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cap. 2 - LA CRISI DEL VENTIDUE
Lo studio intenso
Rosselli, al contrario dei suoi due grandi contemporanei cioè Gobetti ed Antonio Gramsci, per la filosofia non ebbe mai, come il suo maestro Salvemini, né attitudine né passione e al movimento socialista si avvicinò attraverso la mediazione di Alessandro Levi ed il revisionismo di Ivanoe Bonomi; il marxismo apparve fin dai tempi della tesi di laurea come un sistema ideologico chiuso e dogmatico, fermo alla sovranità assoluta delle forze di produzione, escludente qualunque apporto volontaristico.
Ma è innegabile che alla radice della sua polemica contro il marxismo ci sia il primo incontro con l’ideologia socialista, e le forme in cui tale incontro ebbe luogo.

Nello Rosselli

Quel volontarismo ed idealismo di origine soreliana, - con la visione della società dei <<produttori>>, dell’importanza dell’elitès e dell’emancipazione dei lavoratori <<che deve avvenire per mezzo degli stessi lavoratori>> - che pure abbiamo riscontrato in maniera notevole nella tesi di laurea, fu in Rosselli limitato e frenato dall’influenza di un positivismo che il giovane aveva assorbito non soltanto attraverso lo studio dell’economia e della sociologia ma anche a contatto con Gaetano Salvemini ed Alessandro Levi.
E, tuttavia, accanto ai condizionamenti ideologici e culturali, furono le condizioni pratiche dell’esistenza ad influire sul suo cammino. In primo luogo, la città: un centro in rapida espansione industriale in cui il sorgere di una <<nuova classe>> - il proletariato industriale – rappresenta il fenomeno essenziale della società di quegli anni, dove l’ambiente culturale si apriva a poco a poco ai nuovi problemi della condizione operaia per i primi; una città che continuava a vivere in stretto contatto con le campagne e con i problemi dell’agricoltura, dove la società letteraria restava il punto di riferimento obbligato di ogni iniziativa ed al proletariato industriale si guardava da lontano. A questo si aggiunge la sua condizione familiare alto - borghese, la quale gli aveva consentito di potersi rendere conto solo astrattamente dei problemi del proletariato.
Queste circostanze, accanto all’influenza determinante di Turati e di Treves negli anni venti, valgono anche a spiegare il fatto che Rosselli insisterà in varie occasioni sull’importanza delle masse rurali e della piccola borghesia.
Alla fine del 1920 Carlo Rosselli si era recato a Ferrara per iscriversi alla facoltà di giurisprudenza di quell’università, ma l’impressione era stata negativa, sicché il giovane aveva deciso pochi giorni dopo di iscriversi all’ateneo senese dove nel luglio del 1923 avrebbe conseguito con il massimo dei voti la laurea in Legge. Se si tiene conto del periodo assai breve trascorso tra l’una e l’altra laurea, si può dedurre che lo studio abbia impegnato a fondo Rosselli in quei due anni, anche perché aveva scelto per la dissertazione finale un tema di notevole difficoltà: il tentativo di tracciare una teoria economica del sindacalismo.
L’estate del 1921, tuttavia, segna una tappa significativa nella maturazione di Carlo. Lasciati per qualche mese gli studi, Rosselli passa il mese di agosto a Forte dei Marmi dove rinsalda vecchie amicizie, segue sui giornali con estrema attenzione gli avvenimentipolitici.
Carlo sentiva sempre più il <<disagio morale causato dal contrasto fra la sua posizione sociale ed il suo modo di pensare>>: la sua agiatezza diveniva un vero tormento.
D’altra parte, Carlo amava le cose belle; e questa <<contraddizione>> finiva per accrescere il suo disagio in quegli anni. Nell’estate del ’20, i Rosselli si erano trasferiti in quella casa in Via Giusti; <<di questa casa – ricorda Amelia Rosselli – si era innamorato lui per primo. Della nostra casa egli avrebbe goduto da un lato, sofferto dall’altro>>.
Sul periodo che va dall’estate del 1921 al dicembre del 1922, Rosselli scrive in una lettera alla madre del 23 luglio 1921 da Forte dei Marmi: <<Nuovi fatti sanguinosi sono avvenuti, il circolo vizioso continua a svolgersi. Non se ne può più: basta>>. La lettera di Rosselli è indicativa di un certo stato d’animo; egli non fa distinzione tra l’una e l’altra violenza.
Carlo è approdato al socialismo al ritorno dalla guerra e l’adesione ha coinciso con il ripudio dell’ideale interventista e della giustificazione della violenza che esso comportava, e con l’esaltazione del pacifismo. Inoltre egli non si è spogliato dell’educazione liberaldemocratica ricevuta. Ora è comprensibile il disorientamento che lo assale di fronte allo scatenarsi violento della lotta tra fascisti e socialisti. In quel periodo Carlo, lontano ancora dalla lotta politica, risentiva senza dubbio non soltanto della sua formazione ma anche dall’ambiente che frequentava.
Fra tutte queste influenze, appare ancora determinante quella di Salvemini che, proprio a proposito della <<guerra civile>>, aveva scritto nel dicembre 1920 su “l’Unità’ “parole con ogni probabilità condivise da Rosselli: <<E’ necessario che in Italia si formi una corrente d’opinione pubblica, la quale rifiuti ogni solidarietà con i violenti dell’una e dell’altra parte>>.
L’angoscia ed il turbamento che hanno preso Rosselli non segnano d’altra parte un mutamento nelle sue convinzioni essenziali.
Per Carlo, questo è il momento di approfondire i temi che gli stanno in cuore, di mettere da parte gli scrittori “facili” per quelli che “vanno in profondità” e dicono qualcosa di nuovo. A distanza di pochi mesi anche la tesi di laurea sul sindacalismo gli appare provvisoria.
Negli appunti presi da Rosselli nell’autunno del 1921 nell’intento di preparare la pubblicazione della tesi di laurea, tra gli scrittori a cui si rifà per ampliare e correggere il suo lavoro troviamo Robert Michels con la sua “Sociologia del partito politico”, Achille Loria per il suo corso di lezioni d’economia, Rinaldo Rigola per alcuni articoli sulla <<Critica sociale>> e Vilfredo Pareto per “Les sistemes socialistes” e per le “Trasformazioni della democrazia”.
Non è difficile dedurre che il problema al centro delle riflessioni di Rosselli in quel periodo fosse l’assetto futuro della società, ed in particolare il destino delle classi lavoratrici, non soltanto del proletariato o dei contadini ma anche quello della borghesia avanzata, alla quale egli guardava con fiducia e con speranza.
L’opera di Michels lo interessa a fondo ed in uno dei suoi foglietti scrive: <<Trovo che il Michels male adoperi la parola democrazia; se essa significa “governo di popolo” è chiaro che non si può parlare di democrazia in un paese dove essa viene applicata a pochi gruppi, che appunto per tale qualità possono applicare i principi democratici. In sostanza la democrazia non rappresenta un punto fisso, ma solo una tendenza verso quello, per altro irraggiungibile. L’unico reagente che può dar da sperare è la forma di governo federale basata sulle autonomie comunali e regionali>>.
Rispetto alla redazione della tesi, in questo periodo Rosselli - immerso in letture che da poco ha scoperto, cosciente di aver trovato il centro dei suoi veri interessi nell’esame dei problemi politici ed economici – tenta di chiarire meglio a se stesso la consistenza delle tesi che difende.
Si inseriscono probabilmente in questo disegno le letture sulle Cooperative di consumo in Francia, sulle forme di Autonomia comunale vigenti in Italia. Lo studio delle confraternite nel secolo XV° gli suggerisce un’ingenua notazione: <<E’ meraviglioso osservare come la Chiesa, pur avendo il carattere di istituzione conservatrice, abbia saputo adattarsi duttilmente a tutti i mutamenti essenziali; essa sfrutta acutamente il movimento corporativo ai suoi fini con la creazione delle confraternite>>.
Questo periodo segna per il giovane Carlo un’autentica riconciliazione con il mondo della cultura, intesa “sempre strettamente legata alla vita del presente”, politica ed economica.
E’ interessante la breve recensione con cui egli esordisce, nel dicembre 1921, sulla “critica sociale” di Turati e di Treves.
Ancora una volta è Alessandro Levi a dargliene occasione, il quale, giacché in quel momento era molto occupato con la preparazione dell’antologia “Trent’anni di Critica Sociale”, si fece aiutare da Carlo Rosselli. Allora Alessandro Levi, dopo avergli fatto leggere i “Lineamenti della crisi sociale” di un giovane avvocato,
Eugenio Artom, chiese a Carlo di preparare un articolo per la rivista dei riformisti e si preoccupò di farla pubblicare. La recensione riporta il giovane ai problemi della sua prima tesi di laurea: i compiti e l’avvenire dei sindacati nella società moderna.
Dopo una sintetica esposizione delle tesi di Artom, Rosselli esprime la sua opinione. Sottolinea anzitutto il <<singolare processo di superamento dello stato (inteso nel senso di “assetto, ordinamento attuale” che si verifica, segnatamente per opera degli organismi associativi operai, che non a torto il Sorel chiamava “le cellule della futura società in seno all’attuale>> e ritiene che il sindacato <<specie nel campo industriale, si presenta come un vero e piccolo Stato>>.
Rosselli continua dicendo: <<Non stiamo noi forse assistendo ad un vero e proprio dissolvimento dello Stato per opera dei diversi organismi di classe?>>. In conclusione Carlo sosteneva che <<non può accogliersi la conclusione dell’Artom che bisogna ricondurre il sindacato nell’orbita statuale, tentandone la trasformazione da organo di lotta ad organo di produzione; ricondurre il sindacato oggi, con l’attuale ordinamento, nell’orbita dello Stato, significherebbe soffocarne lo sviluppo, togliergli la possibilità di essere ciò che invece è destinato ad essere: l’impalcatura della futura costruzione, le fondamenta del sistema sociale avvenire>>.
Eugenio Artom, l’autore dei “Lineamenti della crisi sociale” volle rispondere ai rilievi del giovane critico e ne nacque, tra i primi di gennaio ed il 15 marzo 1922, un interessante dibattito a distanza non soltanto sull’avvenire del sindacalismo ma in genere sulle prospettive politiche e sulla ideologia socialista.
Rosselli, a quanto appare da una lettera di Artom del 20 febbraio 1922, accetta almeno in parte l’etichetta proposta dal suo corrispondente e, subito dopo, il dibattito si sposta a temi più generali ed astratti, al contrasto tra i due miti dell’individualismo e del collettivismo. Su questo tema, quanto mai astratto e generico, i due punti di vista permangono differenti.
Qui importa sottolineare la tesi centrale sostenuta da Carlo giacché in essa c’è il nucleo di “Socialisme liberal”: <<Ella nega – gli scrive Artom in una lettera del 15 marzo del 1922 – l’antitesi tra solidarismo ed individualismo, tra collettivismo e liberalismo. Ora io sono d’accordo con lei nel riconoscere che il socialismo discende dall’individualismo come uno sviluppo logico. Ma ella dice che il socialismo è l’erede del liberalismo>>.
Nella stessa lettera Artom continua: <<Ella mi sembra anzitutto un poco pragmatista, in ogni caso ella considera tutto sotto l’aspetto dell’azione. Ella mi sembra che più della verità assoluta delle idee per cui combatte, si preoccupi soprattutto della bontà assoluta delle azioni che si ispirano a quelle idee>>. L’osservazione coglie nel segno, Artom ha ragione a rilevare il “pragmatismo” di Rosselli, la febbre d’azione che anima il giovane amico. Nel complesso il carteggio del gennaio – marzo 1922 ritrae bene la crisi ideologica che tormenta Carlo, il suo disorientamento di fronte all’avanzata del fascismo e alla impotenza dei socialisti, la sfiducia che egli incomincia a nutrire nei capi del movimento operaio italiano.
Nei mesi successivi, Carlo è impegnato a preparare gli esami per la laurea in Legge, che conseguirà nel luglio 1923. Politicamente, Carlo è disorientato dagli avvenimenti, insoddisfatto dell’ideologia riformista. Tra i due partiti socialisti, Rosselli non può avere esitazioni: fin dall’inizio ha più volte manifestato la sua adesione alla corrente di Turati, ma la nuova scissione accresce probabilmente la sua sfiducia nella capacità del socialismo di tener testa alle forze di destra.
Ora Carlo si impegna a fondo nella preparazione della tesi di laurea e incomincia a riflettere su quello che farà in avvenire. Il successo conseguito all’Istituto Alfieri, probabilmente, ha contribuito ad indirizzarlo definitivamente verso lo studio dell’economia politica, che fin dal ’19 aveva sentito congeniale ai suoi interessi. Sente inoltre l’esigenza di fare un’esperienza non solo sul piano accademico ma su quello umano e politico fuori dalle mura di Firenze.
Così alla fine di novembre lascia la città toscana per un soggiorno a Torino e a Milano. Ha con sé i biglietti di presentazione che gli hanno fornito Salvemini, Alessandro Levi e Guglielmo Ferrero.
In questa decisione, assieme al desiderio di iniziare il lavoro scientifico sotto la guida di un economista di fama, c’è anche l’esigenza di allargare un orizzonte rimasto per certi versi un po’ ristretto.
Carlo Rosselli arriva a Torino l’8 dicembre 1922; qui trova un’atmosfera apparentemente più calma. E’ attratto sempre più dai problemi politici ed ideologici ma lo angosciano gli ultimi avvenimenti.
Così si impegna a fondo per raggiungere l’obiettivo pratico del momento: trovare un “maestro” per i suoi studi di economia.
Quando, il giorno successivo all’arrivo si reca al “Laboratorio di economia politica”, i professori a cui chiede un colloquio - Luigi Einaudi e Pasquale Jannacone – non hanno molto tempo da dedicargli. Chi gli concede un po’ d’attenzione è Achille Loria, un nome già noto a Carlo per gli articoli sulla “Critica Sociale” e per gli scritti di interpretazione a Marx.
L’incontro con Loria non sarà senza conseguenze: in Loria Rosselli trova la <<critica dell’economia socialista come inconciliabile con la libertà>>, la <<denuncia del misticismo e fatalismo rivoluzionario di Marx e infine l’esaltazione dell’economia mista>>.
A Loria, Carlo era stato presentato da Alessandro Levi; con ogni probabilità Carlo avrebbe deciso di seguirne l’insegnamento se gli amici di famiglia che si recò a visitare non glielo avessero sconsigliato.
Dopo aver fatto leggere un suo lavoro a Jannacone, che ne diede un giudizio positivo – presumibilmente la già ricordata “Teoria economica del sindacalismo” -, Rosselli segue le lezioni di Luigi Einaudi, l’economista che stima di più.
A Torino Carlo trascorre una decina di giorni, per ritornarci poi per altre due settimane nel febbraio del 1923. La città piace subito al giovane fiorentino: scrivendo alla madre il 10 dicembre 1922, la definisce <<assai simpatica, signorile, allegra>>. Qui si dà ad una vita di studio intenso, interrotta da qualche visita ad amici di famiglia e da qualche serata teatrale.
Attraverso la famiglia Lombroso, Carlo conosce Gaetano Mosca che proprio in quel periodo ha finito di scrivere “Elementi di scienza politica” e che sviluppa nei corsi universitari la sua teoria della classe politica e dell’elitès. Dalle lettere spedite alla madre, si trae l’idea che le lezioni di Mosca colpirono profondamente il giovane, nel quale trovava l’accettazione del moderno regime parlamentare.
Ma è fuori dell’università che avvengono gli incontri più proficui e indicativi per Rosselli. Ha modo di frequentare Mario Fubini, conosciuto a Firenze l’anno prima assai vicino in quel periodo a “La rivoluzione liberale” di Gobetti.
Con Fubini, Carlo fa lunghe passeggiate e per rendersi conto delle condizioni di vita del proletariato industriale, si spinge nei quartieri operai di Torino: c’è in questo un’autentica esigenza di allargare l’orizzonte fiorentino, il tentativo di comprendere la tematica operaista dei gobettiani.
Fin dall’inizio solidale nella netta opposizione alla dittatura fascista, d'altronde, Gobetti e Rosselli avevano giudicato in maniera differente la crisi del dopoguerra. Per Piero Gobetti la guerra civile aveva segnato un passo innanzi rispetto alla vecchia morta gora giolittiana.
Rosselli aveva visto nella guerra civile il dissolvimento dello stato ma anche il fallimento della faticosa ascensione proletaria. L’incontro con Gobetti avvenne, per la prima volta, nel dicembre del ’22; l’impressione fu positiva al punto che le visite in Via XX settembre si fecero frequenti. Gobetti propone assai presto a Rosselli di collaborare alla rivista e questi accetta con entusiasmo.
Per sei mesi, dal dicembre del ’22 al giugno del ’23, Rosselli ondeggia tra il pessimismo più amaro e la volontà di agire; un alternarsi di speranze e scoramento.
Dopo aver trascorso altri 15 giorni a Torino tra febbraio e marzo 1923, Rosselli torna per alcuni mesi a Firenze.
L’esperienza torinese fu molto utile, per Rosselli, perché gli fece capire meglio quale tipo di ricerche lo interessasse.
Tornando a Firenze, Carlo si dedica ad organizzare con Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Piero Jahier ed altri, il Circolo di Cultura che proprio nel febbraio ’23 si trasferisce al numero 27 di Borgo Sant’Apostoli ed allarga la propria attività. Nella circolare a stampa diffusa al momento di trasformare le riunioni periodiche in un’associazione dotata di statuto e di una propria sede, si sottolinea l’intento di costituire <<un circolo di cultura, apolitico, aperto a tutte le libere correnti del pensiero moderno>> che orienti i giovani su una serie di problemi storici, economici e sociologici.
In realtà, si ha modo di constatare l’impostazione chiaramente antifascista delle riunioni. Guglielmo Ferrero, Gaetano Salvemini, Alessandro Levi, Riccardo Dalla Volta, Piero Calamandrei sono tra i relatori delle serate ed a Rosselli spetta il compito di illustrare un tema a lui caro: <<Sindacalismo e rappresentanza politica>>.
In questi ultimi mesi di soggiorno a Firenze, con il progressivo peggiorare della situazione politica, Carlo sente sempre più vivo il desiderio di agire ma i modi d’azione che sceglie rispondono ad una concezione intellettualistica della vita politica: conferenze, dibattiti.
Chiara testimonianza di questo stato d’animo in questi anni è una lettera inviata a Firenze il 22 giugno 1923 a Novello Papafava, un giovane liberale. <<Io non credo però alle possibilità liberali del nostro paese – scrive Rosselli – che ad un patto: che dello spirito liberale si vadano informando i partiti a più diretto contatto con le masse, soprattutto il socialista. Io lavorerò in questo senso ad una revisione in senso liberale dei metodi socialisti>>.
Nella lunga lettera, Rosselli insiste anche sulla differenziazione tra unitari e comunisti che, a suo avviso, dovrebbe consistere nella ripulsa da parte dei primi “dei mezzi violenti” e “nell’affermazione del metodo liberale”, disegna infine una possibile coalizione antifascista.
Nel luglio 1923, subito dopo essersi laureato in legge a Siena, Carlo si reca a Genova per conoscere l’economista Attilio Cabiati, a cui lo presenta Gaetano Salvemini. A Rosselli collaborare con Cabiati interessa anzitutto per la stima di cui esso gode, poi perché si è occupato a lungo dei problemi economici del sindacalismo operaio, infine per la sua posizione antifascista, vicina al socialismo riformista di marca turatiana. Cabiati gli promette il posto d’assistente volontario all’Istituto d’Economia Politica alla Bocconi a Milano per l’anno accademico 1923 –24 e lo esorta a proseguire le ricerche necessarie per fare della tesi di Siena, sulla teoria economica del sindacalismo, un lavoro scientifico.
Da quest’esigenza di studio, ma anche dal desiderio di guardare da vicino il socialismo inglese, ha origine un soggiorno di circa due mesi nella capitale inglese dall’agosto all’ottobre.
Le prime tre settimane di soggiorno inglese sono dedicate alle riunioni della società fabiana: Rosselli ha incontri con i maggiori esponenti di quel gruppo dai Webb a Cole, allo storico Tawney e partecipa alle conferenze; infine giunge a Plymouth per assistere ai lavori del congresso annuale delle Trade Unions. Osserva con curiosità il comportamento degli inglesi, il loro modo di ragionare e ne apprezza la <<poca, anzi punta retorica, semplicità, chiarezza, qualche volta humour>>.
Ma, durante le settimane fabiane, Rosselli ha anche modo di verificare nella discussione idee e teorie che aveva appreso, e magari accettato con entusiasmo, sui libri, di conoscere e di giudicare gli uomini che hanno influenzato a fondo la nascita e l’ideologia del Labour Party.
L’impressione che egli trae da quegli incontri e, nel complesso, positiva: l’ascesa dei laburisti, l’empirismo dei socialisti inglesi che rifiutano ogni dogmatismo d’origine marxista sono tutti elementi che lo inducono a guardare al laburismo ed all’ideologia a cui il movimento s’ispira, come alla soluzione socialista dell’avvenire.
L’incontro con i Webb lo interessa molto; in realtà ciò che lo impressiona maggiormente è l’atmosfera di civiltà in cui si svolge la lotta politica in Inghilterra, l’apparente mancanza di scosse attraverso cui la classe lavoratrice si avvicina gradualmente alla conquista del potere.
Il secondo mese di permanenza all’estero è dedicato alla London School of Economics: nella fornitissima biblioteca, Carlo può consultare l’immensa letteratura sul sindacalismo esistente in Inghilterra, approfondire la conoscenza della scuola economica marginalista di Cambridge che fa capo ad Alfred Marshal ed a Pigou, percepire i primi fermenti rivoluzionari del pensiero Keynesiano.
Quando torna in Italia e si stabilisce a Milano, Rosselli ha individuato le linee essenziali del discorso che vuol sviluppare.
Il tentativo di collegare gli interessi delle organizzazioni sindacali dei lavoratori ad un nuovo assetto economico, più giusto e razionale, dell’intera società ispira Rosselli in una serie di scritti dedicati al sindacalismo. Egli vuol combattere quella concezione dogmatica del liberismo in nome della quale si nega alle organizzazioni operaie il diritto di perseguire l’unità sindacale; in particolare contro la necessità di uno stretto legame tra esso ed il liberalismo politico, e contro la sua applicabilità al campo sindacale.
In quattro articoli apparsi tra il febbraio 1923 ed il maggio dell’anno successivo, il liberismo di Luigi Einaudi è sottoposto ad una critica serrata.
Dopo aver riconosciuto le “deviazioni oligarchiche e parassitarie” d’alcune organizzazioni operaie specie per il passato, Rosselli affronta ne “La lotta di classe nel movimento operaio” ed in “Per la storia della logica” il problema dell’unità sindacale.
Dogma fondamentale della scuola liberale e liberista, egli scrive, è sempre stato <<il libero gioco delle forze economiche>>. Di qui la polemica contro l’organizzazione dei lavoratori in sindacati autonomi, sorti al fine di limitare, la concorrenza, nel campo della manodopera.
Soltanto dopo aver tentato con ogni mezzo di ostacolare il successo dei sindacati, gli economisti liberali riconoscono <<l’utilità soggettiva e sovente oggettiva, alcuni financo la necessità delle organizzazioni operaie>>: <<affermano dunque l’utilità e la necessità che alla concorrenza dell’offerta si opponga la solidarietà dei detentori della cosiddetta merce – il lavoro. Si riconosce esplicitamente che vi sono casi nei quali è necessario porre un argine artificiale al libero gioco delle forze economiche, alla concorrenza sfrenata>>. Ma appena <<per motivi prevalentemente politici e per compiacente incoraggiamento padronale>> la lega unitaria operaia si scinde in più sindacati, ecco che gli economisti liberali <<proclamano essere principio fondamentale quello della libertà d’organizzazione, doversi mantenere la concorrenza nel campo operaio!>>.
Gli economisti liberali addirittura, continua Rosselli, <<si sforzano di convincere le organizzazioni operaie a muoversi sul terreno della libertà d’organizzazione nel loro proprio interesse>>. Ma qui sono in aperta contraddizione poiché <<una volta ammesso che le leghe operaie sorsero e sorgono con l’intento precipuo di eliminare la concorrenza, si deve logicamente affermare che è naturale, giusto, necessario, che esse tendano al monopolio>>.
Altra contraddizione degli economisti liberali è quella di deplorare <<i colposi fenomeni di parassitismo di ceti capitalistici ed operai sfruttatori della collettività attraverso i dazi doganali>>, senza rendersi conto che tali fenomeni sono proprio la conseguenza della divisione dei lavoratori in più sindacati e del principio della “collaborazione di classe”.
<<Gli economisti liberali – è la conclusione di Rosselli – desiderano il contrasto per poi negare non solo la lotta di classe, ma financo l’esistenza di un dissidio. Negano la lotta di classe per riconoscere invece quella, assai più pericolosa per gli interessi, di categorie particolari>>.
Rosselli si convince che c’è un solo mezzo, perdurando il sistema capitalistico, per evitare l’estendersi degli inconvenienti lamentati: ed è proprio la lotta di classe tra lavoratori, raccolti in un sindacato unitario, e datori di lavoro. Nel mondo d’oggi, infatti, la lotta di classe non è solo uno strumento di difesa del proletariato ma anche “una funzione utile e necessaria” per tutta l’economia, per gli interessi generali della collettività.
Per dimostrare una simile tesi, Rosselli richiama l’attenzione dei lettori sull’evoluzione dell’industria mondiale che favorisce la formazione di monopoli e di trusts sempre più potenti contro cui nulla possono i consumatori. Sta sorgendo, scrive Rosselli <<una nuova originale dinastia che, attraverso il dominio della vita economica del mondo, già dirige segretamente la politica delle democrazie d’Europa e d’America>>. Se questo è vero, <<l’ultima trincea che resta è quella del corpo organizzato dei produttori.
Quanto più vasta ed unitaria sarà l’organizzazione dei produttori, tanto più il suo interesse s’identificherà con quello della massa consumatrice. Per un gioco che appare dialettico si può affermare che la migliore difesa dei consumatori può essere raggiunta solo attraverso la loro coalizione in veste di produttori, vale a dire nel lato positivo dell’attività umana>>.
La posizione di Rosselli si distacca dunque dalle altre di parte socialista riformista perché egli, sulla base dell’ordinamento capitalistico esistente, vuol dimostrare l’utilità della lotta di classe e dell’unità sindacale.
Gli elementi originali dell’analisi risiedono, secondo Nicola Tranfaglia, nell’insistenza sul legame produttori-consumatori e sul pericolo dei monopoli nella società contemporanea.
Si spiega dunque la secca, elusiva replica scritta da Luigi Einaudi con il titolo “Esegesi delle fonti”. Einaudi nega che il dogma della libera concorrenza informi gli scritti degli economisti liberali e afferma che, semmai, questi ultimi, constatati i danni del protezionismo, si battono sul piano politico per un regime liberistico.
In “Contraddizioni liberiste”, Rosselli ha buon gioco a ribadire le proprie critiche. Rosselli chiarisce che l’organizzazione operaia anche se unitaria non può mai giungere, in regime capitalistico, il monopolio completo della manodopera.
A Luigi Einaudi, Rosselli rimprovera di aver assunto un atteggiamento contraddittorio sul tema della collaborazione e della lotta di classe. Infine, Rosselli insiste sul tramonto della libera concorrenza e sul dogmatismo di molti economisti liberali: <<Troppo spesso si è disprezzato un elemento fondamentale, il costo della concorrenza, la perdita secca che ne risente la società in energie, in fattori produttivi>>.
La polemica con Einaudi riprende più di un anno dopo nel maggio del 1924 con un articolo su “Luigi Einaudi ed il movimento operaio”. Recensendo il volume di Einaudi, “Le lotte del lavoro”, Rosselli ribadisce le sue critiche ed accusa Einaudi di assumere a premessa essenziale dei suoi ragionamenti la superiorità del sistema capitalistico su ogni altro sistema economico.
Su due punti Rosselli insiste in quest’articolo: lo stretto indispensabile legame tra fatto politico e fatto sindacale, il diritto delle masse lavoratrici a partecipare alla direzione della produzione. Egli vede nell’autogoverno dell’industria il traguardo a cui devono mirare i lavoratori: ma – sottolinea – gradualmente, attraverso conquiste parziali.
L’altro tema a cui Rosselli dedicò i suoi scritti politici nel periodo che va dall’estate 1923 al delitto Matteotti è il dibattito sulla revisione ideologica del socialismo. Ma, prima di analizzare quegli scritti, sarà forse opportuno seguire Carlo nella sua esperienza d’assistente alla Bocconi e nei suoi contatti politici a Milano nell’inverno 1923 – 24.

Luigi Rocca - Tesi di laurea in Filosofia Politica - Anno Accademico 2001/02 - Relatore: Prof. Giovanni Giorgini
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Ultimo aggiornamento: 02-mag-2008