MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 10

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

DIRITTO ROMANO E DIRITTO GERMANICO

Marx è giunto alla conclusione che il segreto del diritto pubblico, della Costituzione prussiana, dello Stato politico è la tutela della proprietà privata inalienabile, che i primogeniti maschi devono necessariamente ricevere in eredità. Tutto il resto ruota attorno a questo principio fondamentale.

Quindi la suprema personalità politica non è che una realtà astratta, che ha anzitutto bisogno d'incarnarsi nel sovrano e, in secondo luogo, nell'aristocratico (che partecipa alla Camera Alta). Il maggiorasco è il senso politico della proprietà privata. E lo Stato, altra personalità astratta, tutela in tutti i modi il maggiorasco. Quindi il segreto del diritto pubblico sta in realtà in quello privato.

La proprietà privata fondiaria spiega anche il senso di ogni altra proprietà privata: commerciale, industriale, le cariche di corte, le competenze giudiziarie, le diverse province, il servizio militare, l'ambito spirituale, le nazionalità. Tutto è proprietà privata di particolari stati o funzionari o principi o sovrani.

Marx ora pone un nuovo confronto tra il Medioevo classico e il tardo-feudalesimo (quello delle monarchie costituzionali), e dice: "nel Medioevo ogni forma di diritto, di libertà, di esistenza sociale, si manifesta come un privilegio, come un'eccezione alla regola... questi privilegi si presentano tutti nella forma della proprietà privata... Dove, come in Francia, i principi [i sovrani] intaccarono l'indipendenza della proprietà privata [per far nascere la monarchia assoluta], essi attentarono alla proprietà delle corporazioni prima di attentare alla proprietà degli individui". Ma in tal modo - prosegue Marx - fu distrutto un "legame sociale".

Il potere del principe non è altro che il potere della proprietà privata che si sovrappone a un'altra proprietà privata. Solo che questa prevaricazione viene fatta in un processo che separa la sfera sociale da quella politica: il principe, specie se costituzionale, è l'illusione di uno Stato imparziale, al di sopra delle classi. Egli, per imporsi sulla società, in una dimensione nazionale, ha avuto bisogno dell'idea astratta di Stato.

Ecco perché il concetto di separazione tra società civile e Stato è di derivazione borghese. La borghesia ha avuto bisogno di uno Stato moderno costituzionale (e della monarchia, ma questa realtà fa parte della contingenza storica e comunque non è strutturale all'esistenza dello Stato) per liberarsi della concezione politico-feudale dell'imperatore e per ridurre il peso delle due principali classi feudali: l'aristocrazia e il clero.

Ora Marx, come spesso farà, in relazione al profitto capitalistico, quando diventerà economista, non può non chiedersi il motivo per cui una concezione così astratta dello Stato non sia nata nelle epoche in cui altrettanto forte era l'idea della proprietà privata. E pone a confronto il diritto romano con quello germanico: "non troviamo mai presso i romani che il diritto della proprietà privata sia stato, come presso i tedeschi, mistificato. E mai diventa diritto pubblico".

Il giovane Marx aveva già capito perfettamente che mentre nella società romana il possesso delle cose era un dato acquisito in virtù della forza, che non aveva bisogno di essere qualificata come diritto, e che diventa diritto solo successivamente, quando vengono regolati i rapporti tra le diverse forme di proprietà privata; sicché tutto in realtà poteva essere oggetto di proprietà privata, incluso l'uomo sconfitto in guerra o ridotto in schiavitù per i debiti. Mentre quindi nell'epoca romana il potere imperiale non era che un potere di fatto, basato sulla forza militare (fisica), la quale, a sua volta, doveva ad un certo punto avvalersi, per potersi conservare, di una certa proprietà, che si contrapponeva ad altre proprietà, e che veniva trasmessa ereditariamente; e mentre questo sviluppo politico della proprietà privata inevitabilmente minerà le basi del diritto pubblico dell'epoca repubblicana.

Viceversa, nella Prussia guglielmina - ma su questo Marx avrebbe dovuto essere più analitico - le cose procedono in maniera più mistificata. Non esiste il concetto di "forza" in maniera esplicita, in quanto è quello di "proprietà privata" che media i rapporti tra cittadini e Stato. Lo sviluppo della proprietà privata porta alla nascita del diritto pubblico, che formalmente si contrappone all'interesse privato, anche se di fatto conferma il carattere privilegiato dei poteri forti, specie quelli fondiari.

Altre differenze stanno nel fatto che a Roma le dignità pubbliche non sono mai ereditarie, ma frutto della volontà dei poteri forti, e che la libertà di imporre tasse è un'emanazione diretta della proprietà privata.

Quello che manca nell'analisi di Marx (che nel libro curato da Cerroni non è neppure aiutata dalle note in calce, qui del tutto inesistenti) è la spiegazione per cui il diritto pubblico prussiano appare come "mistificato" rispetto a quello romano. E' chiaro che qualcosa si capisce seguendo l'intera trattazione che Marx ha svolto sino adesso, ma è fuor di dubbio che il giovane Marx avrebbe dovuto maggiormente concentrarsi sul fatto che l'intera mistificazione poggiava (e ancora oggi poggia) le sue basi ideologiche sul cristianesimo.

E' infatti il cristianesimo che, criticando il concetto di "forza", ha posto le basi della moderna eticità, la quale però, non essendo riuscita a risolvere il problema del dominio della proprietà privata, ha continuamente dovuto realizzare con questa proprietà una serie di compromessi, al fine di renderla politicamente e moralmente più accettabile agli occhi di chi non ne disponeva.

E la classe che ha saputo meglio usare il cristianesimo in questa sua funzione mistificatoria, che occulta la sostanza delle cose mentre ne presenta un'altra, dal contenuto etico generale, valido apparentemente per tutti, è stata proprio la borghesia.

Marx ha invece preferito servirsi della critica della religione della Sinistra hegeliana per regolare i suoi conti col cristianesimo, affermando la necessità di un integrale umanesimo laico, ateistico, rinunciando a studiare i nessi organici, culturali, tra religione ed economia, quei nessi che hanno fatto nascere non solo il feudalesimo (col cattolicesimo romano) ma anche il capitalismo (col protestantesimo).

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015