DALLA CREAZIONE ALLA CADUTA. ANALISI DEL GENESI


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CONCLUSIONE

Masaccio, Cacciata dal paradiso terrestre (part.), Cappella Brancacci, Firenze
Masaccio, Cacciata dal paradiso terrestre (part.), Cappella Brancacci, Firenze

La religione nasce quando i problemi della vita vengono percepiti come troppo difficili da affrontare con soluzioni di tipo naturale. Quanto più le contraddizioni si acuiscono, tanto più, in assenza di progetti alternativi all'antagonismo sociale, si cerca di risolverle in maniera astratta o riduttiva, trasformando le proprie aspettative in un'istanza sovratemporale, in cui l'azione riparatrice di qualcuno viene considerata miracolosa.

In una situazione di così forte disagio socio-esistenziale è facile elaborare un culto dei propri morti, al fine di guadagnarsi la loro protezione. Ma è solo nel passaggio da tale culto al politeismo che la religione diventa uno strumento nelle mani del potere, un diversivo con cui tenere le masse lontane dall'idea di poter rivendicare qualcosa.

I racconti che narrano il passaggio dalla creazione alla caduta possono essere letti anche come il tentativo da un lato di fare del singolo un criterio di verità e, dall'altro, di abbellire con forme illusorie il dramma del fallimento di questo criterio.

Pur parlando di riconciliazione della creatura col creatore, la religione contribuisce a tenere l'umanità il più lontano possibile dalle proprie origini.

Il racconto della creazione, descritto nel Genesi, è in tal senso emblematico. Esso fu scritto quando lo schiavismo era prevalente e l'autore s'immagina un periodo in cui ancora esisteva il collettivismo egualitario, cui l'uomo rinunciò volontariamente, sotto la propria responsabilità, senza poter ovviamente immaginare tutte le conseguenze di questa decisione.

Il testo, in origine, voleva essere laico, in quanto Dio, nella descrizione che se ne fa, non appare più grande dell'uomo; successivamente però esso è stato manipolato da una mano religiosa, probabilmente in un momento in cui si dava per scontato che lo schiavismo non poteva essere più superato, ritornando alle origini.

L'esigenza di credere in un Dio diverso dall'uomo era conseguente al fatto che l'uomo, essendo schiavo, non riusciva più a credere in se stesso. E in questo generale sentimento di mortificazione i sacerdoti avevano buon gioco nel prospettare consolazioni illusorie.

Che il testo sia nato “laico” lo si nota in tutta una serie di strane espressioni, come p.es. “facciamo l'uomo”, “a nostra immagine e somiglianza”, “lo spirito aleggiava sulle acque”, “il settimo giorno si riposò”, “Dio passeggiava nel giardino”.

“Facciamo” indica una decisione collettiva, incompatibile con la monarchia divina (che nell'ebraismo ha un carattere assoluto, così come nell'islamismo), e può anche rimandare a una contestuale presenza femminile, all'origine della creazione (che peraltro nel testo è creazione della terra e del suo sistema solare, non dell'universo, la cui eternità e infinità viene data per scontata).

Ciò inoltre è confermato dal fatto che la parola “uomo” non voleva affatto dire “maschio”, ma maschio e “femmina”: “uomo” e “uoma”, si dovrebbe tradurre.

Che in origine ci sia un elemento femminile è palese, in lingua ebraica, anche là dove è scritto che “lo spirito aleggiava sulle acque”. Lo spirito (ruah) non è di genere maschile o neutro, ma è proprio femminile.

Dunque “a nostra immagine e somiglianza” può voler dire soltanto alcune cose molto precise (come d'altra parte è precisa la formulazione tecnica che l'autore ha voluto usare):

- all'origine dell'universo esiste una differenza di genere: non c'è l'uno ma il due, la coppia non il singolo, e quel “nostra” non è un generico plurale maiestatis, che anche un singolo potrebbe usare, ma proprio il concorso di entità diversificate;

- l'essere umano (di genere diverso) era simile a chi l'aveva generato (infatti si tratta di “generazione” non di “creazione” dal nulla);

- non esiste alcun Dio che possa andare oltre le caratteristiche umane. Il “soffio vitale” indica appunto l'immortalità dell'essere umano, la sua capacità di distinguersi da ogni altra cosa vivente sulla terra.

Il fatto poi che un Dio abbia bisogno di “riposarsi” dalla sua fatica, non gioca certo a favore della sua onnipotenza, ma semmai della sua umanità. Egli era così familiare all'uomo e alla donna che questi potevano tranquillamente incontrarlo e parlargli di persona, nel cosiddetto “giardino” (che non necessariamente era una “foresta”).

Insomma tutto quanto dà l'impressione, nel racconto della creazione, che Dio sia qualcosa che va oltre l'umano, va considerato come un'interpolazione da parte delle caste sacerdotali.

*

L'essere donna è il massimo di estetica possibile nell'ambito di un'etica venuta meno o indebolita. E questa forma di estetica, perché non abbia a perdersi, è fissata entro limiti fisici che la inducono all'eticità, pur sempre nella libertà di scelta, che resta ovviamente intangibile. Questo a dimostrazione che la natura umana può restare se stessa entro un range prestabilito.

Quando gli antichi filosofi e teologi sostenevano che la donna era un errore della natura o un uomo mancato o malriuscito, non si rendevano conto che ciò non era dovuto al caso, ma proprio alla debolezza del sesso maschile, che non riesce a restare coerente con la propria etica; e soprattutto non capivano che tale incoerenza è del tutto naturale e che non implica affatto un giudizio negativo né sull'uomo né sulla donna.

La donna è l'espressione sublime di una sofferenza umana, una sofferenza poco comprensibile, ma inevitabile, che rientra nella natura delle cose. Il genere femminile è una forma di consolazione all'incapacità maschile di restare coerente, in maniera assoluta, ai propri valori o ideali di vita. È cioè la dimostrazione che siamo “umani” e che dobbiamo accettarci nelle nostre debolezze. È, se vogliamo, una forma di simbolizzazione del fatto che l'imperfezione è parte organica della natura e, in particolare, della natura umana. Senza la donna, l'uomo sarebbe meno tollerante e, di fronte, alla propria incoerenza, inevitabilmente più falso.

Ecco perché, se è giusto che nel Genesi si dica che l'uomo e la donna furono creati insieme (contemporaneamente), a immagine della divinità, la quale quindi era “umana” come loro, è anche giusto che si dica che la donna è uscita dal costato di un uomo malinconico, che ha creduto di ritrovare in lei una felicità perduta, una serenità tutta interiore, che nessun altro essere vivente poteva assicurare.

Chi non comprende che all'origine di tutto non vi è l'uno bensì il due, non comprende nulla della vita, nulla della natura e nulla del rapporto di coppia.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Antico Testamento - Genesi
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La colpa originaria. Analisi della caduta


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