MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 11

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

DEMOCRAZIA FORMALE E DEMOCRAZIA REALE

La democrazia formale è secondo Marx quella che Hegel definisce "stabile", in quanto peculiare del possesso fondiario (maggiorasco), il quale possesso fa dei nobili i legislatori per definizione, non avendo essi bisogno (come invece il ceto borghese) di elezione e deputazione.

"La Camera dei deputati è qui la costituzione politica della società civile, in senso moderno; la Camera dei Pari lo è in un senso di casta", spiega Marx.

Hegel non ha fatto che conciliare una sopravvivenza del passato, che però nella Prussia tardo-feudale aveva ancora un peso molto significativo, con una novità, quella delle moderne costituzioni borghesi. "Qui il progresso sul Medioevo consiste soltanto in questo: che la politica di casta è abbassata a un'esistenza politica particolare accanto alla politica del cittadino dello Stato", dice ancora Marx, e ci si può chiedere se la parola "progresso" venga usata in senso proprio o ironico, visto che in precedenza Marx tendeva a preferire il Medioevo classico al tardo-feudalesimo dello Stato prussiano.

E' un "progresso" relativo al fatto che lo Stato prussiano ha dovuto riconoscere lo sviluppo della borghesia nell'ambito della società civile. Ma è evidentemente un progresso effimero, in quanto nella Rechtsphilosophie hegeliana non si mette in discussione il primato del ceto nobiliare.

Ma secondo Marx il "progresso" è effimero persino nella Costituzione francese, dove pur la Camera dei Pari è stata ridotta a una nullità (Marx si riferisce alla Costituzione del 1830, di Luigi Filippo), in quanto le è stato negato il diritto all'ereditarietà. Per i francesi la Camera dei Pari è un prodotto astratto di un'altra astrazione, lo Stato politico.

Marx non vede un passo in avanti davvero significativo nelle Costituzioni borghesi, rispetto a quella hegeliana, fatta salva la differenza che mentre in Hegel lo Stato è un'astrazione che legittima una proprietà fondiaria, nelle Costituzioni borghesi invece lo Stato appare ancora più astratto, ancora più separato dalla società civile, in quanto ambisce a porsi, illusoriamente, al di sopra di ogni differenza sociale.

La separazione della vita reale dalla vita pubblica è una caratteristica specifica dello Stato politico, sia esso tardo-feudale che neo-borghese. In uno Stato del genere la democrazia è semplicemente impossibile. Infatti il massimo della partecipazione che lo Stato riesce a garantire, alla vita politica, è quella individuale (da notare che ancora il proletariato non s'è organizzato in Europa con propri organi rappresentativi: sindacati, partiti, cooperative...).

Viceversa Marx afferma che in uno Stato realmente razionale dovrebbe valere il principio "non tutti in quanto individui, ma gli individui in tanto tutti". La società civile cioè dovrebbe partecipare all'attività legislativa in maniera diretta, immediata, e non tanto per mezzo di deputati da distaccare da tale società, inviandoli in un corpo estraneo: il parlamento dello Stato.

La "totalità" dovrebbe essere una qualità essenziale del singolo cittadino e non un qualcosa che gli viene riconosciuta formalmente, astrattamente, per via indiretta, attraverso i suoi deputati. Lo Stato dovrebbe essere un'emanazione della società civile intera, tale per cui esso sia impossibilitato a negare il primato di detta società.

Lo Stato - dice Marx - è l'affare generale di tutta la società, dal punto di vista della società. La partecipazione agli affari generali non è un dovere ma una necessità. Dunque la società civile deve riappropriarsi di ciò che le è stato tolto, deve essa stessa trasformarsi in società politica, capace di fare della politica uno strumento per eliminare ciò che la tiene separata dallo Stato e quindi per diventare essa stessa "Stato" e per ridurre al silenzio la categoria degli aristocratici, che si servono dello Stato per svolgere un'azione politica contraria agli interessi delle altri classi sociali.

Il primato della società civile sullo Stato comporta la fine "del potere legislativo come potere rappresentativo", anche perché la separazione tra Stato e società civile si riflette nel rapporto tra deputati ed elettori. Chi fa le leggi, chi governa... viene tenuto separato dal popolo, il cui unico potere effettivo è soltanto quello del voto.

La democrazia è semplicemente delegata e quando è diretta, come nel caso delle elezioni, lo è per riconfermare il valore assoluta della democrazia delegata. Senza poi considerare - dice Marx - che i deputati, pur essendo eletti come rappresentanti degli affari generali, in realtà esprimono in parlamento degli interessi particolari, tra loro spesso opposti.

In una democrazia diretta "ogni uomo - dice Marx - diventa il rappresentante dell'altro uomo... per mezzo di ciò che egli è e fa".

Marx fa inoltre capire che non si risolve tale questione (quella del primato della democrazia diretta) semplicemente limitandosi a generalizzare al massimo il suffragio attivo e passivo. L'elezione illimitata, sia attiva che passiva, può permettere alla società civile di farsi valere come tale nel confronto con lo Stato, ma ad un certo punto la riforma elettorale deve portare al dissolvimento dello Stato politico astratto, e della stessa società civile come organo separato dallo Stato.

Se si dimostra che tutti possono eleggere ed essere eletti, allora tutti possono anche autogovernarsi. Qui Marx usa le migliori tesi di Rousseau, per mettere Hegel in una posizione scomoda, che nei confronti del governo di Federico Guglielmo III di Prussia nutriva - dice Marx - un atteggiamento molto servile.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015