MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO 3

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


MARX E LA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO PUBBLICO

STATO E SOCIETA' CIVILE

La Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, scritta subito dopo la tesi di laurea del 1841, è l'unico testo di Marx dedicato all'analisi del diritto pubblico e dello Stato costituzionale (nella fattispecie hegeliano-prussiano) ed essa non va confusa con l'articolo che Marx pubblicò negli "Annali franco-tedeschi" del 1844: Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, che forse doveva appunto essere una introduzione alla Kritik in oggetto. Quest'ultima non fu mai portata a termine in quanto già nel 1843 gli interessi di Marx erano orientati verso l'attività politica (come giornalista partecipava alla redazione della "Gazzetta Renana", il primo periodico moderno della Germania, nato nel 1842 e soppresso dal governo dopo 15 mesi). Dopo la chiusura del periodico Marx, con la moglie, preferì emigrare a Parigi alla fine del 1843, dove continuerà a interessarsi di politica almeno sino al 1848-49, per poi rivolgersi definitivamente agli studi di economia politica nella capitale londinese.

Il testo cui si fa qui riferimento è quello curato da U. Cerroni, per gli Editori Riuniti, Roma 1983. Tale curatore è convinto che il Marx migliore non sia quello economista o politico, ma quello filosofico, critico di Hegel, cioè in sostanza il giovane Marx, che si limitava a criticare lo Stato liberale borghese e il conservatorismo monarchico, in nome della democrazia politico-parlamentare, frutto del suffragio universale. Per Cerroni il socialismo sarà soltanto la conseguenza naturale del completo sviluppo della democrazia politica: il che rende del tutto inutile una qualunque "rivoluzione".

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Marx esordisce nella Critica osservando come nell'hegelismo esiste un'incongruenza di notevole spessore: da un lato infatti si pone lo Stato come "necessità esterna" alla famiglia e alla società civile; dall'altro invece lo si pone come loro "scopo immanente".

Famiglia e società civile, che pur determinano, nel loro sviluppo, lo Stato, trovano solo in quest'ultimo il loro vero significato. Sicché in caso di conflitti d'interesse tra queste sfere, devono sempre prevalere le ragioni dello Stato.

Per Marx i concetti di "necessità esterna" e "scopo immanente" costituiscono una "antinomia irrisolta". Infatti non ha senso che ciò che si pone come "naturale scopo immanente" abbia poi bisogno di farsi valere come "necessità esterna". Quindi Marx parte da una contraddizione di filosofia politica, che ovviamente ha dei riflessi sulla filosofia del diritto.

Tuttavia Marx rileva che per Hegel non vi è alcuna antinomia, in quanto è proprio lo Stato a garantire l'identità di diritti e doveri: p.es. "il dovere di rispettare la proprietà coincide col diritto alla proprietà". E' lo Stato che garantisce questo, in quanto famiglia e società civile, essendo troppo determinate dall'arbitrio o dall'interesse privato, non sono in grado di farlo.

Marx dice che in Hegel sorge il limite del "misticismo logico, panteistico" proprio nel momento in cui si pretende di attribuire allo Stato una funzione del tutto idealizzata, storicamente insussistente. Si realizza così nell'hegelismo una sorta di inversione di ruoli, per cui lo Stato, invece di apparire come un fenomeno della società civile, appare come un'idea assoluta, mentre la società diventa una sorta di "emanazione" dello Stato. L'idea è trasformata in soggetto e la realtà in un'attività immaginaria dello Stato.

Il giovane Marx aveva già chiaramente individuato la fondamentale astrattezza e mistificazione della filosofia hegeliana, incapace di cogliere la vera natura dei fenomeni sociali, ovvero capace di interpretarli solo in maniera filosofica, falsandone appunto il significato.

Famiglia e società civile, nell'hegelismo, non possono produrre lo Stato consapevolmente, perché è proprio da questo Stato ch'esse ricevono la consapevolezza della loro funzione. Esse semmai lo producono spontaneamente, spinte, in questo, da un'idea assoluta, che trova però realizzazione di sé in un ente da esse separato, appunto lo Stato.

Hegel fa ovunque dell'idea il soggetto e dell'individuo reale il predicato. Lo dimostra anche nel fatto ch'egli considera la Costituzione politica un'idea organica, mentre le "distinzioni reali" che si riscontrano nella società (tra ceti, classi ecc.) sono soltanto "lati distinti" della Costituzione, e non il suo presupposto storico-politico.

In questo modo di vedere le cose Hegel difetta di senso storico, di analisi sociale: dà per scontato ciò che invece andrebbe dimostrato. Il suo idealismo non è che una tautologia mistica, e la sua filosofia del diritto non è che "una parentesi della logica", dice Marx.

Hegel "non sviluppa il suo pensiero secondo l'oggetto, bensì sviluppa l'oggetto secondo un pensiero in sé predisposto... nell'astratta sfera della logica". Basterebbe questo pensiero di Marx per abolire lo studio della filosofia nelle scuole statali. Tutto il pensiero filosofico e teologico occidentale infatti si comporta così.

Questo lato mistificatorio della logica hegeliana è, se si vuole, il limite di ogni posizione idealistica, che ragiona sulla o della realtà standosene fuori. E' un limite che può caratterizzare persino chi intraprende l'esame dell'economia politica con gli strumenti interpretativi della stessa economia politica.

Non è infatti l'oggetto in sé dell'indagine che tutela dal rischio dell'idealismo astratto. Non c'è nulla che possa esimere il soggetto dal rischio di cadere in questo limite esegetico. Lenin dirà che solo uno stretto rapporto con le classi oppresse aiuta a restare coerentemente materialisti.

Da notare che oggi le istituzioni borghesi, pur avendo recepito la critica marxiana all'idealismo filosofico, in quanto pongono la politica, nonché le questioni socioeconomiche al centro del dibattito pubblico, risentono proprio del limite dell'idealismo hegeliano, in quanto concepiscono se stesse al di sopra di ogni realtà sociale, ponendosi come una sorta di entità che si autolegittima e che non ha bisogno dell'espressione della volontà popolare.

La differenza tra lo Stato etico hegeliano e lo Stato attuale è che il primo era una laicizzazione di idee di derivazione cristiana (una laicizzazione peraltro parziale, in quanto lo Stato prussiano era confessionale e la filosofia hegeliana si poneva come scopo quello di inverare le verità cristiane): lo Stato etico prussiano non era che una chiesa laicizzata, riflettendo in ciò l'esigenza di conservare l'idea di uno Stato confessionale. Di qui la grande importanza che la sinistra hegeliana diede alla critica della religione e che Marx considerava del tutto insufficiente per una battaglia politica contro lo Stato in genere.

Oggi invece lo Stato ha perso molta della propria pretesa etica, essendo stato duramente sottoposto a critica, specialmente dopo le due guerre mondiali, dal socialismo scientifico, dal laicismo democratico, radicale, neoilluministico.

Oggi lo Stato più che "etico" è "sociale", cioè garante di un benessere collettivo minimo, che mira a scongiurare la formazione e lo sviluppo di gravi conflitti sociali tra le classi (quei conflitti che hanno appunto portato alle guerre mondiali e alle rivoluzioni comuniste in Europa e in altre parti del mondo).

Uno Stato del genere può sussistere solo a condizione di adottare una severa politica fiscale: cosa che ovviamente trova contrari i poteri forti dell'economia, che cercano invece di ridurre al minimo il peso "sociale" dello Stato, ovvero di ricavare da tale funzione tutti i vantaggi possibili, in termini di trasferimenti di risorse pubbliche verso imprese private (per favorire ristrutturazioni, risanamenti di debiti ecc.), ma anche in termini di leggi favorevoli alla flessibilità nel mercato del lavoro, alle agevolazioni fiscali, per non parlare delle commesse relative agli appalti pubblici.

Lo Stato appare tanto più "etico" quanto più un ente politico come la chiesa cattolica lo condiziona, invitandolo a far proprie, seppur in forma laicizzata, idee provenienti dal mondo clericale (cosa che si verifica p.es. quando i politici, gli statisti sostengono che va difesa la civiltà o la religione "cristiana" nel confronto con altre civiltà o religioni, o quando si chiede di inserire in Costituzioni statali o interstatali, come quella europea, riferimenti espliciti a ispirazioni, valori, culture di matrice "cristiana"). Da notare che questo condizionamento è più riscontrabile nei paesi latini, dove la chiesa cattolica si pone più o meno esplicitamente in maniera politica, avendo un proprio Stato confessionale (in Italia la Città del Vaticano) o influendo direttamente su partiti politici (ai quali assicura un determinato elettorato) o su istituzioni pubbliche, anche attraverso strumenti legislativi specifici, come p.es. i concordati o le intese.

In ogni caso ancora oggi, sia nel mondo cattolico che in quello protestante, ogniqualvolta un governo in carica prende decisioni identificando se stesso con lo Stato, cioè mostrando che le sue decisioni sono una necessità dello Stato, si viene a creare, ipso facto, una situazione di idealismo hegeliano, poiché si finisce con l'attribuire allo Stato una funzione arbitraria, come è arbitrario il fatto che una società debba essere rappresentata non da se stessa, ma da una realtà ad essa "esterna", che, proprio per tale ragione, è necessariamente coercitiva.

Ogni volta che un governo in carica si assume la responsabilità di emanare dei provvedimenti facendoli passare come una necessità dello Stato, la democrazia è, in quanto tale, violata.

La democrazia infatti o è diretta o non è. La democrazia delegata o lo è transitoriamente, in via eccezionale, oppure, se in maniera permanente, essa deve garantire che il rappresentante possa essere revocato in qualunque momento, altrimenti diventa un abuso, una mistificazione, una forma edulcorata di dittatura.

Una democrazia diretta è incompatibile con qualunque forma di organizzazione statale, cioè con qualunque ente, organo, istituzione che sia conseguenza strutturale, inevitabile, della democrazia delegata, che, per come è nata in epoca borghese, è "formale" per definizione, avendo di "sostanziale" solo l'antagonismo sociale.

Tutte le forme di democrazia delegata degli Stati borghesi sono espressione di precisi conflitti di classe, in cui i proprietari di terre o di capitali detengono tutti i poteri economici e si servono della democrazia delegata come strumento politico per tutelare i loro interessi, ingannando le masse sulla vera natura del loro potere.

Il socialismo democratico non può considerare lo Stato come uno strumento indispensabile per contrastare la reazione dei ceti proprietari all'esproprio dei loro beni. E' la società civile che deve difendersi. Se al suo posto lo fa lo Stato, nulla potrà poi impedire che il medesimo Stato, una volta sconfitti gli sfruttatori, rivolga il proprio potere contro gli stessi elementi proletari che l'hanno sostenuto.

Lo Stato non offre alcuna garanzia di democrazia. Impadronirsi delle leve dello Stato significa soltanto distruggerle progressivamente, sistematicamente. Quanto più la società civile mostra di poter svolgere autonomamente le funzioni dello Stato, tanto più quest'ultimo diventa inutile.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015