MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 2

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

INTRODUZIONE

Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, pubblicata per la prima volta nel 1927, Marx non aveva ancora individuato quella classe sociale - il proletariato industriale - che avrebbe potuto e dovuto guidare la rivoluzione antiborghese; anche perché nella Prussia d'allora una rivoluzione borghese vera e propria, analoga a quella francese, non c'era mai stata.

Il giovane Marx tendeva a contrapporre, sulla scia di Rousseau, l'idea di società civile a quella di Stato, così come l'idea di popolo a quella di nobiltà e monarchia. All'interno del concetto di "popolo" egli non faceva ancora chiara distinzione tra "borghesi" e "proletari". Al massimo distingueva tra "possidenti" e "nullatenenti". E i più grandi possidenti, nella Prussia d'allora, non erano certo i borghesi, anche se un grande sviluppo della borghesia si stava in effetti verificando in alcune aree del paese.

La Critica non fu mai pubblicata da Marx non solo perché egli, versatile com'era, spostò in pochissimo tempo la sua attenzione dalla filosofia del diritto alla filosofia politica e da questa all'economia politica, rendendosi conto che se voleva approfondire i concetti di "società civile", "realtà materiale", "proprietà privata" doveva uscire completamente dalla metodologia hegeliana e dal suo modo astratto (metafisico) d'impostare i problemi, ma anche perché egli non riusciva a intravedere nella Prussia guglielmina il modo di superare l'autocrazia feudale.

La Germania infatti, come l'Italia, farà la rivoluzione borghese solo in coincidenza dell'unificazione nazionale, a fine Ottocento, per poi avventurarsi in due guerre mondiali, al fine di recuperare il "tempo perduto", rispetto alle altre nazioni capitalistiche europee. La Germania non riuscirà a fare ciò che seppe fare la Russia di Lenin: saltare la fase borghese, passando direttamente dal feudalesimo al socialismo.

Per queste ragioni la Critica rimase in forma di bozza, priva di titoli di paragrafi e con frequenti riassunti, peraltro magistrali, con cui fare il punto di tutti i ragionamenti di volta in volta elaborati. Si tratta, come spesso succede nelle sue opere, di una sorta di "genialata asistematica", che avrebbe necessitato di studi più approfonditi, maggiori esempi probanti, citazioni di opere inglesi e francesi, che in materia di diritto, soprattutto costituzionale, erano sicuramente più avanzate di quelle coeve della Prussia tardo-feudale.

Tuttavia, nonostante Marx pecchi qui di eccessiva sinteticità, al limite del parafrasare involuto, non gli si può non riconoscere il rigore logico del pensiero, la capacità di saper sviscerare l'essenza fondamentale dei problemi della dialettica hegeliana. Questa Critica è stata per lui una buona occasione di esercizio ermeneutico, quasi filologico, sui concetti-chiave di quei Lineamenti che costituiscono, se vogliamo, la summa summarum di tutto il pensiero del più grande filosofo tedesco. Un esercizio che - alla luce di quanto poi Marx riuscirà ad acquisire di lì a poco durante l'emigrazione a Parigi - se anche fosse stato svolto a regola d'arte, seguendo i crismi del trattato vero e proprio, non avrebbe in realtà aggiunto nulla al modo di esaminare la tematica più propriamente socio-economica, quale si verrà configurando a partire dai Manoscritti del 1844.

La permanenza a Parigi segnerà nella vita di Marx una svolta decisiva, irreversibile, al punto che tra la fine del 1843 e l'inizio del 1844 egli riscriverà in forma completamente diversa la sua analisi critica della filosofia hegeliana del diritto, producendo un'incisiva Introduzione, pubblicata negli Annali franco-tedeschi. In essa Marx era in grado di fare confronti ben precisi tra Prussia e Francia, tra riforma protestante e rivoluzione francese ecc. L'Introduzione non è soltanto rivolta al "filosofo Hegel" ma a tutta la Prussia, al suo Stato conservatore, pare anzi un appello alla società civile tedesca, invitata a riscattarsi dal fatto d'essersi accontentata d'una mera rivoluzione teorica (la riforma luterana) e di non aver proceduto con coerenza verso le rivoluzioni politiche vere e proprie, come altre nazioni europee (Francia, Olanda e Inghilterra in primis) avevano già fatto.

L'unico vero merito che Marx attribuisce alla Germania è stato quello di aver condotto l'uomo all'ateismo, cosa che ha trovato nelle riflessioni della Sinistra hegeliana il suo punto d'onore.

Nella Critica Marx riconosce a Hegel i meriti della dialettica, e pensa che sarebbe stato sufficiente volgerli in maniera coerente contro l'assolutismo monarchico, riconoscendo p.es. un certo primato alla "società civile" sullo Stato; col che egli non sembra rendersi conto che Hegel, nonostante il lato progressivo della sua dialettica, non avrebbe mai potuto scrivere un trattato del genere, senza farne cioè un pamphlet rivoluzionario.

Il diritto pubblico era appunto il diritto dello Stato, anzitutto. Hegel non poteva essere criticato per aver fatto una scelta sbagliata, cioè per non essere un democratico, appunto perché non voleva esserlo. La Critica di Marx, in tal senso, è semplicemente il tentativo di rovesciare la filosofia hegeliana del diritto ponendola al servizio della società civile. Solo quando egli si renderà conto che tale tentativo non l'avrebbe portato da nessuna parte, almeno nella Prussia tardo-feudale, rinuncerà definitivamente alla pubblicazione dell'opera.

Quando poi egli individuerà nella classe operaia il soggetto che avrebbe dovuto sostituirsi alla borghesia nel governo della nazione, la filosofia di Hegel finirà direttamente nel dimenticatoio, non meritando neppure d'essere criticata.

La "società civile", infatti, è una categoria borghese non meno di quella dello "Stato". In essa dominano i rapporti capitalistici o della proprietà privata, che nella sua Critica egli ha appena cominciato a intravedere. Sicché la borghesia, quando rivendica maggiori poteri a favore della società civile, in realtà non fa che chiedere maggiore libertà di sfruttamento.

Lo Stato borghese viene utilizzato sia per illudere le masse lavoratrici che possa esistere un ente equidistante dai conflitti di classe, sia per incrementare tutte le forme possibili dello sfruttamento dei lavoratori. Questa consapevolezza apparirà lucidamente solo nel Manifesto del 1848.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015