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cap. 5 - DAL PROCESSO DI SAVONA AL CONFINO DI LIPARI
Le letture politiche
Como, Ustica, Savona e Lipari sono quattro tempi di un’esperienza umana dolorosa, ma nell’insieme costituiscono un periodo di ripensamento culturale, di riflessione critica, di revisione ideologica, che sfocia nel suo libro fondamentale. Gli autori con i quali fare i conti in questo periodo (dicembre 1926- luglio 1929) sono soprattutto Mazzini e Marx, Mondolfo e Gobetti, Croce e De Ruggiero, De Man e MacDonald.
Nel carcere di Savona, Rosselli non può non ricordare le “Pagine tratte dall’epistolario” di Mazzini, pubblicate da Umberto Zanotti-Bianco, e da lui recensite nell’ultimo numero di “Quarto Stato” (30 ottobre 1926). In quella recensione Rosselli aveva scritto: <<Chi prenderà in mano questo libro non lo abbandonerà facilmente, tanta è la luce che se ne sprigiona. Tanto prodigiosa è la rivelazione del carattere e della figura morale del Mazzini. Noi non siamo seguaci del Mazzini. Pure sentiamo che quest’uomo, che non fu capito né in vita né in morte, ha un insegnamento da darci che inutilmente cercheremmo altrove>>.

Mazzini, sconvolto dalla crisi del dubbio del terribile 1837, confessava a Giglioli: <<E nella mia solitudine ho pensato, pensato, pensato: le conseguenze sono, che io non ho fede alcuna nella generazione vivente oggi in Italia; vivrà e morrà schiava. Ma d’altra parte, quanto alle azioni, mi rendo più fermo che mai a giovare all’Italia futura, vivrò e morrò – lo spero, almeno per essa>>.
Sempre Mazzini in una lettera a Giannone: <<Ripiglio con proposito deliberato, incrollabile, quasi feroce, il lavoro per la Giovine Italia. Ritorno al duro lavoro pur sentendo che il deserto mi circonda; unico mezzo a sollevare i miei compatrioti è la speranza>>.
Con orgoglio nell’agosto 1927, Rosselli invia una lettera dal carcere di Savona al giudice istruttore: <<Mi è di conforto e di riprova pensare che questa sostanziale continuità che io rivendico tra la lotta di oggi e quella di ieri, trova un caratteristico riscontro nella storia della mia famiglia. Un Rosselli ospitava nascostamente a Pisa Mazzini morente, esule in Patria. Era logico che un altro Rosselli, a mezzo secolo di distanza, provvedesse a salvare dalla furia fascista uno degli spiriti più nobili e disinteressati del paese>>.
Nei suoi “Ricordi dei fratelli Rosselli”, Alessandro Levi, a proposito del processo di Savona, evocherà il ricordo di Giuseppe Mazzini <<il quale, quasi un secolo prima, proprio nella cella di Savona maturava il disegno della Giovine Italia>>, commentando: <<Il giovane antifascista e socialista, il quale affrontava sereno, quasi spavaldo, il carcere e la sicura condanna, per affermare le sue idee e la generosa solidarietà col Maestro del suo pensiero, era consapevole, ed orgoglioso, di camminare nel solco stesso del Risorgimento>>.
Rosselli conosce il brano delle “Note autobiografiche” di Mazzini, dove si leggeva: <<Ideai in quei mesi di imprigionamento in Savona il disegno della Giovine Italia; meditai i principi sui quali doveva fondarsi l’ordinamento del partito e l’intento che dovevamo dichiaratamente prefiggerci. Tutte le grandi imprese nazionali si iniziano da uomini ignoti e di popolo, senza potenza fuorché di fede e di volontà che non guarda a tempo né ad ostacoli. Da quelle idee io desumevo intanto che il nuovo lavoro doveva essere, anzi ogni altra cosa, morale; religioso; fondato su principi; sul dovere>>.
Si intuisce cosa intende quando scrive il 12 luglio 1927 alla madre dal carcere di Savona: <<Lavoro molto>>. Lavoro molto mentalmente, penso, penso, penso, come Mazzini. Da questa coincidenza di essere rinchiuso come l’Esule genovese, nel carcere di Savona, anche se a distanza di un secolo, si fa luce in Rosselli il progetto politico di una rivoluzione morale, quale risposta al dittatore fascista, paragonabile a quel tiranno, aveva scritto nella sua recensione alle “Pagine tratte dall’epistolario” di Mazzini, <<che nega e cancella col terrore la coscienza di una nazione>>.
Nel futuro vede un nuovo Risorgimento, con personaggi pronti al sacrificio, memori della fede e dell’intransigenza di un Mazzini e di un Pisacane. Il 2 settembre 1927, afflitto nel vedere amici e parenti fascistizzati, con fierezza mazziniana dice alla madre da Savona di sentirsi più alto, anche se isolato in carcere <<a rodersi e disperarsi per lo stato d’Italia>>.
Nella cella di Savona Mazzini confessava che egli si era allontanato dalla scuola straniera del materialismo; Rosselli, nella sua riflessione a Savona, è consapevole che il suo progetto di rivoluzione morale non è di ispirazione materialista. E, forse, la distanza ideologica tra Mazzini e Marx gli appare più chiara pensando al librone di Nello, “Mazzini e Bakunin”.
A pagina 146 del volume di Nello si leggeva: <<Quanto era delicata la sensibilità di Mazzini, tanto era pesante, sorda la sensibilità di Marx, priva di quel senso accorato di umanità, di quella larga simpatia per cui Mazzini è sentito in ogni parte del mondo e, se pur lo si discute, lo si comprende ed ama; Marx si studia e si ammira. Mazzini, profondamente pervaso di spirito religioso, conquistava i suoi ascoltatori col calore della sua personale convinzione, col tono ispirato della parola. Rovesciamo Mazzini e si avrà qualcosa di simile a Marx. Dall’uno non poteva venire che una predicazione di amore; il sogno della solidarietà fra le classi sociali, una dottrina di elevazione morale. L’atro dalla secolare esperienza dell’umanità doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice di ogni vicenda>>.
Mazzini aveva dato la vita per una rivoluzione popolare, ma anche la lotta contro il fascismo, fatta in nome del socialismo liberale, per Carlo doveva essere una rivoluzione popolare; richiamarsi alla Giovine Italia significava giovarsi di tutta la tradizione ideale del Risorgimento.
Anche il socialismo marxista, teorizzato da Rodolfo Mondolfo nella sua opera “Sulle orme di Marx”, si poteva avvicinare all’associazionismo di Mazzini.Nella prefazione alla terza edizione Mondolfo affermava: <<il socialismo non ha mai sognato di essere un sistema dittatoriale, livellatore degli spiriti in un’oppressione e soffocazione della libera varietà delle tendenze e delle esigenze di uno sviluppo attivo. Marx definiva la società socialista come un’associazione, nella quale il libero sviluppo di ognuno è condizione del libero sviluppo di tutti. La storia contemporanea sta confermando al proletariato questa missione di erede della filosofia della libertà>>.
Nel capitolo “Mazzini e Marx” Mondolfo insisteva sulla pedagogia dell’azione, e sull’intendimento dell’uno e dell’altro di suscitare grandi movimenti rinnovatori di masse.Per Mondolfo, anche sulle questioni nazionali, Marx ed Engels non erano in contrasto con Mazzini; in altre parole <<Marx ed Engels riconoscevano l’innegabile realtà e la potenza viva delle nazionalità>>.
Mondolfo voleva anche dimostrare che Mazzini e Marx avevano <<una concezione di tutta la storia passata, come una successione di lotte di classi ed un antagonismo di dominatori e dominati>>; era dalla permanenza delle lotte di classe nella storia che Mazzini vedeva aprirsi la via all’eliminazione di ogni contrasto di classe, di ogni aristocrazia, ed il prevalere dell’eguaglianza tra tutti i cittadini. Per questo Mazzini diventava il sostenitore della libertà per tutti, del progresso per tutti, dell’associazione per tutti.
Nell’ultima parte del suo capitolo “Mazzini e Marx”, Rodolfo Mondolfo sottolineava che l’azione rivoluzionaria nell’esule genovese aveva una finalità morale educativa, perché il progresso è progresso morale ed intellettuale del popolo. La rivoluzione morale del socialismo imponeva <<alle classi lavoratrici il dovere di educarsi, ma di farsi anche educatrici delle classi dominanti>>.
Gli appunti raccolti nel fascicolo tre dell’inserto ottavo ci permettono di datare il primo momento della riflessione dottrinale di Rosselli, infatti le pagine 9 e 10 hanno il timbro delle carceri di Savona, e quindi risalgono alla fine del 1927. L’iniziale progetto di lavoro di Rosselli prevede una prima parte ed una seconda parte, ed i riferimenti principali sono il revisionismo marxista di Mondolfo ed il laburismo inglese. Rosselli scrive:
<<Nella prima parte sviluppare teoricamente questo punto di vista. In sostanza sarà l’interpretazione idealistica con esemplificazioni tratte dalla pratica dando appunto il bilancio.
Nella seconda esporre le linee del rinnovato illuminismo come liberazione feconda della parte dogmatica chiesastica. Il Labour Party>>.
Sempre a proposito del laburismo osserva: <<Ora il proletariato, classe, è mezzo non universale. In questo senso hanno ragione i laburisti, i quali non fanno attore il solo proletariato, ma la società intera, che tutta ed in tutte le sue parti si evolve, e si rifiutano di porre al primo piano il criterio della lotta di classe. La teoria della lotta di classe non è che la trasposizione della legge dialettica alla vita sociale, con un’evidente semplificazione e schematismo della realtà, sotto l’influsso dello schema teoretico>>. E continua: <<Esempio di probità e forza dei laburisti, che pur essendo sempre stati molto realisti, hanno saputo rettificare il tiro prima delle elezioni presentando un progresso realizzatore>>.
Rosselli apre un discorso sugli illuministi che potrebbero essere i socialisti riformisti come i laburisti. A suo giudizio: <<Lottando per la trasformazione, essi dimostrano con ciò stesso di aver fede nell’influsso della volontà umana, liberamente autodeterminantesi. Il determinista sbocca invece fatalmente nella reazione o nella supina accettazione della realtà esistente, appunto perché esistente. L’illuminista deve insistere sul secondo momento, soprattutto oggi, nella concreta situazione, liberandosi del pesante contraddittorio bagaglio treviriano. Gli illuministi riformisti si mantengono ancora tenacemente aderenti alla concezione filosofica treviriana, ma hanno più o meno grandemente riveduto il pensiero economico. Errore, perché tra quella filosofia e quella economia c’è uno strettissimo rapporto. Per quanti sforzi si facciano, il pensiero centrale di Treviri è, e non può essere che determinista>>.
Riformisti e revisionisti non sono riusciti a liberarsi da alcune contraddizioni. <<Bisognerà far quindi un passo ancora coraggiosamente, ed abbandonare la sterile, insulsa pretesa di contraffare il vero treviriano, ringiovanendolo sino al punto di far convergere tutto il suo pensiero posteriore nei quadri del pensiero giovanile donde prese le mosse>>.
Carlo insiste nel criticare la filosofia liberalmarxista di Rodolfo Mondolfo: <<La formula di Mondolfo in pratica non dice nulla. Intanto vi possono aderire tutti. Tutto evidentemente sta nell’interpretare lo stato delle cose e delle coscienze. E questa interpretazione,entro certi limiti, è soggettiva. In pratica voler seguire la formula è condannarsi all’impotenza. Perché l’azione richiede tempestività, adattamento. Il concreto processo storico, come lo delinea Mondolfo, è una storia non vissuta, storia a posteriori, storia da professori. In fondo il vero problema è qui: il socialismo sta nella trasformazione delle cose o nella trasformazione delle coscienze? Il socialismo, inteso come fine, consiste in una trasformazione di cose o di coscienze? Il marxismo senza dubbio accentua il primo termine. Noi il secondo. Gli utopisti esagerano spesso il lato etico, Marx l’economico. Noi cerchiamo il giusto mezzo. Mondolfo erra quando crede di essere nel giusto mezzo, rimanendo entro la posizione finalistica marxista. Noi critichiamo proprio il finalismo marxista>>.
Mondolfo scrive: <<Nell’agitarsi delle forze in movimento entro la società presente, è visibile per Marx e per Engels una direzione verso un fine di alto valore etico, che è rappresentata da quella esigenza di libertà in cui si riassumono l’ispirazione essenziale di tutta la filosofia centrale tedesca>>.
Nel fascicolo tre c’è la minuta della lettera inviata da Carlo a Ugo Guido Mondolfo: <<Mi piacerebbe che Rodolfo si convincesse dell’opportunità di dissociare maggiormente la sua personale posizione da quella dei Dioscuri. A mio parere il tentativo di Mondolfo e di altri di conciliare i due estremi, del materialismo fatalistico e del volontarismo idealistico col concetto del rovesciamento della praxis, non giunge ad una conclusione rilevante e suadente. E’ poi chiaro che, se la sua è la vera interpretazione del marxismo, quest’ultimo si risolve nel liberalismo, in un liberalismo se si vuole più concreto, che guarda alla sostanza del moto ed alla dialettica delle cose, in un liberalismo che identifica con precisione gli agenti del progresso, i centri motori del movimento; ma sempre e solo nel liberalismo. Da quella interpretazione non discende nessuna necessità finalistica: se questo è il nucleo essenziale ed il resto è scoria, tutti possono essere marxisti; il marxismo non è di per sé sufficiente criterio di differenziazione; nella dialettica storica compaiono allo stesso titolo gli elementi conservatori e progressisti, perché ambedue necessari ed inevitabili. Questa mi pare proprio la critica più demolitrice>>.
Sempre nel fascicolo tre tra gli appunti, Rosselli nota: <<D’altra parte nella concezione marxista dello Stato lo Stato è organo di oppressione a favore delle classi dominanti. Davanti a questa oppressione di governo e Stato non è da pensare ad un socialismo come democrazia? Lo strumento attivo per eliminare l’oppressione è la partecipazione attiva dei socialisti al lavoro parlamentare>>.
Si spiega perché Rosselli legge attentamente le “Lecons de Droit public general” di Leon Duguit, dalle quali trae numerosi appunti, e poi stende una recensione: <<Un’abile insinuante attacco contro la teoria democratica dello Stato è dovuta ad un democratico di gran fama, Leon Duguit, autore di un imponente trattato di diritto pubblico. Abbiamo a che fare con uno spirito sensibilissimo ai problemi del nostro tempo, distintosi particolarmente nell’analisi del fenomeno sindacale. Noi non ci sentiamo di far nostro l’accanimento critico del Duguit>>.
Rosselli ha sempre presente la situazione inglese. <<L’origine non solo storica del principio della sovranità nazionale sta nella rivendicazione del diritto di votare le imposte incidenti il diritto di proprietà. Tutti i diritti politici inglesi conservano potente il ricordo della loro origine privata e personale, e si nutriscono quotidianamente dell’esercizio così diffuso del governo felicemente decentrato>>.
Il nocciolo del problema è ben chiaro: Rosselli, antifascista, respinge la conclusione di Duguit che la sovranità dipende dal beneplacito dei governanti. <<Ora la conclusione veramente grave cui giunge il Duguit è la negazione della personalità giuridica degli enti tutelanti interessi collettivi. Ma, partito in guerra contro la teoria dei diritti subiettivi e quella delle personalità giuridiche collettive al confessato scopo di togliere allo Stato ogni specifico attributo di sovranità, finisce per far dipendere il riconoscimento dei diritti degli enti, istituzioni collettive dal beneplacito dei singoli governanti, i quali, non si sa poi su quali basi, il Duguit ritiene non possano governare se non nell’interesse pubblico>>.
Per comprendere il suo orientamento politico ed etico è da chiedersi quanto incise sul suo pensiero dal 1927 al 1929 il liberalismo come dottrina.
Il carcere ed il confino sono due forme di privazione di libertà, e tale privazione in un condannato, convinto della propria innocenza, ed anche dell’iniquità del potere giudicante, porta ad assegnare valore morale alla libertà, quale principio di vita civile. Carlo tra Ustica e Lipari ricerca una teoria morale della libertà, e questa teoria morale la trova in Benedetto Croce, ed anche in Guido De Ruggiero.
E’ soprattutto durante il soggiorno ad Ustica che valuta la filosofia della libertà di Croce. Relegato ad Ustica, Carlo scrive alla madre il 17 giugno 1927: <<Leggo abbastanza. Sono alle prese con la filosofia della pratica di Croce>>. La terza edizione della “Filosofia della pratica (Economia ed etica)” era uscita alla fine del 1922.
In quest’opera, nella seconda parte, Croce esaminava il concetto di utile e la tesi dell’utilitarismo, ma nella prima parte a proposito dell’attività pratica, nel paragrafo I e nel VI, parlando dell’atto volitivo, toccava il problema della libertà.
Carlo, in carcere, riflette sull’affermazione di Croce, a proposito del principio etico, che <<l’uomo morale, in quel che lo trascende in quanto individuo, si volge alla Libertà ed ha questa coscienza di lavorare pel Tutto>>. Per Croce <<il concetto di legge, che ha sempre significato positivo, è estraneo alla coscienza morale effettiva>>.
Carlo vuole approfondire la visione storica della libertà, e ricorre alla “Storia del liberalismo europeo” di Guido De Ruggiero, uscita nel giugno 1925. Il primo capitolo della “Storia del liberalismo europeo” intitolato “Le forme storiche del liberalismo” era dedicato al liberalismo inglese, e, nel paragrafo VI sullo sviluppo liberale, De Ruggiero dava risalto al pensiero di John Stuart Mill; ma importante era il paragrafo VII relativo al riordinamento fatto dal partito liberale inglese per adeguarsi alle nuove esigenze organiche e democratiche: <<la formulazione migliore del nuovo liberalismo inglese del secolo XX è data, a nostro avviso, dall’Hobhouse.
Noi vi ritroviamo, rammodernato, l’insegnamento del Mill e del Green. La libertà si fonda sull’idea della crescenza e della sviluppo. La libertà, così, diviene una necessità sociale. Il diritto al lavoro ed il diritto ad un “living wage” sono altrettanto validi, quanto i diritti della persona o della proprietà. L’operaio che è disoccupato a causa della cattiva organizzazione economica è un rimprovero alla giustizia sociale. Si darà che questo è socialismo. Però, socialismo significa più cose, ed è possibile che vi sia un socialismo liberale, come ve ne è uno illiberale. Così la crescente cooperazione del liberalismo politico e del Labour, che negli ultimi anni ha sostituito l’antagonismo del ’90, ha le sue radici profonde nella necessità della nuova democrazia>>.
L’interesse per l’Inghilterra si confonde con l’interesse per il liberalismo. Il 9 dicembre 1927, dal carcere di Savona, scrive alla madre: <<Vivo nei libri. Il mio ormai vecchio tronco ha scoperto dei terreni nuovi e bellissimi dove protendere le sue radici, e getta nuovi rami e fronde>>. Ed aggiunge: <<Ho tanti progetti di lavoro per il confino>>. Ma sarà possibile scrivere? <<Mi domando di che cosa mi sarà concesso di occuparmi. Mi rifugerò nei regni della filosofia. D’altronde possono riuscire anche utili questi ripiegamenti su se stessi, a patto però di non esagerare>>.
Da questi ripiegamenti nasce l’idea di un libro; un libro dottrinale, pensando alle cose concrete, forse per trovare un equilibrio tra pensiero ed azione. Un’azione, dunque, illuminata dal pensiero.
Si spiega quindi la richiesta rivolta il 16 dicembre 1927, attraverso la madre a Nello, confinato ad Ustica, di avere tutti i libri lasciati colà: <<Mi farebbe un gran piacere a prestarmi la “Storia del liberalismo” di De Ruggiero. Ci deve essere anche un volume di Labriola>>.
Quale lo specifico motivo di riavere almeno in prestito la “Storia del liberalismo” di De Ruggiero? Nella parte II di questo libro De Ruggiero aveva dedicato il III capitolo a “Liberalismo e socialismo”ed un paragrafo alla “Prassi liberale del socialismo”. Si poteva leggere che <<il socialismo è nato con la libertà, si è svolto dalla crisi del liberalismo e si è adattato alle forme di vita dello Stato e della politica liberale. Il socialismo ha cominciato ad imparare la sterilità della violenza, l’importanza del consenso e dei fattori morali in genere nel governo degli uomini>>.
Il 6 febbraio 1928 Carlo Rosselli comunica da Lipari alla madre: <<Ho ripreso tra le mani i due volumi di Rodolfo Mondolfo “Sulle orme di Marx”, e li ho trovati in certe parti più interessanti e stimolanti di quanto ricordassi>>.
Tuttavia, nonostante le restrizioni, dal febbraio 1928, nel secondo momento della sua riflessione, medita di approfondire il rapporto tra riformismo e liberalismo, e dare valore sociale alla Libertà in una repubblica. Si legge, infatti, nel fascicolo II <<Si è tanto insistito sull’elemento della necessità che è venuta l’ora per i socialisti di porre l’accento su quello della Libertà. Tutti i movimenti socialisti europei, sotto l’incubo di questa necessità, hanno perso ogni fiducia nello slancio creativo delle masse>>.

Luigi Rocca - Tesi di laurea in Filosofia Politica - Anno Accademico 2001/02 - Relatore: Prof. Giovanni Giorgini
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Ultimo aggiornamento: 02-mag-2008