MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 9

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

SOCIETA' FEUDALE E MONARCHIA COSTITUZIONALE

Marx, sempre in maniera molto sintetica e involuta, quasi criptica, in poche battute pretende di distinguere l'epoca feudale da quella tardo-feudale della Prussia a lui coeva, e anche da quella moderna di tipo democratico-borghese. L'interpretazione di questi passi è davvero ostica ed è impossibile assicurarne un qualche valore scientifico.

Marx in sostanza, nel suo confronto sinottico, tende ad affermare che il tardo-feudalesimo della Prussia ottocentesca è qualcosa di molto diverso dal feudalesimo classico, in quanto mentre qui dominava ancora l'unità di società civile e società politica dal punto di vista della società civile, viceversa nella Prussia guglielmina l'uomo reale, sociale, è l'uomo privato, opposto a quello irreale, fittizio, che appartiene allo Stato e che l'hegelismo vuol far passare come vero uomo etico e politico.

La "separazione" tra pubblico e privato è l'esistenza del singolo nel mondo moderno. Il suo modo di vivere non è una "funzione" della società, ma il suo modo particolare di vivere, che, per quanto riguarda le caste, le corporazioni... è senza dubbio una forma di privilegio.

Certo il privilegio esisteva anche nel Medioevo, ma Marx qui fa capire che solo nel tardo-feudalesimo, con la nascita degli Stati politici, della monarchia (assolutistica o costituzionale), il privilegio è diventato espressione di una separazione tra civile e politico.

Se non si chiarisce la differenza posta da Marx tra feudalesimo classico e tardo-feudalesimo, non si può capire la frase seguente: "Non solo lo stato [casta, corporazione] si basa sulla separazione della società come legge generale; esso separa l'uomo dal suo essere generale, ne fa un animale che coincide immediatamente con la sua determinatezza [appunto perché il civile è tenuto separato dal politico]. Il Medioevo è la storia animale dell'umanità, la sua zoologia".

Eppure poco più sopra egli aveva scritto che questa analisi si riferiva a una "costituzione per stati, quando non è una tradizione medievale...". In Italia, p.es., le costituzioni per stati emergono con la nascita dei Comuni, cioè nel basso Medioevo, in occasione delle prime forme di mercantilismo europeo, nei limiti della cristianità feudale. Altrove, in Europa, emergeranno molto tempo dopo.

Marx spiega meglio questa differenza tra Medioevo classico e tardo-feudalesimo nel passo successivo. "Allorché la struttura della società civile era ancora politica e lo Stato politico era la società civile... gli stati [caste, corporazioni, comunità] non già acquistavano un significato nel mondo politico, bensì vi significavano se stessi". Questa è appunto la situazione del Medioevo classico, cioè di quanto si deve constatare "per tradizione".

Viceversa, nel tardo-feudalesimo esiste un dualismo di fondo tra società civile e Stato politico, "che la costituzione per stati crede di risolvere con una reminiscenza", del tutto palese nella Camera Alta costituita dai signori di maggiorasco (o Camera di casta) e che nelle intenzioni di Hegel rappresenta la suprema sintesi delle contraddizioni tra governo e popolo.

Marx qui è molto chiaro: il tardo-feudalesimo dello Stato prussiano è una involuzione rispetto al Medioevo classico, proprio a motivo del fatto che l'identità politica e sociale affermata da tale Stato è solo presunta, fittizia, irreale.

E' un'identità illusoria proprio perché gli stati [caste, corporazioni] non acquistano significato nella società ma solo nello Stato, e tale significato solo successivamente si presume debba valere anche per la società. Lo Stato è indotto a riconoscere loro un qualche significato proprio perché non può prescindere dalla loro presenza nella società.

Lo Stato tardo-feudale (monarchico-costituzionale), dandosi una veste giuridico-formale, ha la pretesa di essere più democratico di quello feudale classico. Tuttavia, proprio il fatto ch'esista uno Stato separato dalla società è di per sé indice di una maggiore ambiguità politica, cui Hegel cerca di ovviare con l'uso del misticismo logico, metafisico (lo Stato etico ecc.).

Marx è convinto d'aver svelato l'enigma delle moderne Costituzioni tardo-feudali, basate sul riconoscimento politico-istituzionale degli stati (Camera Alta, Camera dei Pari). La monarchia si serve del governo per governare e legiferare; la società si serve degli stati per controllare (relativamente) l'operato del governo.

Tra monarchia, governo, società e stati non esiste una vera contrapposizione, nella filosofia hegeliana, ma solo un'intesa da far valere diplomaticamente, in quanto gli interessi appaiono sostanzialmente analoghi. Marx appunto s'è preoccupato di far capire che tutte le opposizioni poste da Hegel tra queste realtà sono soltanto fittizie, formali, come d'altra parte non esiste una vera opposizione tra la sua filosofia e il cristianesimo: "la filosofia comprende la religione nella sua illusoria realtà". Come la religione è un momento della filosofia, così la società civile è un momento dello Stato. Tutta la costruzione metafisica hegeliana rientra nel "romanticismo dello Stato politico", in quanto non pone alcun reale contrasto tra Stato e società civile.

Ora però Marx deve dimostrare in che modo questa unità è illusoria. Hegel sostiene che gli interessi comuni tra monarchia e aristocrazia agraria stanno nel possesso fondiario, oltre che nella vita familiare.

Marx obietta che fare della vita familiare, cioè patriarcale, di un agrario un principio che lo rende idoneo al più alto compito politico, quello di governare lo Stato (tramite la Camera Alta), è un'assurdità, poiché questa caratteristica riguarda qualunque classe sociale, anche quella borghese, che però certamente nello Stato prussiano non ha la stessa importanza dei nobili, per quanto Hegel si sforzi di presentare uno Stato per tutti, a prescindere dalle differenze di classe.

In secondo luogo Marx vuol far capire che nel Medioevo classico l'aristocrazia non aveva bisogno di porsi o di essere posta come mediazione tra Stato politico e società civile, poiché non aveva bisogno di essere qualificata come "cittadina" dello Stato; lo era già in quanto appartenente alla società civile.

Marx critica Hegel d'essere inconseguente, poiché il tentativo di conciliare il sistema medievale degli stati con lo Stato politico moderno, ereditato dalle monarchie costituzionali borghesi, è un sincretismo che non porta da nessuna parte, se non alla riaffermazione di un privilegio, quello del patrimonio inalienabile, acquisito come bene ereditario (maggiorasco: il diritto del primogenito a vivere indipendente).

Hegel insomma si arrampica sugli specchi e il suo modo di ragionare si avviluppa in contraddizioni irrisolvibili. A suo giudizio infatti solo chi dispone di un patrimonio sicuro può partecipare agli affari dello Stato. Allo Stato non basta il sentimento della cosa pubblica, il senso dell'eticità. Il patrimonio (in questo caso il possesso fondiario) deve essere indipendente dai favori dello Stato e persino dalla volontà di chi ne dispone: solo così esso può offrire la possibilità reale di far partecipare eticamente il cittadino alla gestione dello Stato. Chi dispone da sempre di beni, e non si trova quindi in uno stato di bisogno, è più capace di senso etico, cioè di equità e imparzialità.

Secondo Marx, Hegel avrebbe dovuto ammettere che nello Stato prussiano è molto più importante la proprietà privata fondiaria che tutto il resto. Lo Stato politico hegeliano non è affatto etico - dice Marx -, poiché deve necessariamente riconoscere il primato di qualcosa che non ha nulla di etico, come appunto la proprietà privata fondiaria, ottenuta in eredità senza alcun merito personale, semplicemente per i favori della nascita.

Hegel in sostanza ha fatto di un arbitrio sociale: la proprietà inalienabile, la fonte principale del bene pubblico, anzi del diritto pubblico, superiore a qualunque valore umano. "La realtà dell'idea etica appare qui come la religione della proprietà privata". L'idealismo politico di Hegel si rovescia nel più crasso materialismo. Rifiutare la democrazia elettiva in nome di un'aristocrazia per nascita, rende tutta la filosofia hegeliana quanto mai obsoleta.

E' sintomatico tuttavia - aggiungiamo noi - come nell'odierna società borghese questa concezione della proprietà che rende incorruttibili si sia trasferita dalla classe aristocratica alla stessa borghesia. Quante volte si sente dire che un politico già ricco di suo è meno influenzabile ai giochi politici, alle ambizioni di potere, alle pressioni delle varie lobbies ecc.?

Non è forse questo un pretesto per escludere il popolo lavoratore dalla gestione della "cosa pubblica"? L'importante infatti è che non si indaghi né su come questo potere economico è stato originariamente acquisito, né su come viene concretamente conservato e incrementato.

La tendenza è appunto quella, dopo il fallimento della politica di professione, coinvolta in una serie innumerevole di scandali economici (le collusioni con l'imprenditoria privata), di far governare, nei paesi borghesi, direttamente gli imprenditori, privi di tradizioni di impegno politico, addirittura privi di un vero e proprio partito, legato alla società civile, all'associazionismo da cui trarre ricambi di tipo generazionale o manovalanza per le esigenze politiche e organizzative. Il partito può essere creato proprio in virtù dei capitali di cui si dispone.

Un politico già ricco di suo, che vuole apparire equidistante, super partes, e che per diffondere questa immagine falsata di sé ha bisogno di mistificare enormemente la realtà (molto di più di quanto facessero i politici di professione), accentua il lato individualistico (bonapartistico) del potere borghese, diventa in un certo senso l'anticamera della dittatura personale, che in caso di crisi può anche appellarsi all'intervento delle forze armate.

Con queste figure di politici prese in prestito dall'imprenditoria, la politica perde ogni forma apparente di ideale e si pone direttamente, esplicitamente al servizio degli affari privati. Se prima si criticava la politica d'essere collusa col business, ora è la politica stessa a farsi business. Non c'è più alcun bisogno di usare l'etica come paravento con cui cercare di coprire l'inevitabile corruzione politica di statisti che oggettivamente dovevano fare gli interessi della borghesia, mentre soggettivamente dicevano d'essere al di sopra delle parti.

Oggi la convinzione che la democrazia borghese sia superiore ad ogni altra forma di democrazia, non proviene tanto da tradizioni ideologiche quanto piuttosto da tradizioni economiche. La superiorità è dimostrata dall'ostentazione di un benessere materiale che si vuol far credere generale.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015