DALLA CREAZIONE ALLA CADUTA. ANALISI DEL GENESI


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INTRODUZIONE

Creazione di Eva, Basilica di San Marco, Venezia, sec. XIII
Creazione di Eva, Basilica di San Marco, Venezia, sec. XIII

Non possono essere state l'agricoltura o la stanzialità che, in sé e per sé, hanno creato lo schiavismo. Certamente l'aumentato benessere, causato da un miglioramento dei mezzi produttivi, in un contesto di sedentarietà, può aver creato una situazione favorevole al rilassamento dei costumi.

Di fronte agli imprevisti determinati dai fenomeni climatici o naturali, una parte della popolazione può aver assunto un atteggiamento o troppo prudente o troppo rischioso. All'inizio può esserci stato un atteggiamento propenso a conservare posizioni acquisite, evitando di mettersi nuovamente in gioco, ma in seguito, di fronte al peggiorare delle condizioni, qualcuno può aver optato per soluzioni estreme, nettamente anti-sociali.

Forse così si passò dalla creazione alla caduta.

Ora però proviamo a dire la stessa cosa in altra maniera, poiché non si tratta soltanto di fare dell'esegesi, ma di porre le basi per una vera transizione alla democrazia.

“Non dovete mangiare il frutto di quell'albero” – questo divieto indica, in un certo senso, la nascita del diritto, cioè la nascita della paura che può insorgere compiendo un'azione vietata o sbagliata.

Questa cosa è molto strana. Un divieto del genere sembra implicare varie cose: un pericolo grave da affrontare, a carico di tutta la collettività, di cui una parte di essa sembra essere più esposta; una crisi in atto, che si esprime come una forma d'indebolimento degli assetti di una tradizionale esperienza, o comunque come una forma d'attenuazione della consapevolezza dell'importanza dei valori che fondano l'esistenza di un collettivo.

Sembra d'essere in presenza di una sorta di passaggio o di transizione da una condizione esistenziale e sociale relativamente pacifica, tranquilla, in cui la libertà e l'uguaglianza sono salvaguardate, a una condizione preoccupante, insidiosa, foriera di grandi difficoltà.

È come se vi fosse un nemico esterno da cui bisogna stare alla larga, ma nei confronti del quale le capacità difensive si stanno progressivamente riducendo. Di qui l'ordine perentorio: “Non fate quella cosa, altrimenti per voi è finita”. La relazione tra chi dà l'ordine e chi lo deve eseguire diventa di tipo giuridico, con conseguenze vitali. Il diritto-dovere subentra quando esiste un pericolo da affrontare, nei confronti del quale la consapevolezza collettiva dell'effettiva gravità non è adeguata.

Cioè là dove avrebbe dovuto esserci “autoconsapevolezza”, s'impone un ordine dall'esterno. È come se qualcuno più consapevole offrisse l'ultima possibilità di continuare a vivere i tradizionali rapporti comunitari a quella parte del collettivo che invece sembra lasciarsi attrarre da nuove condizioni di vita.

Chi farà una scelta sbagliata, ne pagherà le conseguenze. Il divieto, cioè la legge, viene posto come una forma di avvertimento o di minaccia: chi lo trasgredisce, verrà necessariamente espulso dal collettivo, altrimenti tutto il collettivo verrebbe danneggiato o distrutto. L'espulsione quindi dovrà essere fatta con la forza. Si tratta di un'autodifesa armata.

Il problema che, a questo punto, si pone è il seguente: la condanna all'espulsione è irrevocabile o esiste la possibilità di rimediare alla colpa? Si può sperare d'essere reintegrati se esiste sincero pentimento?

Il problema non è di facile soluzione, poiché il passaggio a un nuovo stile di vita comporta dei mutamenti di sostanza nell'esistenza delle persone. Non è solo questione di forme. Mutano radicalmente i rapporti umani, la percezione stessa di sé: non si è più come prima.

Occorre un grande sforzo di volontà per tornare ad essere quel che si era, e non è certamente uno sforzo che si possa compiere soltanto a titolo individuale. Si è usciti da un collettivo democratico, egualitario; e ora bisogna recuperare la stessa dimensione collettiva. E questo è impossibile farlo se non si emigra in altro luogo, ricominciando tutto da capo. Il cordone ombelicale va reciso nettamente, proprio come fecero Abramo e Mosè, altrimenti si rischia di fare la fine della moglie di Lot.

L'altra soluzione, se l'emigrazione non è possibile, è la guerra civile. In tal caso i problemi sono molto più complessi, in quanto bisogna risolverli dall'interno, soffrendo di tutti gli inevitabili condizionamenti e col rischio di ripetere gli stessi errori in forme diverse.

Quando si compiono guerre civili, gli animi s'incattiviscono; si è indotti o costretti a compiere cose che, probabilmente, non si sarebbero mai fatte in condizioni pacifiche. E tuttavia si ha consapevolezza che non esistono alternative. Finché il nemico resiste, si deve combattere. La differenza sta soltanto nel cercare d'essere più umani, cioè più giusti, nel momento dello scontro aperto.

A tale scopo bisogna assolutamente evitare di credere che, solo per il fatto di condurre una guerra giusta, si sia autorizzati a compiere qualunque azione d'attacco o di difesa. Chi perde il senso della misura, chi non sa valutare obiettivamente le situazioni, non può sperare di diventare l'artefice dell'alternativa. La transizione alla democrazia va costruita nel mentre la si fa.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Antico Testamento - Genesi
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La colpa originaria. Analisi della caduta


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