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cap. 2 - LA CRISI DEL VENTIDUE
L’esperienza universitaria
L’insegnamento alla Bocconi sotto la guida di Attilio Cabiati e di Luigi Einaudi fu assai stimolante per Rosselli. Carlo ebbe modo di conoscere Piero Sraffa, figlio del rettore della Bocconi, che insegnava economia all’università di Perugia e tornava a Milano a fine settimana.
Per Rosselli, l’esperienza fu preziosa non solo dal punto di vista scientifico ma anche contribuì a vincere la sua difficoltà a parlare in pubblico.

Fratelli Rosselli

Poco dopo il suo arrivo a Milano giunse a Carlo l’invito da parte dell’università proletaria – un’istituzione controllata dai socialisti unitari – di svolgere un corso d’economia politica in dieci lezioni. L’offerta gli venne dai dirigenti della CGL e del partito socialista unitario e Rosselli l’accettò con grande entusiasmo. Ma, accanto al lavoro scientifico e didattico, Carlo seguiva con passione gli avvenimenti politici e prendeva parte da vicino all’attività del partito socialista unitario. Rosselli, in realtà, dagli inizi del ’24 partecipava a Milano alle principali manifestazioni del partito.
Ma l’adesione formale del luglio ’24 non fu soltanto provocata dallo sdegno per il delitto del regime; si rivelò piuttosto come la naturale conclusione di un noviziato politico iniziato anni prima e portato avanti, attraverso discussioni, incontri, contrasti nell’inverno 1923-24 a Milano.
E’ probabile che all’accostamento sempre più stretto di Rosselli al partito unitario abbia contribuito in misura non trascurabile il ruolo di leader assunto nell’ultimo anno della sua vita da Giacomo Matteotti. Matteotti dovette apparire a Rosselli un politico che comprendeva, meglio di tutto il gruppo dirigente, le istanze della nuova generazione. Anche dal punto di vista ideologico, Rosselli non dovette sentire lontano da sé il giovane deputato di Fratta Polesine, che pur proveniva da diversa formazione politica e culturale.
Come Rosselli, infatti, Matteotti, gradualista e democratico per ragioni morali e di principio, non accetta vincolanti pregiudiziali di metodo: ci sono circostanze in cui rompere la barriera della legalità è doveroso; ci sono circostanze in cui è d’obbligo l’intransigenza, in altre la collaborazione. La restaurazione democratica, comunque essa si raggiunga, deve ricreare le condizione nelle quali ciascun partito riprende a svolgere la propria parte e ad esercitare la propria funzione. Gli elementi che legano di più il discorso di Rosselli a quello di Matteotti sono soprattutto due: l’insistenza sulla restaurazione democratica, l’assenza di pregiudiziali di metodo e l’accettazione dell’illegalismo, se necessario.
A Milano, Rosselli frequentava tutti i leaders del Partito Socialista Unitario ma è soprattutto vicino ad un gruppo di giovani esponenti della sinistra del partito che fa capo a Roberto Veratti, Nino Levi, Antonio Greppi. Questi giovani sono tutti d’accordo sulla necessità di infondere uno spirito nuovo, di combattimento, al partito ma ritengono, ancora nel ’24, di poter conseguire quest’obiettivo senza una rottura di fondo con il vecchio gruppo dirigente. La loro polemica e il giornale che ne rappresenta gli umori, il quindicinale “Libertà!”, tendono appunto a rinnovare dall’interno il socialismo riformista insistendo sul significato della libertà e sul rifiuto della violenza che, anche a giudizio di Rosselli, erano punti fondamentali per la rinascita socialista.
Il 20 gennaio 1924, Rosselli segue Turati e tutto il gruppo dirigente unitario a Torino dove il vecchio leader socialista pronuncia un discorso al teatro Scribe. Ma Carlo è scettico sulle possibilità degli unitari.
In questo stato d’animo, che oscilla tra la speranza ed il crescente pessimismo, Carlo trascorre i mesi che precedono il delitto Matteotti.
Sono di questo periodo gli articoli sulla revisione ideologica del socialismo e quelli sul movimento operaio inglese. Nei suoi scritti, Rosselli esamina essenzialmente tre aspetti complementari del problema cercando di rispondere ad interrogativi che sente con particolare urgenza: fino a che punto è valido il pensiero marxista? E’ possibile operare una sintesi tra ideali socialisti e metodo liberale? A quali risultati è giunto il socialismo inglese che ha accettato il metodo liberale?
Preceduto da una nota della “Critica Sociale” che apprezza la nobile passione e la santa irrequietezza spirituale dell’articolista, appare sulla rivista di Turati e Treves “Bilancio marxista: la crisi intellettuale del partito socialista”, in cui Rosselli attacca a fondo l’ideologia ufficiale del movimento. Ribadendo una tesi salveminiana, egli afferma che da <<almeno 15 anni, il movimento socialista in Italia è stato colpito da paralisi intellettuale>>.
Tale crisi, secondo Rosselli, deve <<ricercarsi nella diffusione della dottrina marxista nel nostro paese. E’ avvenuto, infatti, che da una parte si è guardato in maniera dogmatica al marxismo come a verità assoluta, ma dall’altra esso è giunto e si è diffuso nel partito attraverso le più disparate revisioni ed adulterazioni: da Kautsky a Bernstein, da Sorel a Rodolfo Mondolfo; si ebbero così tutti i mali di una rigida codificazione autoritaria affidata in concreto alle opere di Marx, e tutti i mali della libera interpretazione>>.
Ma nessuno, eccetto Bernstein <<che in questa questione vide più acutamente d’ogni altro>>, tentò un bilancio di ciò che del marxismo poteva ancora dirsi valido dopo il revisionismo di destra e di sinistra. Eppure in concreto <<alla definitiva condanna della teoria del valore doveva seguire quella delle crisi, della miseria crescente, dell’accentramento capitalistico, della scomparsa delle classi medie, della dittatura del proletariato>>. <<In una parola – osserva Rosselli – si respingeva tutto ciò che costituiva la parte positiva del socialismo marxista. Si veniva così chiaramente delineando una distinzione tra l’opera del Marx scrittore e l’opera di Marx uomo di parte, di fede e di passione. Che cosa dunque rimaneva? Io direi che rimanevano pressoché intatti i due capisaldi del pensiero marxista: materialismo storico e lotta di classe>>.
Ma negli ultimi 50 anni tanto la teoria economica della storia quanto la teoria della lotta di classe sono stati acquisiti quali valori alla critica moderna. E qui Rosselli, rifacendosi esplicitamente a Croce, sottolinea che si può essere marxisti senza essere socialisti, e che dunque <<il marxismo ci appare oggi più come un principio metodico per l’interpretazione della storia>>.
Si direbbe un ripudio integrale di Marx: <<meglio mille volte meglio – conclude Rosselli – un sano empirismo all’inglese che questo cieco dogmatismo>>.
Del resto, aggiunge Rosselli, <<i socialisti gradualisti e democratici sono in profondo contrasto con tutto lo spirito informatore dell’opera marxistica>>. E, in genere, un partito socialista ha tutto da perdere dal seguire l’ortodossia marxista: e qui fa due esempi significativi, la rivoluzione russa ed il fascismo. La prima <<si è ribellata alle formule marxistiche, in quanto è scoppiata in un paese di civiltà arretrata ed in un periodo in cui non c’era certo sovrapproduzione>>.
Ora <<dal punto di vista riformista>> l’importante è denunciare <<l’assenza di un regime democratico e liberale, senza per altro mai dimenticare quelle che possono essere state le dolorose necessità storiche di un moto rivoluzionario in un paese come la Russia>> anche perché <<è certo che restano sempre da compiersi, nel solco di quella rivoluzione, sforzi utilissimi in senso socialista>>.
Quanto al fascismo, Rosselli sostiene che la sua vittoria dimostra <<l’impotenza socialista anche dal lato intellettuale>> : <<in molti socialisti tra il 1919 ed il 1922, era troppo chiara l’influenza di quel fatalismo cosiddetto marxista, che deriva da un’erronea interpretazione degli scritti di Marx>>.
Quello che Rosselli propone come rimedio è la dissociazione tra marxismo e socialismo , la concessione di un’ampia libertà intellettuale all’interno del partito una volta <<genericamente accettati i metodi e gli scopi>> di esso; infine un’opera di proselitismo tra i gruppi giovani <<desiderosi di far confluire in un movimento di masse le loro aspirazioni ideali e la loro volontà d’azione>>. <<Per quanto in numero limitato – afferma Rosselli – essi costituiscono una grande forza>>.
Al bilancio rosselliano, Mondolfo oppone una replica benevola ma ferma.
Lo scrittore socialista individua esattamente il punto debole della critica rosselliana nel pericolo per i socialisti di ricadere nella predicazione di un ideale astratto, utopistico, lontano dalla realtà.
<<La potenza storica del socialismo marxista – osserva Mondolfo – è consistita in ciò: che ad un’azione pratica essa forniva l’adeguato fondamento, in quanto intendeva essere concezione critico – pratica di un processo storico, che ha una sua necessità in quanto risponde alle esigenze incoercibili delle masse proletarie; il marxismo era ed è soprattutto la coscienza storica del movimento proletario: concezione critica fatta guida e norma all’attività pratica>>.
Quanto alla rivoluzione russa, il filosofo riformista vi vede appunto l’errore di un’azione politica che non ha tenuto sufficiente conto delle condizioni reali in cui doveva operare: a Rosselli, Mondolfo obietta che la storia recente dell’Unione Sovietica dimostra l’impotenza di un volontarismo che non tenga nel giusto conto la situazione delle forze produttive.
Nelle sue “Aggiunte e chiose al bilancio marxista”, Rosselli chiarisce e corregge alcune affermazioni del suo primo articolo. Ma ribadisce i punti centrali della sua analisi e soprattutto insiste sul valore di revisione che hanno gli scritti di Mondolfo, sottolineando al coesistenza di teorie contraddittorie nell’ambito della scuola marxista.
Alla luce di questa esperienza, scrive Rosselli, occorre una revisione che faccia del marxismo il credo di uno o più gruppi socialisti.
<<Borghesia e proletariato – egli afferma – non sono più due blocchi uniformi di forze. I due elementi discordanti appaiono per alcuni versi anche intrecciati. Noi dovremmo, invece, insistere più particolarmente nella lotta contro il regime, sull’assetto economico-politico-giuridico che produce, accanto alla malattia plutocratica, tutti i mali della società contemporanea>>.
La diagnosi, di chiaro sapore bernsteiniano, serve al giovane per rilanciare quel socialismo etico, non classista che gli sta a cuore: <<Un po’ più di fede ed un po’ meno di scienza. Oggi particolarmente è necessario tornare piuttosto a quel senso religioso del socialismo che caratterizzarono la prima fiammata ideale. Alle dimostrazioni scientifiche si può credere fino ad un certo punto.
Allorché l’avversario viene identificato in un regime composto di complessi elementi economici, etici, giuridici, regime che vive anche in noi medesimi che lo combattiamo, l’esigenza gradualistica (che significa voler costruire sui fatti), l’esigenza liberale (che significa educazione, tolleranza, vittoria su se stessi), l’esigenza morale, finiranno per imporsi logicamente. Oggi almeno questa rettifica, nel senso di dar più peso alle esigenze morali ed alle tendenze volontaristiche, s’impone>>.
L’ultima frase è rivelatrice dello stato d’animo rosselliano: <<Oggi è assai preferibile un’utopia premarxista, purché antifascista. Al dogmatismo deve succedere il criticismo, al monopolio la concorrenza intellettuale>>.
Negli scritti citati, il discorso ideologico e quello politico, legato alla lotta antifascista, coesistono senza riuscire a fondersi in maniera soddisfacente. Nicola Tranfaglia sottolinea, a ragione, che già in questi articoli debba parlarsi di un vero distacco dal marxismo come dottrina del socialismo.
Aldilà di questa disputa con Mondolfo, c’è da chiedersi in quale contesto possa collocarsi la posizione di Rosselli nel biennio 1923-24 ed in quale rapporto sia con i tentativi revisionistici di quel periodo e con il pensiero di Rodolfo Mondolfo.
Da una parte Rosselli si batteva per quelle che egli definiva un’attenuazione del carattere classistico del socialismo: sicché non è un caso che tra gli autori a cui il giovane si rifaceva si trovassero Mazzini, Proudhon, i Fabiani; dall’altro difendeva con vigore la necessità della lotta di classe nel sistema capitalistico. Del resto, ancora nel ’24, Rosselli sembra incerto tra la proposta di una propaganda socialista che non insista sul classismo e quella di un abbandono vero e proprio del medesimo: c’è in quell’incertezza la rivoluzione di un pensiero che si sta evolvendo.
Ma, tra i giovani della generazione a cui apparteneva Carlo, era iniziato proprio su “Critica Sociale” e su “La Rivoluzione liberale” un discorso sul marxismo che respingeva definitivamente la versione deterministica ed economicistica del Marx interpretato da Loria e, attraverso Mondolfo ed Arturo Labriola, tendeva a riallacciarsi alla sua opera solitaria di autentico interprete del genuino pensiero marxista in Italia.
Gli articoli di Rosselli si collocano, dunque, in un momento nel quale si svolge un dibattito che vede prevalere l’esigenza di una revisione antidogmatica, idealistica e volontaristica di Marx; Rosselli comunque, al contrario dei suddetti autori, si orienta verso il rifiuto integrale del sistema. C’è da chiedersi ancorauna volta perché.
Quando nel ’23 uscì dall’editore Cappelli la terza edizione della classica opera di Rodolfo Mondolfo “Sulle orme di Marx”, Carlo Rosselli in una delle sue lettere giudicava di tale importanza e valore, il contributo di Mondolfo alla formazione di una filosofia del socialismo, da ritenerlo completamente autonomo dal pensiero di Marx.
In realtà, ad analizzare gli articoli rosselliani del 1923-24, l’influenza di Mondolfo su Carlo è predominante sul piano teorico.
Rosselli trova in Mondolfo l’esigenza gradualistica di un progresso che poggi prima di tutto sulla maturità delle masse, <<il senso della continuità dei valori liberali confluenti nel socialismo>>, l’insistenza sull’opportunità della collaborazione tra borghesia e proletariato e persino l’accentuazione della esigenza morale e universalista del socialismo. Ma quello che differenzia il maestro e l’allievo è l’atteggiamento di fondo con cui l’uno e l’altro affrontano l’analisi del pensiero di Marx.
Rosselli, commentando lo scritto di Mondolfo del 1913 “Socialismo e filosofia”, definisce l’aspirazione verso un socialismo scientifico sostenuta dal filosofo marxista, un’aspirazione grottesca. Ed in successive annotazioni osserva che <<è sommamente pericoloso, il voler legare un movimento sociale di tale estensione ad una scuola, a una moda filosofica>>.
Il contrasto non scaturisce soltanto dall’empirismo rosselliano, ma da una concezione differente dei rapporti tra pensiero ed azione: c’è in Rosselli una subordinazione della dottrina alla lotta.

Luigi Rocca - Tesi di laurea in Filosofia Politica - Anno Accademico 2001/02 - Relatore: Prof. Giovanni Giorgini
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Ultimo aggiornamento: 02-mag-2008