiro, abbiano iniziato il periodo di lutto di 40 giorni, in uso quando si ricorda un Maestro, durante il quale abbiano raccolto i ricordi delle gesta e della predicazione in una “MEGHILLA’ RABBI JESHU”, il cui testo non è stato tramandato...

E I ROMANI VENNERO E DISTRUSSERO CITTA’ E NAZIONE.

A Gerusalemme si formò la prima comunità cristiana - o meglio giudeo-cristiana - sotto la guida di Giacomo il Giusto, parente di Gesù. Però Gesù aveva designato Pietro, il più anziano fra gli Apostoli senza vincoli di parentela; ne risultò l’inizio di sempre maggiori divergenze.

Atti 5,26 ss.: Circa un anno dopo la Crocifissione di Gesù, Pietro e altri Apostoli vennero arrestati e portati davanti al Sinedrio dove si espressero in termini molto duri. Ma su consiglio del grande Maestro Gamliele il Sommo Sacerdote - ancora Caifa! - si limitò a ordinare la fustigazione come ammonizione di comportarsi in modo più prudente evitando di parlare del Messia.. Quindi da parte ebraica non c’era ostilità a quanto predicato, anche se era evidente la necessità di imporre maggior prudenza per evitare l’intervento del tribuno e della coorte. Ma in quell’occasione la situazione non era cosi drammatica come a Pesach dell’anno 33 e.v.

Nell’anno 35 e.v. Pilato fece il passo falso decisivo. Fra i Sammaritani un profeta disse di essere la reincarnazione di Mosè. Come è noto, i Sammaritani accettano solo i libri della Thorah e quello di Giosuè ma non i successivi. Quindi per loro un discendente di Casa di David non era importante mentre una reincarnazione di Mosè, proprio prima dell’Anno Giubilare 35/36, era altamente significativa, specialmente se il profeta parlava di ritorno delle terre ai proprietari espropriati o costretti alla svendita. E’ ipotizzabile che quel profeta conoscesse la predicazione di Gesù, che era stato in Samaria - Gv. 4,3 ss. - dove parlò con una donna e con molti uomini. Rispetto all’iniziale invito agli Apostoli di non andare nelle città dei Samaritani, ciò può essere visto come un’azione, a livello popolare, per superare la contrapposizione fra Ebrei e Sammaritani. E’ poi poco menzionato il fatto che l’Apostolo(Evangelista) Giovanni nell’anno 34 e.v.– un anno dopo la Crocifissione e uno prima dell’atteso Anno Giubilare – aveva fatto proselitismo in Samaria; non si sa se le autorità romane ne fossero a conoscenza, sarebbero stati messi in allarme.

Pilato, facendo disperdere l’assembramento presso il Tempio dei Sammaritani e condannando morte il profeta e alcuni suoi sostenitori, aveva voluto reprimere una protesta sociale. Aveva però dimenticato che la contrapposizione fra Giudei e Sammaritani era uno strumento prezioso per opprimere questi due popoli. I notabili sammaritani andarono a protestare dal nuovo Legato Vitellius che, nell’anno 36 e.v. destituì Pilato e lo sostituì d’urgenza con uno dei suoi generali, Marzellus, quale Prefetto facente funzione, senza le deleghe imperiali.

Contemporaneamente si ebbero altri avvenimenti importanti:

1. Destituzione del Sommo Sacerdote Caifa; al suo posto venne nominato suo cognato Jonathan, figlio d quell’Annas che era stato destituito nell’anno 18 e.v. dal Prefetto Gratus.

2. Fine del Regno Ebraico di Nehardea, iniziato intorno all’anno 20 e,v, come ribellione sociale di operai tessitori.

3. Incontro sull’Eufrate del Legato per la Siria Vitellius con il Gran Re dei Parti Artabano III al quale partecipò pure, come ”Rappresentante personale di Tiberio e Ospitante”, il Tetrarca Erode Antipa. Non c’è notizia sulla più che probabile partecipazione di re Izates del “regno ebraico” dell’Adiabene, il cui appoggio ad Artabano III era stato decisivo nella lotta contro il pretendente appoggiato da Roma.

La partecipazione del Tetrarca Erode Antipa era essenzialmente cerimoniale, quella, più che probabile, di Re Izates dell’Adiabene, invece

importante.

All’epoca di Settimio Severo - oltre 160 anni dopo i fatti – Tertulliano, nel tentativo di far riconoscere il Cristianesimo “religio licita”, affermò:

1. Che a Pilato sia stato rimproverato, come ingiusta, la condanna a morte di Gesù Cristo.

Non tenne, però, conto della natura tirannica dell’Impero Romano, dove chi non era cittadino romano era privo di garanzie giuridiche.

2. Che Tiberio volesse riconoscere il Cristianesimo come “religio licita”.

Non tenne conto del fatto che nell’anno 35 e.v. non c’era ancora la separazione fra le comunità ebraiche e quelle cristiane.

E’, invece, molto più plausibile che il nuovo Legato per la Sira volesse solo sapere se Pilato per caso non avesse mandato a morte un re o un principe di uno dei due regni ebraici vassalli, possibile prezioso ostaggio nelle dispute con il Gran Re dei Parti.

Filone di Alessandria cita una lettera di Erode Agrippa I (nipote di Erode il Grande) a Caligula (succeduto a Tiberio nell’anno 37 e.v.) dove è scritto “non vi è arbitrio che Pilato non commise in Giudea”. Degli arbitri e della crudeltà di Pilato parla anche Giuseppe Flavio.

Nell’anno 37 e.v., alla morte di Tiberio, Caligula divenne imperatore ed ebbe inizio l’orientamento della Casa Imperiale verso il mondo greco. Vitellius si adeguò al nuovo corso filo ellenista e sostituì il Sommo Sacerdote Jonathan, nominato appena un anno prima, con il fratello Theophilo, ritenuto più ubbidiente. Nuovo Prefetto in Giudea divenne Marullus.

Si ebbero le prime limitazioni all’autonomia del Tetrarca della Galilea, Erode Antipa, il cui conflitto con il re dei Nabbatei era stato visto con disapprovazione dal Legato Vitellius. Erode Antipa aveva poi commesso il grave errore di inviare a Tiberio il suo proprio rapporto dell’incontro sull’Eufrate con Artabano III, precedendo il Legato per la Siria Vitellius che sospettò, dietro questa mancanza di doveroso riguardo, una delazione. Infine nell’anno 39 e.v. Erode Antipa venne esiliato perché sospettato di idee rivoluzionarie avendo ammassato troppe armi. Tetrarca della Galilea divenne Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande (figlio di Aristobulo, uno delle vittime della Strage degli Innocenti) che era vissuto per molti anni a Roma dove aveva stretto molte amicizie anche con membri della famiglia imperiale. Caligula divenuto Imperatore, già nell’anno 37 e.v., gli aveva concesso territorio ad est del Giordano che era stato il Tetrarcato di Erode Filippo, morto nell’anno 34 e.v. Grazie alle sue amicizie romane, Erode Agrippa riuscì ad aiutare la comunità ebraica di Alessandria nel conflitto con i greci e poi a convincere Caligula a non insistere nella pretesa di venire adorato come divinità nel Tempio di Gerusalemme.

Nell’anno 41 e.v. il nuovo imperatore Claudio concesse a Erode Agrippa di ricostituire il Regno di Giudea di Erode il Grande. Dopo 35 anni di malgoverno tirannico dei prefetti romani ciò venne visto dal popolo quale segno di miglioramento. Molti si erano ormai resi conto che un re “peccatore” era sempre meglio di un prefetto romano. Infatti, Erode Agrippa a Gerusalemme si mostrava devoto ma si recava spesso a Cesarea per farsi festeggiare (o adorare) dai cittadini greci della città.

Agli occhi di Erode Agrippa I – non in grado di comprendere questioni dottrinali – i Cristiani erano sostenitori di Casa di David e, quindi, contrari a Casa di Erode; ciò spiega la sua ostilità ricordata in Atti degli Apostoli. Coloro che insistono a sostenere che nell’anno 33 e.v. Gesù sia stato giudicato dal Sinedrio (di notte e di Vigilia) dovrebbero riflettere su quanto riportato in Atti 12,3 e ss.: Pietro venne arrestato e portato in prigione. Ma neanche il re (cioè Erode Agrippa) aveva il potere di far riunire il Sinedrio quale tribunale nei giorni precedenti Pesach; Pietro riuscì a fuggire.

Dopo essere stato acclamato nel Tempio “… sei nostro fratello” Erode Agrippa I poté consentire la venuta a Gerusalemme della regina madre Helene dell’Adiabene e di alcuni giovani figli di Re Izates. Le due dinastie ebraiche, non discendenti di Casa di David, avevano trovato un accordo per la coesistenza.

L’iniziativa di Erode Agrippa I di invitare altri re vassalli ad una riunione a Tiberiade venne vista male dal Legato che intimò agli ospiti di ritornare subito nei loro “regni”. Erode Agrippa morì improvvisamente nell’anno 44 proprio a Cesarea in circostanze oscure; in Atti degli Apostoli è detto che era stato beccato da un uccello. Da notare che anche un altro partecipante a quella riunione, il re-sacerdote di Emesa, morì improvvisamente lo stesso anno.

Nell’anno 44 e.v., alla morte di Erode Agrippa, l’Imperatore Claudio (anche lui filo ellenista) abolì il regno e istituì nuovamente la Provincia della Giudea, comprendente la Giudea, la Samaria, la Galilea, l’Idumea e la Perea oltre il Giordano. Il figlio, noto come Erode Agrippa II, era troppo giovane e solo nell’anno 48 e.v. ebbe un piccolo regno (Chalchis) nella regione del Libano e venne nominato Supervisore del Tempio (cioè col compito di avvallare le nomine decise dal Prefetto). In seguito gli vennero affidati altri territori.

Si deve ricordare la tradizione cristiana secondo la quale Maria di Nazareth abbia seguito l’Apostolo e Evangelista Giovanni ad Efeso, capitale della Provincia Asia, città di grande importanza economica, dove esisteva da tempo una grande comunità ebraica. Per comprendere questa tradizione si deve esaminare lo sfondo storico per vedere quali potevano essere le ragioni per cui Maria di Nazareth possa aver deciso di lasciare la Giudea e seguire l’Apostolo e Evangelista Giovanni ad Efeso.

La prima risposta possibile è che, di fronte all’ostilità incontrata in quegli anni e dopo il martirio dell’Apostolo Giacomo Maggiore, Giovanni abbia ritenuto necessario di rifugiarsi ad Efeso portando in salvo Maria.

La seconda risposta, che non esclude la validità anche della prima, è che Maria non abbia approvato nessuna delle tesi emerse nel conflitto scoppiato fra gli Apostoli e preferito l’esilio.

Oltre all’esilio di Maria di Nazareth e dell’Apostolo Giovanni c’era anche quello di Pietro che, dopo essere riuscito a fuggire dalla prigione, trovò opportuno andare prima ad Antiochia e, in fine, a Roma. Giacomo il Giusto era ormai solo, e senza alcuna opposizione, alla guida della Comunità di Gerusalemme.

Nel decennio fra l’anno 33 e.v. e l’anno 43 a Gerusalemme si formò la prima Comunità Cristiana e iniziarono le prime divergenze fra gli Apostoli che si acuirono, dopo l’anno 36 e.v., con l’adesione di Paolo , colto ebreo della città di Tarso, nell’Asia Minore, giunto Gerusalemme qualche anno prima per studiare alla scuola del Maestro Gamliel, successore di Hillèl.

Paolo di Tarso era stato, inizialmente, un acceso avversario della comunità cristiana alla quale, però, finì poi di aderire. Essendo di cultura greca conosceva bene il disagio sociale degli artigiani greci – i “mechanicoi” – sempre più emarginati dalla globalizzazione, basata sul commercio col lontano oriente, che favoriva i finanzieri romani e la grande borghesia mercantile greca. C’era pure il disagio di chi era costretto, per sopravvivere, ad essere“cliens” di qualche potente. Fra i Greci, specialmente nelle città, era molto diffusa l’ostilità verso gli Ebrei e la religione ebraica, spesso denigrata con satire e scritti diffamatori. In questo sfondo storico, Paolo predicando anche ai Gentili – ai ceti rimasti ai margini dell’economia sempre più globalizzata dell’Impero Romano – non poteva subordinare la conversione alla circoncisione. Paolo, essendosi convertito solo nell’anno 36 e.v. o non conosceva, oppure non volle rispettare, quanto detto (Mt.10.5) da Gesù: “… non prendete le vie dei pagani …”.

La tesi di Giacomo il Giusto, della famiglia di Gesù, era di predicare solo fra gli Ebrei, specialmente fra gli appartenenti alle classi umili.

Riguardo al tono delle discussioni si deve considerare che gli Apostoli erano uomini della campagna e originari dalla Galilea e non dottori di teologia; i loro scritti dovettero venire stesi, in aramaico o in greco, da qualche discepolo più versato nello scrivere. Paolo, al contrario, era di cultura greca e versato in filosofia; aveva iniziato da qualche anno lo studio a Gerusalemme, all’epoca della sua adesione alla comunità cristiana non aveva però finito i suoi studi “ai piedi di Rabbi Gamaliel” e quindi non aveva ricevuto l’ordinazione e non era Maestro. Questa considerazione sembra ovvia ma non viene fatta dagli studiosi.

Paolo, essendo cittadino romano per nascita, poteva viaggiare con più libertà, All’inizio fece due viaggi più brevi e poi i tre più lunghi detti in Atti degli Apostoli i “Viaggi di Paolo”. Predicava sia alle comunità ebraiche diasporiche che ai Gentili, essenzialmente gli appartenenti ai ceti popolari (“humiliores”) schiavi e liberti, chiaramente non interessati alle radici ebraiche della predicazione. Presso questi, però, Paolo trovò maggior ascolto; un passo ulteriore sulla strada della separazione fra comunità cristiane e comunità ebraiche.

Proseguendo il cammino sulle vie dei pagani, la predicazione paolina arrivò a sostenere il superamento della vecchia legge sostituita dalla nuova .Sostenere il superamento e sostituzione della Legge è diverso dall’interpretarla in modo più indulgente verso chi, in Diaspora, non poteva osservare norme adatte alla vita in Terra di Israele.

Con l’Epistola “A Filemone” Paolo rimanda uno schiavo fuggito al padrone con l’invito a trattarlo come un fratello; manca, però, un richiamo a quanto stabilito nella Torah sulla posizione degli schiavi ai quali venne riconosciuto il diritto al riposo di Shabbat e l’aspettativa, dopo un certo periodo di tempo, di venire liberati. Paolo, inoltratosi ormai molto sulle vie dei pagani,teneva conto dell’ordinamento economico e giuridico romano che considerava lo schiavo come una cosa e non una persona.

Negli anni 48 e 49 e.v. in Giudea la crisi economica, che negli anni precedenti aveva colpito le provincie orientali dell’Impero Romano, culminò in una carestia. Di ritorno dal suo primo grande viaggio, Paolo poté presentare alla comunità cristiana di Gerusalemme il ricavo di una raccolta di aiuti che, però, Giacomo il Giusto insistette a considerare quale obolo pari a quello che le comunità ebraiche diasporiche inviarono annualmente al Tempio di Gerusalemme. In questa divergenza di vedute si vede, però, che Paolo aveva tenuto conto delle norme restrittive romane che riconoscevano la protezione imperiale concessa da Augusto solo per la raccolto e l’inoltro dei tributi al Tempio di Gerusalemme per cui raccolte con destinazioni diverse dovevano venire dichiarate come aiuti caritatevoli. Giacomo il Giusto, come tanti altri, non aveva la capacità intellettuale di comprendere la situazione in Diaspora; nello stesso anno 49 e.v. l’Imperatore Claudio aveva, infatti, decretato l’espulsione degli Ebrei (ma anche dei Cristiani) da Roma.

Durante il secondo viaggio, Paolo, ad Efeso, Paolo – Atti 19,2 ss. – chiese ad alcuni Cristiani che avevano ricevuto il battesimo di Giovanni – non viene precisato se di Giovanni il Battista o di Giovanni l’Apostolo, presente in quella città - di farsi battezzare nuovamente. Né in Atti 19,1 ss. e neanche nella Lettera agli Efesini si accenna in alcun modo all’Apostolo Giovanni.

In Giudea si accentuarono differenze e contrasti fra ricchi e poveri e molti predicatori (falsi profeti) sfruttarono l’attesa messianica del popolo per trascinare le masse ad atti inconsulti e trovarono ascolto anche fra i sacerdoti del Tempio.

I discorsi dei predicatori vennero contestati con la violenza e non con argomenti. Cosi si spiega la morte di Stefano – anno 34 e.v. - prima e, di Giacomo il Giusto - anno 62 e.v.– poi; non si può parlate di regolari condanne ma solo di linciaggi. Infatti, da una parte l Sinedrio non aveva il potere di pronunciare condanne a morte e dall’altra le autorità romane non erano né capaci né particolarmente interessate a garantire l’ordine pubblico e il rispetto della legge; una rivolta sarebbe stata comunque durante repressa.

C’era il crescente terrore esercitato dai “Sicari” (gruppo formatosi fra gli Zeloti) che, con i loro pugnali ricurvi, uccisero le persone accusate di tradimento solo perché note perla loro prudenza.

Nell’anno 54 e.v. morì Claudio e Nerone divenne, a soli 17 anni, nuovo Imperatore; la preferenza imperiale per l’ellenismo aumentò. Nell’anno 55 e.v. scoppiò una nuova guerra, per l’influenza sull’Armenia, tra l’Impero Romano e il Regno dei Parti. Nell'anno 63 e.v. venne raggiunto un compromesso. Ma quando c’era guerra fra l’impero Romano e il Regno dei Parti le provincie orientali, come retrovia, erano obbligate a pesanti prestazioni per il vettovagliamento delle legioni, ciò aumentava ancora di più la tensione sociale.

Nell’anno 58 e.v. Paolo, ritornato dal Terzo Viaggio, viene consigliato – Atti. 21,23 ss. – di recarsi al Tempio dove però viene coinvolto in una violenta discussione – Atti 21,30 ss. – che provoca l’intervento del tribuno che procedette all’arresto. Qualificatosi cittadino della città di Tarso – Atti 21,39 – Paolo ottiene il consenso – Atti 21,40 – a rivolgere un discorso al popolo, parlando in aramaico – Atti 22,1 ss. – che viene prima ascoltato ma poi provoca nuovi disordini – Atti 22,22 – per cui il tribuno ordinò di condurlo in fortezza e di interrogarlo con tortura per conoscere il motivo di tanto furore popolare – Atti 22,23. A questo punto Paolo - Atti 22,24 – si fa riconoscere quale cittadino romano e il tribuno lo conduce davanti al Sinedrio dove, ad un certo punto dicendo – Atti 23,6 – di essere fariseo guadagna l’appoggio dei sinedriti farisei contro quelli sadducei. Ma, vedendo crescere la disputa, il tribuno ordina di riportare Paolo in fortezza. e poi – Atti 23,23 ss. – lo manda, sotto forte scorta, a Cesarea dal Prefetto Felice.

Qualche anno prima, durante il suo secondo viaggio, Paolo ebbe una viva discussione con la comunità ebraica della provincia di Acaia e il Proconsole Gallione– Atti 18,12 ss. – non ritenne di intervenire in una disputa che, in Diaspora, appariva solo di ordine religioso. Gallione non intervenne neanche quando, successivamente, venne aggredito il capo della locale comunità ebraica. Dopo il terzo viaggio, invece,, a Gerusalemme, il tribuno intervenne in una discussione religiosa – nel Tempio prima, davanti al Sinedrio poi – per vedere se non ci fosse una congiura contro l’impero Romano.

Il Prefetto Felice si trovò nella singolare condizione di aver sposato una figlia di Erode Agrippa I e di conoscere la religione ebraica. Dopo aver ascoltato - Atti 24,1 ss. - le accuse esposte, per conto del Sommo Sacerdote Anania, dall’oratore Tertullo e la difesa di Paolo, Felice rinviò la causa con una scusa. Fece però - Atti 24,24 - chiamare Paolo per farlo parlare intorno alla sua dottrina.

Sentendolo parlare di giustizia, continenza e giudizio futuro si spaventò; essendo nato schiavo della Casa Imperiale che lo aveva liberato, aveva la sensibilità per comprendere il potenziale rivoluzionario di questa dottrina. Paolo era andato per le vie dei pagani, troppo dal punto di vista ebraico, non abbastanza per l’apparato repressivo dell’impero Romano. Felice era stato nominato sotto il governo dell’Imperatore Claudio e, quale liberto, doveva tutto alla Casa Imperiale e quindi la lealtà prevalse su ogni altra cosa. E’ quindi comprensibile la sua decisione di tenere Paolo in per lasciare ogni decisione al nuovo Prefetto, Festus, più appoggiato presso la corte di Nerone.

Festus, - Atti 25,9 ss. - dopo aver sentito le accuse del Sommo Sacerdote, chiese a Paolo se intendeva rispondere, a Gerusalemme, al Sinedrio. La precisazione “… alla mia presenza “ indica che il Sinedrio era ormai strettamente controllato. Paolo, disse d trovarsi già davanti al tribunale dell’Imperatore e si appellò a Cesare. Qualche giorno dopo Erode Agrippa II poté interrogare Paolo e alla fine disse – Atti 26,32 – “Si sarebbe potuto rimettere in libertà quest’uomo, se non avesse appellato a Cesare”. A Erode Agrippa II, che aveva anche il compito di controllare il Tempio e formalmente di nominare il Sommo Sacerdote, era chiara la gravità dell’errore di portare una disputa religiosa davanti al Prefetto.

Circa un secolo prima, Erode il Grande aveva ammonito, senza essere ascoltato, di non mettere in pericolo la patria con discorsi irresponsabili davanti al potente straniero. Circa 70 anni prima, sempre Erode il Grande era intervenuto presso il Legato Marcus Agrippa per veder garantito alle comunità delle provincie dell’Asia Minore il diritto di osservare i Precetti di quella Legge (la Torah) che Paolo tendeva, sempre di più, a definire superata da una nuova.

Paolo venne inviato a Roma dove stette per due anni agli arresti domiciliari ma ebbe la possibilità di ricevere visitatori e inviare alcune sue epistole. Già durante i primi giorni dopo l’arrivo a Roma ebbe incontri con esponenti della comunità ebraica ai quali espose la sua dottrina. I capi della comunità gli spiegarono di non aver ricevuto messaggi da Gerusalemme su di lui ma, considerando che solo 10 anni prima l’imperatore Claudio li aveva espulsi dalla città, erano cauti. Dovettero pure tenere conto che fra gli ebrei romani molti erano clandestini o, comunque, di ceto povero. Sia a Roma, che altrove nell’Impero, le comunità ebraiche potevano radunarsi nelle sinagoghe solo grazie allo speciale privilegio concesso, a suo tempo, da Giulio Cesare grazie al negoziato condotto da Antipater, padre di Erode il Grande. Fin dagli ultimi decenni della repubblica leggi severe limitavano raduni e riunioni di neanche molte persone. Riunioni e raduni con molti Gentili non circoncisi potevano sempre di meno rientrare nella protezione dei privilegi concessi da Cesare alle comunità ebraiche, specialmente se interpretati in modo restrittivo..

Paolo, nell’anno 62 e.v., venne assolto e liberato. La tradizione dice che fece ancora un viaggio in Hispania (dove qualche anno dopo scoppiò la rivolta) e che venne martirizzato durante la prima persecuzione, nell’anno 65 e.v.

Paolo, come visto, aveva compreso che, fra i Gentili, sia nei ceti svantaggiati che fra le persone che non volevano deificare l’imperatore, molti erano alla ricerca di una nuova dottrina religiosa senza per questo voler aderire al popolo ebraico e accettarne la Legge. In questo modo, però, Paolo era andato sempre più avanti sulla via dei pagani separandosi sia dal Tempio di Gerusalemme che dai Giudeo Cristiani circoncisi; ormai guardava di più a Roma.

Gli ultimi due Prefetti della Giudea accentuarono lo sfruttamento economico: tassazione eccessiva e grande corruzione secondo il detto: “Povero giunse nella ricca Siria; lasciò ricco la Siria povera”.

Dopo la fine del conflitto fra Roma e i Parti, la corruzione, gli arbitri e la crudeltà dell’ultimo Prefetto – Cessius Florus – provocarono nell’anno 66 e.v. i prima disordini,la repressione romana e, infine, la ribellione popolare contro Roma, anche per gli scontri fra Ebrei e Greci nella città portuale di Cesarea.

Erode Agrippa II cercò invano di trattenere i cittadini di Gerusalemme da una ribellione senza prospettive; in una lotta contro le ben addestrate legioni romane si sarebbe stati isolati. In più il crudele ed avido Cessius Florus godeva di solidi appoggi nella corte imperiale per cui l’invio di una delegazione presso l’Imperatore sarebbe stato controproducente. Ovviamente Erode Agrippa II era al corrente di quanto avvenuto a Roma negli anni 64 e.v.– il grande incendio – e 65 e.v.– persecuzione della prima comunità cristiana. A Gerusalemme presero però il sopravvento gli estremisti: gli Zeloti e altri due gruppi rivali. Alla rivolta aderirono anche “sacerdoti patriottici” (che avevano abbandonato la prudenza dei loro predecessori; in particolare di Caifa) e gruppi provenienti dall’Idumea.

Coloro che erano consapevoli dell’assurdità di una rivolta già da anni stavano lasciando la Giudea in generale e la città di Gerusalemme in particolare. Tra i tanti, anche gli Ebioniti (giudeo cristiani) lasciarono Gerusalemme per trasferirsi nella Decapoli, proprio dove Gesù Cristo aveva contestato la presenza di allevamenti di porci, e nel Regno dei Nabatei. Si ritiene che gli Esseni, anche loro fuggiti , finirono per aderire agli Ebioniti.

Iniziò la Guerra Giudaica con l’intervento del Legato della Siria Gallus che assediò Gerusalemme per alcuni giorni e venne attaccato e sconfitto rovinosamente durante il ritiro. Questa iniziale vittoria, che richiamò le gesta dei Maccabei, rafforzò il partito della guerra. Per i contrasti fra Zeloti e Sicari venne a mancare fin dall’inizio l’unità di comando. Negli scontri fra i vari gruppi caddero poi più Ebrei che Romani.

Le comunità della Diaspora erano contrari ad una lotta che le poteva esporre a nuovi contrasti con le maggioranze greche nelle città e metterle in difficoltà le autorità imperiali. Ad Alessandria e Antiochia le locali comunità ebraiche subirono attacchi da parte dei Greci.

Una ribellione in Giudea, specialmente se animata da profezie più o meno messianiche, poteva estendersi a tutto l’Oriente; ci mancano notizie sull’indubbio sfruttamento romano anche nelle altre provincie dell’area. Nerone richiamò sia Gallus che Florus e nominò Vespasiano - esperto generale che già aveva represso una rivolta in Britannia - al comando in Giudea

Vespasiano riconquistò subito la Galilea e, dopo alcuni mesi, la parte occidentale della Giudea e la Perea. I Romani conoscevano bene sia il territorio che le fortezze per via della precedente occupazione; di ciò non tengono conto le diverse accuse di tradimento riportate in letteratura. Molti – non solo Giuseppe Flavio – si arresero di fronte all’avanzata delle legioni romane. Alla morte di Nerone nell’anno 68 e.v. si ebbe una pausa nei combattimenti. Nel mese di giugno dell’anno 69 e.v. venne occupato il territorio vicino a Gerusalemme. L’’elezione del nuovo Imperatore portò ad una nuova pausa dei combattimenti. Ma queste pause nei combattimenti non vennero usate per cercare una soluzione pacifica/politica del conflitto ormai privo di prospettive; non venne neanche preparata una migliore difesa della città.

Il Maestro Jochanan ben Zakai, che invano aveva perorato la ricerca della pace, dovette lasciare la città fingendosi morto e facendosi trasportare dai discepoli in una bara per presentarsi davanti a Vespasiano al quale, secondo la tradizione, avrebbe predetto che sarebbe diventato imperatore. E’ la descrizione, in forma poetica, dell’unica azione politica sensata per evitare che insieme alla città venisse distrutta anche la nazione. Chiedendo la concessione della città di Javneh/Jamnia per istituirvi una scuola era l’unico modo per salvare l’esistenza della nazione.

Vespasiano, nuovo Imperatore, lasciò il comando al figlio Tito, nominato Legato per la Giudea con Tiberio Alessandro, nipote di Filone d’Alessandria, Prefetto di Egitto e in precedenza prefetto in Giudea, quale capo di stato maggiore. Questa nomina indica che Tiberio Alessandro e i maggiorenti della comunità ebraica di Alessandria abbiano avuto un ruolo nella proclamazione di Vespasiano ad Imperatore da parte delle legioni e che il Maestro Jochanan ben Zakai ne sia stato al corrente.

Nel mese di Aprile dell’anno 70 e.v., in coincidenza con la festa di Pesach, iniziò l’assedio stretto di Gerusalemme, città dove i capi della rivolta avevano ammesso, in modo del tutto irresponsabile e imprudente, masse di pellegrini che parteciparono agli scontri fratricidi. Nel corso del duro assedio il Tempio venne distrutto da un incendio, probabilmente voluto da Tito, malgrado gli sforzi di Tiberio Alessandro. Dopo un altro mese, con la distruzione completa della città, i combattimenti finalmente cessarono.

La resistenza degli Zeloti proseguiva in alcune fortezze sul Mar Morto, a lungo assediate dalla Legione; ultima a cadere fu la fortezza Masada nella primavera dell’anno 73 e.v. Sempre nell’anno 73 e.v. la cavalleria del regno degli Alani, alleato con l’Impero Romano, invase l’Adiabene, regno ebraico, e la Mesopotamia pure con una forte comunità ebraica.

VERSO LA SEPARAZIONE

Se la città era ormai distrutta, a Jamnia, dove erano stati portati i maestri farisei catturati, sorse il centro spirituale della nazione che si basava sullo studio della Legge; era stata creata la patria spirituale.

Vi furono molti morti e molti vennero venduti nei mercati di schiavi o mandati a morire negli spettacoli circensi. Ciò che era stato Terra di Israele con alcune norme a tutela del carattere sacro della città di Gerusalemme perse, anche giuridicamente, il proprio carattere ebraico. Vennero fondate alcune città romane e si ebbero altri espropri di terre; in molti casi i precedenti proprietari vennero ridotti ad affittuari con i rapporti regolati dalle dure norme romane; seme delle successive rivolte.

La carica di Sommo Sacerdote - che i Romani dall’anno 161 a.e.v. con gli accordi conclusi da Giuda Macabeo avevano considerato il rappresentante di tutto il popolo ebraico – venne abolita. Col Fiscus Judaicus i contributi annuali che dalla Diaspora venivano inviati a Gerusalemme per il Tempio dovevano ora andare a finanziare la ricostruzione del Tempio di Giove a Roma; una prestazione umiliante imposta agli Ebre per poter continuare ad osservare i Precetti.

Alcuni Zeloti provarono a proseguire la loro lotta in Egitto. Ciò portò nell’anno 72 e.v. il Prefetto Lupus ad ordinare la chiusura del Tempio di Oniasa Leontopoli. In seguito venne confiscato il relativo patrimonio e vietate riunioni di preghiera in quel luogo.

Altri disordini vennero fomentate a Cirene dal falso messia Jonathan che, dopo essere stato catturato nell’anno 74 e.v., disse di essere stato appoggiato da grandi mercanti ebrei di Alessandria d’Egitto e Roma; a queste accuse il Legato di Creta e Cirene diede volentieri credito. Su intervento di Erode Agrippa II°Vespasiano e Tito assolsero questi ebrei da accuse dovute al rancore degli estremisti verso le comunità diasporiche rimaste estranee alla rivolta suicida.

Nell’anno 75 e.v. Erode Agrippa II venne nominato “Praetor” e, quindi,inserito nella gerarchia romana. C’era chi si illudeva che potesse diventare re di Giudea, anche se vassallo; era ormai tardi. Infatti, con Vespasiano iniziò il processo dell’eliminazione dei regni vassalli che vennero, quasi tutti, trasformati in province. Erode Agrippa II morì intorno all’anno 98 e.v.; la Dinastia Idumea uscì cosi di scena.

Vespasiano volle favorire Roma, la Regio Italica e le provincie occidentali e concentrò i suoi sforzi su due gravi problemi:

a. La restaurazione della cultura romana: Da una parte venne fondata una scuola superiore affidata a Quintiliano per ravvivare la cultura tradizionale di Roma. Dall'altra parte vennero espulsi dalla città prima gli astrologi e poi molti filosofi.

b. Il risanamento finanziario: Vennero abolite molte esenzioni fiscali e inasprita la tassazione, in particolare delle provincie orientali, dove il conseguente malcontento era motivo di tensione sociale.

A Roma, sia i Cristiani che gli Ebrei – salvo coloro che erano cittadini romani – erano parimenti considerati peregrini; non c’erano però episodi di intolleranza da parte di Vespasiano e Tito. Domiziano per i primi anni era indifferente perché occupato in diverse azioni militari. Solo dal anno 93 e.v. in poi, e fino all’anno 96 e.v.(quando venne assassinato) perseguitò chi non aderiva alla sua deificazione.

L’Ebraismo poté sopravvivere perché la dottrina dei Farisei era ormai diffusa sia in Giudea che in quasi tutte le comunità della Diaspora; nell’Impero Romano e nel Regno dei Parti (Babilonia e Mesopotamia). Data la distruzione di Tempio e Città di Gerusalemme, le altre diaspore quali Etiopia, India, e altre non più note – vere pecore perdute di Casa di Israele – non avevano più quel punto di riferimento e si persero i contatti. La tradizione dice che quelle comunità erano state raggiunte da alcuni Apostoli cristiani ai quali vengono fatte risalire chiese locali, alcune delle quali ancora esistenti.

Il Sinedrio di Jamnia/Javneh seguì il metodo interpretativo della Scuola di Hillèl e non quello, più rigoroso, della Scuola di Shamai. Gli orientamenti dei Sadducei e degli Esseni non avevano più importanza alcuna.

Per questa analisi storica si distingue fra i gruppi di seguaci delle predicazioni di Simone il Giusto, di Giovanni Apostolo e Evangelista e di Paolo e discepoli. Il punto di disputa più rilevante era per tutti il significato della notte del primo giorno di Pesach– che ricorda l’Esodo dall’Egitto, principio basilare dell’Ebraismo - rispetto alla notte del Venerdì Santo e di Pasqua.

La predicazione di Simone il Giusto venne seguita essenzialmente dagli Ebioniti (“i poveri”)che per oltre tre secoli riuscirono a scegliere le proprie guide nell’ambito della Famiglia di Gesù Cristo. Questo gruppo era diffuso in Giudea/Galilea, nel Regno dei Nabatei e in Siria (dove era presente anche il gruppo dei Nazorei) e trovò ascolto essenzialmente presso il ceto delle campagne. Per rifiutare l’osservanza di alcuni precetti arrivarono a negare l’autenticità di molti Libri della Bibbia.

La predicazione dell’Apostolo e Evangelista Giovanni – come visto, in esilio ad Efeso - si diffuse presso i ceti proletari, sia delle campagne che delle città, nelle provincie della Penisola Anatolica e, anche, nel Regno dei Parti; diede origine a diverse chiese locali. Si comprende l’importanza di Giovanni –Apostolo e Evangelista- ricordando che era stato, giovanissimo, a fianco di Giovanni il Battista. Come visto nel capitolo precedente, Paolo non aveva voluto riconoscere il battesimo conferito da Giovanni, alla cui predicazione può venire collegata la Chiesa dei Quattordecimani che per la Pasqua seguiva le date del Pesach, prescrivendo però una notte di digiuno e, al termine, la celebrazione dell’Eucarestia.

A Roma e nelle varie Polis greche - si diffuse la Predicazione Paolina – di Paolo e Discepoli - che:

  1. Non richiedeva la Circoncisione per la conversione; alle comunità cristiane paoline poteva quindi aderire anche chi era nato pagano ma non voleva essere circonciso.
  2. Rimandava la speranza del Regno dei Cieli col ritorno del Messia (Gesù Cristo) ad un futuro non meglio precisato.
  3. Invitava di trattare lo schiavo come un fratello. Pertanto lo schiavo battezzato non la prospettiva di venire liberato dopo alcuni anni. Lo schiavo circonciso, invece, secondo le norme della Torah. aveva la prospettiva di venire liberato dopo alcuni anni.
  4. Riconosceva l’autenticità di tutti i Libri della Bibbia ma aggiunse anche di alcuni che i Maestri della Scuola di Javneh/Jamnia non avevano ritenuto di includere nel Canone.

I Cristiani erano legati fra di loro dalla Fede mente gli Ebrei si consideravano appartenenti ad un popolo che osservava la propria Legge.

Sia i Maestri di Jamnia/Javneh che la predicazione paolina sostenevano la necessità di osservare le leggi dell’Impero Romano e di rispettarne i funzionari.

La Chiesa di Roma nata dalla predicazione paolina si era diffusa a Roma, nella Regio Italica, in Grecia e in molte provincie occidentali e doveva riconoscere solamente l’Impero Romano nel quale potevano quindi inserirsi.

Per i Maestri di Jamnia/Javneh la situazione era più complessa. Dovevano tenere insieme la Diaspora nell’Impero Romano e quella nel Regno dei Parti; la patria spirituale doveva quindi essere in Giudea.

Giovanni che con la propria predicazione aveva raggiunto i ceti proletari sia nelle provincie romane della Penisola Anatolica che di alcune aree nel Regno dei Parti, aveva pure il problema di tenere insieme comunità da una e dall’altra parte dell’Eufrate. La sua dottrina non era adatta a chi voleva essere considerato leale da parte delle autorità romane. Infatti, nelle provincie romane della Penisola Anatolica, sia sotto Domiziano che all’epoca di Traiano, si ebbero varie persecuzioni di Cristiani per il loro rifiuto di adorare l’Imperatore; forse anche per i legami con le chiese locali nel Regno dei Parti.

L’attesa ebraica del Messia per l’Anno Giubilare 85/86 e.v. e l’inopportuna pubblicazione di alcuni scritti riferite a profezie contenute nel Libro di Daniele e all’imminente caduta del “Regno di Babilonia” mise in sospetto le autorità romane. Si narra che alcuni parenti di Gesù Cristo, ritenuti discendenti di Casa di David, vennero inquisiti.

Domiziano, durante gli ultimi tre anni del suo dominio volle accentuare la centralità dell’Impero con la deificazione della figura dell’Imperatore. Rese più rigoroso il Fiscus Judaicus prevedendo accertamenti umilianti per verificare se un uomo fosse circonciso. In quegli anni si ebbero condanne a morte o all’esilio sia di simpatizzanti per l’Ebraismo – Tementi di D’O – che di personalità romane interessate alla predicazione cristiana. Giovanni venne internato all’Isola di Patmos; l’Apocalisse era stata ritenuta allarmante per l’impero.

Dopo l’assassinio di Domiziano - anno 96 e.v. - il nuovo Imperatore Nervari conobbe la distinzione fra ebrei e cristiani che vennero quindi esentati dal tributo del Fiscus Judaicus. Ad oltre un secolo dalla Fuga in Egitto della Sacra Famiglia il Cristianesimo venne riconosciuta come culto diverso da quello ebraico. Ma l’esenzione dal tributo del Fiscus Judaicus non comportava l’esenzione dalla partecipazione ai vari culti di fronte alle immagini imperiali il che spiega in parte le varie persecuzioni contro i Cristiani nei secoli successivi.

Le due comunità erano ormai separate.

LADISPOLI, GENNAIO 2012

fonte: exodus.jimdo.com/dalla-fuga-in-egitto/


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Nuovo Testamento
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