MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 4

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

DEMOCRAZIA E MONARCHIA

Marx mette bene in luce che in Hegel non ha un peso solo la Costituzione ma anche e soprattutto la monarchia, essendo queste due realtà inseparabili. Anzi, in ultima istanza, ciò che più conta per Hegel è la volontà individualistica del sovrano, l'unica in grado di elevarsi al di sopra del particolare.

Ma la critica più significativa di Marx viene fatta quando mette in ridicolo la pretesa hegeliana di considerare come "pubblica" la proprietà dello Stato. Lo Stato è composto di individui che dispongono di proprietà privata. E' assurdo pensare a una proprietà che, in quanto statale, non appartenga a nessuno.

Hegel non parte mai dagli individui concreti, ma da categorie astratte, che poi applica agli individui e ai ceti sociali. In tal senso egli è lontanissimo dal concetto di democrazia.

Il monarca che lui descrive concede la Costituzione obtorto collo, come una sorta di necessità storica influenzata dallo sviluppo delle potenze capitalistiche europee. Hegel infatti apologizza una monarchia analoga a quella cristiano-feudale, ma in forma laicizzata, in cui la filosofia sostituisce la teologia, come l'essere sostituisce dio.

In tal senso la critica marxiana della sovranità monarchica, cui viene opposta quella popolare (sulla scia di Rousseau), è strettamente connessa non solo alla critica della religione dominante e del suo rapporto con lo Stato, ma anche alla critica della filosofia idealistica, che realizza su basi non esplicitamente ma implicitamente, non direttamente ma indirettamente "religiose" o "mistiche" il rapporto tra teologia, filosofia e politica.

Marx mutua il concetto di democrazia dagli illuministi francesi più radicali, che ritenevano la monarchia (specie quella ereditaria, che non a caso Hegel preferiva a quella elettiva) un rudere del passato. Il popolo andava messo in grado di governarsi anche senza sovrano, in quanto gli era sufficiente dotarsi di un parlamento e di una Costituzione. Ancora Marx non pone differenze tra proletariato e borghesia e non fa un discorso esplicitamente politico, relativo all'esproprio rivoluzionario della proprietà privata, per cui la democrazia qui appare come la "forma autocosciente del popolo", inteso come contraltare dei poteri dominanti.

E' interessante però il fatto ch'egli associ lo sviluppo della democrazia a quello dell'ateismo: argomento questo che riprenderà espressamente nei Manoscritti del 1844.

Ancora più interessante è il fatto ch'egli consideri lo Stato solo come "un particolare modo di esistere del popolo"; il che significa, in sostanza, che la democrazia può anche fare a meno dello Stato, se questa rinuncia è frutto di una decisione comune, democratica appunto. "I francesi moderni - dice Marx - sostengono che nella vera democrazia lo Stato politico perisce".

Egli praticamente aveva già intuito che la democrazia "sociale" non ha alcun bisogno dello Stato per diventare "politica". Nell'ambito dello Stato infatti la democrazia politica è una forma di alienazione, in quanto la separazione tra democrazia sociale e democrazia politica è essa stessa una forma di alienazione. E all'interno di tale alienazione è del tutto irrilevante che un paese sia monarchico o repubblicano.

Lo Stato politico è un'astrazione tipica del mondo moderno, conseguente al fatto che nel processo di emancipazione della borghesia, che nella fase iniziale (contro le classi agrarie-feudali) marciava di pari passo con quello contadino e artigiano, si sono formate delle situazioni che hanno favorito la privatizzazione degli interessi (il più importante dei quali era quello della proprietà privata), il che ha reso necessario, per la loro tutela, la costituzione degli Stati.

Gli Stati moderni sono diventati uno strumento istituzionale astratto in cui s'è realizzato una sorta di compromesso tra i vecchi poteri forti e i poteri emergenti, e tra quest'ultimi quello borghese imprenditoriale ha avuto la meglio.

Marx scrive che il "Medioevo era la democrazia della illibertà" proprio in riferimento al fatto che allora non esisteva la possibilità di privatizzare gli interessi (borghesi). La democrazia era imposta dai poteri forti del feudo, i quali non avevano bisogno di uno Stato centralista, essendo loro stessi "Stato" per i servi della gleba.

Il rapporto tra feudatari e contadini era diretto, personale, sicché tutto il contenuto politico della democrazia era racchiuso in questa dipendenza personale. "La costituzione della proprietà privata è una costituzione politica", senza necessità di ulteriori mediazioni. "L'uomo è il reale principio dello Stato, ma l'uomo non-libero".

Marx quindi riconosce al Medioevo maggiore coerenza e minore ipocrisia, maggiore realismo e minore astrattezza, più sostanza e meno forma. Ma riconosce questo anche ai regimi schiavistici, del mondo greco-romano e asiatico. E' interessante quindi il fatto che per il giovane Marx la democrazia moderna non fosse affatto, in sé, superiore a quella antica.

Egli pensa di descrivere la vera democrazia quando si oppone all'idea di monarchia ereditaria che aveva Hegel, e dice: "dei membri possono conservarsi reciprocamente solo in quanto l'intero organismo è fluido e ognuno dei membri è abolito in questa fluidità, e nessuno dunque è, come qui [nella monarchia ereditaria], il capo dello Stato, 'imperturbato', 'inalterabile'".

Qualunque concezione gius-politica che veda nel capo dello Stato o del governo un soggetto inattaccabile, al di sopra di ogni critica, è intrinsecamente una concezione mistica, favorevole alla magia.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015