MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 8

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

SOCIETA' FEUDALE E SOCIETA' MODERNA

Marx, pur avendo detto che nel Medioevo si realizzò l'unità di sociale e politico dal punto di vista del sociale (senza soffermarsi, come invece farà successivamente, sulla questione del servaggio), ora si contraddice (e questo limite lo condizionerà sino ai suoi rapporti col populismo russo), dicendo che nel periodo della monarchia assoluta (cioè in sostanza nei secoli XVI-XVII), la rottura nei confronti dell'idea di "Sacro Romano Impero" porterà all'affermazione degli Stati moderni, sicché la mutazione degli "stati politici" (caste, corporazioni, comunità organizzate..., tipiche del mondo feudale) in "stati sociali", cioè in semplici aspetti privati dello Stato politico vero e proprio, rappresentato dal monarca assoluto, va in sostanza considerata "un progresso della storia".

Influenzato dall'idea hegeliana di "progresso", di "superamento" (Aufhebung), di "processo dialettico-triadico" (tesi-antitesi-sintesi), di "negazione della negazione" ecc., Marx non è mai riuscito ad immaginare la possibilità di una rivoluzione contadina che facesse uscire il Medioevo dal servaggio e dal clericalismo, senza farlo piombare nel capitalismo.

Qui, per il giovane Marx pre-socialista, l'alternativa al Sacro Romano Impero non è una gestione autonoma, democratico-sociale, delle comunità di villaggio, ma è quella che di fatto si è data l'evoluzione dei paesi europei più avanzati, secondo la categoria della "necessità storica", quella appunto della monarchia assoluta, che ha saputo servirsi della burocrazia, di un mercato unico nazionale, e quindi dell'appoggio decisivo della borghesia, per dare un senso "nazionale" alle comunità feudali tra loro separate.

Marx ritiene che il passaggio sia stato "necessario", in quanto, essendo egli "ateo", non può che ritenere progressiva qualunque fase storica che ridimensioni il lato religioso della società feudale, tanto più che nel feudalesimo tale aspetto era vissuto in maniera prevalentemente "clericale".

Cioè, sentendosi un intellettuale radicale, illuminato, urbanizzato, appartenente all'eversiva sinistra hegeliana, simpatizzante per i rivoluzionari francesi, notoriamente anti-religiosi, Marx non può mettere sullo stesso piano le esigenze del progresso sociale (che nella Prussia vetero-feudale stentano a venir fuori) con quelle del progresso culturale.

Dovendo scegliere tra un progresso verso l'ateismo, in un contesto sociale di maggiore estraniazione, e una conservazione della religione in un contesto di minore estraniazione sociale, Marx non ha dubbi in merito. Infatti per tutta la sua vita egli non riuscirà mai a vedere nel mondo contadino, tipicamente caratterizzato, a motivo dell'arretratezza culturale, dall'elemento religioso, un aspetto sociale più significativo di quello del proletariato urbano, frutto, questo sì, di rapporti socio-economici del tutto estraniati (come egli stesso d'altra parte avrà modo di dire, in maniera molto persuasiva, a partire dai Manoscritti del 1844).

E' dunque stato un "progresso della storia" il fatto che mentre prima i cristiani erano "eguali in cielo e ineguali in terra", ora "i singoli membri del popolo" (senza caratterizzazione religiosa) sono "eguali nel cielo del loro mondo politico e ineguali nell'esistenza terrena della società".

E' un progresso il superamento della coscienza religiosa, anche se di fatto non esiste alcun progresso a livello sociale, in quanto l'ineguaglianza ha solo mutato le sue forme, risultando anzi gravemente lesiva degli interessi del mondo contadino, una parte del quale si vedrà trasformato in proletariato industriale.

Marx inoltre spiega - mettendo a dura prova le capacità interpretative dei suoi esegeti - che "soltanto la rivoluzione francese condusse a termine la trasformazione degli stati politici in sociali, ovvero fece delle differenze di stato della società civile soltanto delle differenze sociali, differenze della vita privata, che sono senza significato nella vita politica. Fu con ciò compiuta la separazione di vita politica e di società civile".

Il che, in sostanza, voleva dire che mentre nel '500 e nel '600 i ceti nobiliari (l'aristocrazia laica ed ecclesiastica), pur vedendo ridotto il loro potere politico a vantaggio della monarchia nazionale assoluta, appoggiata dalla borghesia, continuavano ad esercitare, in quanto tali, un certo peso politico nella società, a prescindere quindi dalla loro rappresentanza politica, viceversa con la rivoluzione francese, cioè con l'ingresso politico diretto della borghesia nella gestione dello Stato, i vecchi ceti feudali non potevano più far valere i loro diritti politici in maniera autonomistica, automatica, in funzione del loro status sociale privilegiato. Con la rivoluzione infatti nasceva la moderna idea di democrazia, cioè di rappresentanza parlamentare elettiva, a suffragio sempre più universale.

Tuttavia con la moderna democrazia s'impone anche, in maniera compiuta e irreversibile, la separazione tra Stato politico e società civile. La società di fatto è solo civile; ora la politica è solo un affare dello Stato e chi vuol far politica deve "uscire" dalla società ed entrare nello Stato.

"Lo stato in senso medievale sussistette soltanto dentro la burocrazia stessa, dove la posizione civile e quella politica sono immediatamente identiche", dice Marx. E questo, bisogna aggiungere, non solo nel senso hegeliano che il funzionario statale (civile o militare che fosse), l'amministratore dello Stato moderno veniva ad esprimere il legame ideale, politico, tra Stato e società civile (dal punto di vista dello Stato, beninteso), ma anche nel senso che, professionalmente, buona parte della vecchia aristocrazia fu riciclata in questa nuova funzione ideologica e politica insieme, mentre un'altra parte si trasformò in imprenditoria capitalistica agraria (specie in Inghilterra).

Marx però ad un certo punto deve ammettere che mentre in epoca feudale la comunità agraria aveva una propria specifica identità sociale (tant'è che la esercitava anche in chiave politica, in maniera del tutto naturale), viceversa la moderna società civile ha a che fare con individui separati tra loro, privi di una vera caratterizzazione sociale. "La distinzione di stato non è più qui una distinzione secondo il bisogno e il lavoro in quanto corpo autonomo".

La moderna società civile non è più autonoma ma subordinata all'identità astratta dello Stato. "L'unica differenza generale, superficiale e formale, è qui [nella moderna società civile] ancora soltanto quella di città e campagna", scrive con acume Marx. Questo perché a dominare in realtà è l'individualismo, cioè - dice Marx - "l'arbitrio. E denaro e cultura ne sono i criteri capitali".

Il giovane Marx aveva in sostanza già capito che la moderna società civile è intrinsecamente "borghese", per cui il valore dominante non è l'interesse collettivo (di questo semmai si occupa, formalmente, illusoriamente, lo Stato politico) ma l'egoismo privato, per la valorizzazione del quale occorrono conoscenze, competenze, capitali...

La società civile borghese "è una divisione di masse che si formano fugacemente, la cui stessa formazione è arbitraria e non è un'organizzazione". Più chiaro di così, in questa Critica, Marx non poteva essere.

E in tale individualismo, privo di veri legami sociali, ciò che prevale è "la mancanza di beni e la condizione del lavoro diretto". In questa semplice frase sta in nuce tutto il programma di studi che di lì a poco Marx si accingerà a intraprendere. La "condizione del lavoro diretto", salariato, verrà appunto vista come inevitabile conseguenza della "mancanza di beni".

Non esiste più, nella moderna società borghese, "qualcosa di comune, una comunità che tiene l'individuo", ma solo legami superficiali, casuali, formali, che di politico non hanno nulla, poiché il politico è solo prerogativa "dei membri del potere governativo".

L'individuo non appartiene più a una comunità originaria, ma a una società artificiale, all'interno della quale si sposta come un nomade che, privo di proprietà, è costretto a lavorare, ovunque capiti, sotto terzi. Sicché non c'è solo separazione tra Stato e società civile, ma anche, all'interno di quest'ultima, tra individuo e individuo.

La società civile "non è inerente al lavoro dell'individuo", poiché un lavoro vale l'altro, rispetto al senso di appartenenza al collettivo; la società non "si rapporta all'individuo come un'oggettiva comunità, organizzata secondo leggi stabili e avente con lui stabili relazioni".

La società non è neppure in grado di darsi proprie leggi, proprio perché essa "non è in alcun reale rapporto con l'agire sostanziale dell'individuo, col suo reale stato". Le leggi sono imposte dallo Stato e di fronte allo Stato l'uomo è solo, vive in una società di monadi isolate, obbligate a rispettare uno Stato padre e padrone.

Queste monadi appaiono (o, meglio, vengono fatte apparire) come "egoiste", in quanto "il principio della condizione civile... è il godimento, la capacità di fruire". Se invece una monade vuol fare attività politica, deve staccarsi dalla società ed entrare nello Stato; in tal modo essa "perviene come uomo ad avere significato", cioè diventa "ente sociale" solo "come membro dello Stato". Quindi un cittadino deve sbarazzarsi di tutti i legami che lo caratterizzano nell'ambito della società civile e che per lo Stato non lo fanno diventare "uomo". Egli diventa "uomo" in quanto "politico" e diventa "politico" in quanto "istituzionalizzato".

"L'attuale società civile è il principio realizzato dell'individualismo". Marx ancora non è giunto all'idea che lo Stato moderno, dei paesi avanzati europei, sia uno strumento dell'oppressione della borghesia contro le altre classi lavoratrici, ma il passo ormai gli è breve. D'altra parte in Prussia la borghesia non ha ancora compiuto la propria rivoluzione politico-democratica. E' impossibile poter constatare, al momento, quanto la borghesia tedesca possa servirsi dello Stato per tutelare i propri interessi privati.

Qui Marx si limita semplicemente a fare un parallelo tra società feudale e società moderna, e ciò che, in un certo senso, lo preoccupa di più è il fatto che nel passaggio dall'una all'altra si è del tutto perduta la nozione di "collettivo", ch'era insieme sociale e politico.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015