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I redattori del "Non mollare" Carlo Rosselli, Nello Rosselli, Ernesto Rossi (1925)
Carlo era un socialista eretico fiero del suo ruolo d’enfant terrible dell’antifascismo italiano, intransigente nella critica non solo del fascismo ma anche della cultura dell’Italia liberale che aveva prodotto quella mostruosa creatura politica.
Rivoluzionario tollerante, combattente intriso d’umanità e profeta scettico, Carlo Rosselli fu un protagonista fondamentale dell’antifascismo italiano, ma la complessità e la ricchezza del suo pensiero hanno dato origine ad interpretazioni diverse del suo ruolo nel movimento antifascista. Nessuno come lui impersonava gli ideali, le potenzialità ed i problemi dell’antifascismo italiano; era l’incarnazione stessa della resistenza.
Abbandonata negli anni venti una promettente carriera di docente d’economia politica, Rosselli si gettò nella lotta antifascista e dopo vari anni d’attività clandestina, compresa la pubblicazione di due importanti giornali, aiutò Filippo Turati, il grande vecchio del socialismo italiano, a fuggire dal paese per sottrarsi alla violenza fascista. Per il ruolo avuto nella fuga di Turati venne arrestato, si difese da solo in un processo drammatico e fu incarcerato.
Nel 1929, dopo un’audace fuga degna di un romanzo ottocentesco, si stabilì a Parigi dove fondò Giustizia e Libertà, la maggiore e più influente forza antifascista non marxista in Italia ed in esilio. Per lui l’obiettivo di Giustizia e Libertà consisteva nel tentativo di riconciliare il potenziale politico e sociale della rivoluzione russa con la tradizione scientifica, umanistica e liberale dell’Occidente. Per il direttore dell’Ecole Normale Superieure di Parigi, dove Rosselli si recava per le sue ricerche, <<nessuno era pericoloso per il fascismo quanto lui, con la sua vasta cultura, il carattere eccezionale, la rara mescolanza di freddezza ed audacia>>.
Giustizia e Libertà era l’unico movimento nato dopo la vittoria del fascismo e quindi non era legato all’esperienza prefascista. Caratterizzato da vivacità intellettuale e da un’eterogeneità feconda, attrasse alcuni dei migliori intelletti italiani. Rosselli lavorò febbrilmente per unificare le disparate parti antifasciste, a livello teorico non cessò mai di suggerire che il socialismo, lungi dall’essere antagonistico al liberalismo, ne era anzi l’erede naturale; questo lo portò alla formula eretica del “socialismo liberale”. A prima vista Rosselli sembra far parte di quella lunga e nobile tradizione del socialismo europeo che si colloca a metà strada tra riforma e rivoluzione, e che è impersonato da Benoit Malon e Jean Jaures in Francia, Filippo Turati in Italia e Eduard Bernstein in Germania.
Rosselli considerava i revisionisti teoricamente troppo timidi mentre imputava ai socialdemocratici di volere ripudiare il liberalismo ottocentesco. Il socialismo liberale, pur apparendo allora un impossibile ibrido intellettuale e politico, nelle parole di una scienziata politica <<esso ha acquistato modernità con il passare del tempo>>. Si intende qui per socialismo liberale un modo di organizzare la società in cui lo Stato – com’espressione della comunità – cerca di difendere ed estendere i diritti sociali con la stessa energia con cui difende i diritti di libertà.
Rosselli è stato anche associato alla recente svolta verso il socialismo di mercato. Questo orientamento era una risposta alla tesi secondo cui una dottrina economica razionale e la libertà erano incompatibili col socialismo. Il socialismo di mercato si oppone ai mercati capitalistici e propone un sistema che combina mercato e proprietà sociale del capitale e della produzione con gli obiettivi di una maggiore efficienza economica, della libertà individuale, di una più estesa democrazia e della giustizia sociale.
Con lo scoppio della guerra civile spagnola nel 1936, Rosselli lasciò Parigi e fu tra i primi a giungere a Barcellona per difendere la Repubblica; comandò una colonna di volontari che annoverava anarchici, socialisti, repubblicani e giellisti. Le sue trasmissioni radiofoniche da Barcellona, captate in Italia, probabilmente ne segnarono il destino. Già dall’inizio degli anni trenta era considerato l’avversario più pericoloso del regime in quanto fondatore di Giustizia e Libertà e per i tentativi indiretti di organizzare l’assassinio di Mussolini. Il regime reagì a tono: l’OVRA, la polizia segreta fascista, definì GL il più pericoloso dei movimenti cospiratori ed una spia anonima riferì da Parigi che il maggior pericolo viene da Rosselli.
Rosselli fu un teorico più raffinato di quanto in genere si riconosca, anche se la militanza politica e l’incessante attività dell’esilio gli impedirono di elaborare un sistema teorico compiuto. Quand’anche ne avesse avuto il tempo e l’opportunità, difficilmente avrebbe elaborato un’ideologia astratta e chiusa: un sistema teorico siffatto sarebbe stato in contraddizione con la sua convinzione che le realtà politiche e sociali fossero in costante trasformazione. Scelse la forma del saggio per divulgare l’umanesimo e lo storicismo in cui credeva profondamente. I suoi saggi, unitamente alla rigorosa militanza politica, costituiscono una critica radicale del liberalismo, del socialismo e del marxismo italiani e rappresentano una corrente unica dell’antifascismo italiano. Rosselli avvicinò il liberalismo ed il socialismo italiani a quelli europei.
Per molti versi è opportuno considerare Rosselli un moralista pubblico (senza il sapore puritano che l’espressione ha per il lettore inglese). I moralisti pubblici aspirano ad essere sia più ambiziosi sia meno alienati del critico inteso come agente doppio. Essi cercano di far sentire la loro voce caratteristica nel dibattito intellettuale pubblico. Possiamo vedere Rosselli sia come un profeta ebreo sia come il fautore di una rivoluzione dei santi. Il moralista pubblico emerge in particolare là dove presenta la dittatura fascista ed il tradimento del socialismo nella Russia staliniana come le facce della stessa medaglia, la crisi morale dell’Occidente. Giudicava fascismo e stalinismo moralmente offensivi. In contrasto con Machiavelli, egli rifiutava la separazione tra politica, moralità e cultura.
Le sue idee, eretiche negli anni venti e trenta, oggi sono così diffuse che non è facile coglierne l’originalità. Egli difese il liberalismo aggredito sia da sinistra sia da destra. La differenziazione tra liberalismo economico e politico fu accolta all’epoca con spregio, ma oggi molti l’accettano; la distinzione tra il liberalismo come metodo e come sistema era avvincente. L’idea di un socialismo etico controbatteva gli argomenti dei socialisti scientifici; diversamente da tanti, Rosselli sostenne che occorreva seppellire Marx per far rinascere il socialismo. Rosselli fu tra i primi a comprendere che il fascismo era il fatto cruciale dell’epoca. Formatosi com’economista politico, era fortemente consapevole del potere e del peso che la borghesia continuava ad avere, ma anche conscio dell’importanza di portare il proletariato, gli artigiani ed i contadini sul palcoscenico della storia.
Prima che nascessero i fronti popolari, sostenne che il fascismo esercitava un’attrazione interclassista e che per sconfiggerlo era necessaria un’alleanza rivoluzionaria tra il proletariato, i contadini e la borghesia. Stabilendo un nesso vitale tra liberalismo e socialismo, suggerì una politica nuova riesaminando il ruolo dello Stato e la funzione dei partiti politici. La sua critica dello Stato rimanda ai grandi pensatori anarchici così com’è interessante la tesi che il partito doveva trasformarsi in un microcosmo della futura società socialista.
Norberto Bobbio ha scritto che coloro che si sono dedicati alla causa del socialismo liberale hanno sempre vissuto una condizione d’esilio; per i suoi fondatori, sotto il regime fascista, si trattava d’esilio politico; per i suoi aderenti di un esilio morale nel proprio paese.
Rosselli vide la prima volta il suo primogenito soltanto da dietro le sbarre della prigione, vari mesi dopo la nascita del bambino; gli altri due figli nacquero in esilio. Sua moglie era vittima della depressione, un disturbo che avrebbe afflitto la figlia tanto da contribuire al suo suicidio. <<E’ destino – scrisse Carlo alla moglie – che i nostri bambini nascano nella tragedia>>.
Dal momento in cui intraprese la lotta antifascista, Rosselli sembrò prefigurare la propria fine. Nei suoi scritti le immagini del sacrificio e della morte sono onnipresenti. <<Questo destino nostro e soprattutto mio è frutto di una libera consapevolissima elezione, né saprei concepirlo diverso>>.
Rosselli aveva sposato una posizione intellettuale antitetica e forse inconciliabile, a metà strada tra la sincera fiducia nell’Illuminismo, con la sua esaltazione della dignità dell’individuo, nella fede nel progresso e nell’ottimismo sul futuro, e l’antica convinzione della realtà profondamente tragica della condizione umana.
Scopo principale, delle mie ricerche e della mia elaborazione in questa tesi, è stato delineare la genesi e le origini culturali, sociali e storiche della riflessione rosselliana sul socialismo liberale, la quale ha il suo approdo teorico – conclusivo nell’omonimo saggio scritto durante il confino a Lipari.

Luigi Rocca - Tesi di laurea in Filosofia Politica - Anno Accademico 2001/02 - Relatore: Prof. Giovanni Giorgini
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Ultimo aggiornamento: 02-mag-2008