DALLA CREAZIONE ALLA CADUTA. ANALISI DEL GENESI


Home - Introduzione - Premessa - Moderna critica biblica - Quattro fonti - Scoperte del XX sec. - I racconti della creazione 1 - I racconti della creazione 2 - Due versioni - Ipotesi interpretative 1 - Ipotesi interpretative 2 - Dio e il serpente - Conclusione - In principio. Canto gnostico - I giganti e gli esseri umani - Uomo e Universo - Cerca nell'ipertesto - Fonti - Antico Testamento


Uomo e Universo

Piero della Francesca, Morte di Adamo, Basilica di S. Francesco, Arezzo (1452)
Piero della Francesca, Morte di Adamo, Basilica di S. Francesco, Arezzo (1452)

Oggi sappiamo d'essere nell'universo un pianeta tra tanti, eppure avvertiamo questo con una coscienza mondiale, come mai prima d'ora era successo: sono tutti gli uomini della Terra che si sentono "piccoli" nell'universo, e questa consapevolezza planetaria ci fa sentire "grandi", ci fa sentire "stretto" l'universo, nonostante la sua immensità.

Il destino degli uomini della Terra sembra essere diventato unico, per cui non possiamo non chiederci che fine abbiano fatto le generazioni precedenti. Abbiamo sempre più consapevolezza che nell'universo nulla può andare perduto. Quanto più ci accorgiamo d'essere parte di un tutto (che ci sovrasta), tanto più desideriamo restare uniti e compatti. Quanto più ci scopriamo essere in periferia (e non più al centro), tanto più abbiamo bisogno di pensare che non siamo soli. Quanto più pensiamo d'essere il prodotto finale della natura e dello stesso universo, tanto meno riusciamo a rassegnarci all'idea di non poter confrontarci direttamente con le generazioni che ci hanno preceduto.

Vita e morte nell'universo

Se diamo per scontato che ogni cosa che ha avuto un'origine è destinata ad avere anche una fine, dobbiamo dedurre che la morte è parte costitutiva della vita dell'universo.

In che modo però si può trarre la conclusione che, siccome anche l'universo ha avuto un'origine, anch'esso è destinato a finire? È davvero possibile credere che la morte, pur essendo una legge dell'universo, lo sia al punto da minacciare la sopravvivenza dell'universo stesso?

Oppure dovremmo essere portati ad affermare il contrario, e cioè che l'attuale configurazione dell'universo è strettamente correlata alla conformazione della Terra, per cui il destino dell'universo è analogo a quello della Terra?

È cioè possibile ipotizzare l'idea che, essendo la Terra un prodotto "finale" dell'universo, la sua evoluzione è interdipendente, strettamente interconnessa, con quella dell'universo e che pertanto la morte dell'attuale conformazione del nostro pianeta coinciderà con la morte dell'attuale configurazione dell'universo?

In una parola: la morte inevitabile che attende l'intero universo comporterà la fine di ogni cosa o soltanto la sua trasformazione?

Se si ponessero l'essere e il nulla sullo stesso piano, non si avrebbe alcun vero inizio, a meno che non si volesse considerare il nulla come parte dell'essere: ma allora i due principi non sarebbero equivalenti.

Che il nulla sia parte dell'essere è una legge dell'universo; non c'è "essere puro" che non conosca la legge della trasformazione della materia. Cionondimeno bisogna affermare che l'essere ha una priorità ontologica sul nulla, nel senso che non c'è "nulla" in grado di distruggere l'essere. L'essere ha un primato che impedisce alla morte di essere la fine della vita.

Se essere e nulla coincidessero o si equivalessero, non si spiegherebbe l'origine dell'universo, poiché non vi sarebbe una ragione sufficiente (necessaria, non la "migliore possibile", come diceva Leibniz) che ne spieghi la nascita. Se invece il nulla è parte dell'essere, lo è solo nel senso che la morte è finalizzata alla conservazione o comunque alla trasformazione dell'essere.

Ma se la morte ha questo scopo, essa non può avere la caratteristica della permanenza eterna (invarianza). La morte va considerata come un processo transitorio, un fenomeno temporale, interno a una dimensione, i cui confini, per il momento, ci sfuggono (ancora infatti non conosciamo il momento esatto in cui l'attuale configurazione dell'universo è nata, né possiamo prevederne la fine).

Praticamente l'attuale esistenza in vita del pianeta Terra rende irrilevante la morte dei singoli individui che fino ad oggi l'hanno abitato. Finché sussiste la condizione formale, estrinseca, che permette all'uomo di riprodursi o comunque di evolvere, la morte del singolo non ha un valore assoluto, nemmeno per chi l'ha vissuta, poiché fino a quando la Terra sarà in vita, il significato della morte del singolo non potrà essere disgiunto dal significato del nostro pianeta o comunque dell'intero genere umano. La morte dei singoli non intacca l'evoluzione del genere umano.

Una morte potrebbe essere considerata assoluta, da tutti i punti di vista, se si distruggessero definitivamente le condizioni formali della sopravvivenza, cioè della riproduzione. L'uomo è in grado di fare questo nell'ambito della Terra? Le leggi dell'universo glielo permetterebbero? È forse possibile dimostrare la propria indipendenza da tali leggi, autodistruggendosi? Non è forse questa una contraddizione in termini?

In ogni caso, finché le condizioni della sopravvivenza restano inalterate, la morte di ogni singolo essere umano non può essere considerata che come una prefigurazione della futura morte e del pianeta Terra e dell'universo attuale. La differenza sostanziale sta nel fatto che la morte del singolo essere umano non può mai avere quel carattere di assolutezza che può avere la morte del nostro pianeta e dell'attuale universo.

Finché moriranno solo i singoli noi saremo costretti a pensare che il significato della loro vita (e quindi della loro morte) rientra nel più generale significato dell'universo e del suo prodotto finale: la Terra. Nel senso che la morte del singolo essere umano rientra nel destino complessivo, globale della Terra e, di conseguenza, in quello dell'attuale universo.

L'universo pare abbia un progetto sulla Terra, quello di portarla a distruzione (il che implica una trasformazione e non un annullamento). La realizzazione di questo progetto comporta però una retroazione sulla stessa attuale configurazione dell'universo, nel senso che anche l'universo subirà una corrispondente trasformazione.

La morte del nostro pianeta rientra dunque in un progetto che è sostanzialmente di vita. La morte, in senso stretto, non è che un passaggio, una transizione da una forma di vita a un'altra, in cui nulla del passato viene perduto. L'identità infatti sta nella memoria, oltre che nel desiderio.

Questo significa che all'origine dell'universo c'è l'essere, cioè la vita, non la morte. La morte è un processo della vita, che aiuta la vita a perfezionarsi. La morte è una sorta di trasformazione della materia che rende la materia più complessa, più perfetta.

Oggi riusciamo ad avere coscienza di una grande complessità delle cose. Ciò sta a significare che l'esperienza della morte dei singoli individui non c'impedisce di comprendere sempre meglio la complessità o comunque la vera essenza delle cose.

Praticamente il genere umano non muore mai come genere. Progredisce all'infinito, in forme e modi che per il momento non possiamo sapere. Il genere umano potrebbe progredire così tanto, potrebbe maturare una coscienza così grande da avvertire come troppo stretti, troppo angusti, i confini dell'attuale universo.

È probabile, sotto questo aspetto, che lo scopo dell'universo sia quello di far prendere coscienza all'uomo della propria infinità. C'è dunque nell'universo un finalismo che solo dal punto di vista dell'uomo possiamo comprendere. Microcosmo e macrocosmo si equivalgono.

Non dobbiamo quindi dimenticarci che quanto più ci avviciniamo alla comprensione di tale finalismo, tanto più avvertiamo l'universo come troppo piccolo per la nostra coscienza. Esiste quindi una responsabilità cui non possiamo sottrarci: l'umanità ha il compito di evolvere verso l'autocoscienza. Qui forse sta il senso della irreversibilità del tempo.

*

Gli scienziati dicono che le comete sono gli spermatozoi dell'universo... La Terra allora che cos'è: un ovulo fecondato? E gli esseri umani? Il feto dentro il ventre dell'Universo? E a chi appartengono questi spermatozoi? Avevano forse ragione gli antichi quando parlavano di "logos spermatikos"? Il "Big Bang" è forse un altro modo di dire che all'inizio di tutto c'è stato un rapporto di sesso e amore? Dobbiamo uscire dal ventre dell'universo per sapere chi è questo "logos spermatikos" o possiamo saperlo sin da adesso? Nel ventre dell'universo ci resteremo fino a quando non lo sentiremo troppo stretto? Cosa significa che "Tutta la creazione soffre le doglie del parto"? L'universo è in fase di espansione perché il feto umano sta crescendo? E sarà in fase di contrazione quando il feto umano starà per nascere? Ma è possibile che l'universo sia così strettamente legato all'essere umano? Il nostro destino è il destino dell'universo?

*

Esiste una storia del genere umano che è parte di una più generale storia della Terra e dell'universo che la contiene.

Poiché la storia del genere umano occupa solo gli ultimi istanti - relativamente parlando - della storia del luogo fisico che l'ha generata, dobbiamo necessariamente supporre che esista un processo evolutivo all'interno dell'universo, di cui forse lo stesso universo è oggetto, che parte sì dalle forme più semplici, ma che ha in sé gli elementi per sviluppare queste forme in una complessità crescente, praticamente illimitata.

Si badi che col concetto di "forme" non necessariamente si devono intendere quelle dell'organizzazione materiale della vita. La complessità può anche riferirsi al livello di profondità o di intensità in cui viene vissuto il valore umano - cosa che è del tutto indipendente dall'involucro materiale in cui esso si esprime.

Quindi qualunque cosa possa essere avvenuta all'origine dell'universo o all'origine della nascita della Terra, questo qualcosa aveva in nuce tutte le caratteristiche per svilupparsi in maniera complessa.

Sotto questo aspetto si può dire che l'essere umano sia "umano" sin dalla nascita. Cioè se si può accettare l'idea di un'evoluzione dall'animale all'uomo, si deve altresì ammettere che tra animale e uomo si pone una rottura segnata proprio dalla presenza dell'autocoscienza. L'animale vive d'istinto, secondo leggi di natura, ma la legge più profonda della natura - la consapevolezza della libertà - non la conosce.

È la stessa differenza che passa tra un neonato e un adulto. Il neonato ha in sé tutte le potenzialità per diventare un adulto consapevole di sé, anche se le circostanze a lui esterne possono portarlo a vivere una vita innaturale.

L'essere umano non è che la natura consapevole di sé, libera di essere se stessa per volontà propria. Ovviamente questa è una definizione astratta, in quanto nel concreto l'uomo ha la possibilità di impedire ad altri esseri umani di esercitare la loro libertà secondo natura.

Qui però ci si vuole limitare ad osservare come la comparsa del genere umano abbia coinciso, in un certo senso, con l'evoluzione della natura verso uno stadio di autoconsapevolezza, da cui è oggettivamente impossibile prescindere.

La comparsa dell'uomo sulla Terra obbliga l'intera natura a tenerne conto. La natura non può più tornare indietro, può andare solo avanti. Questo significa che se anche fosse ipotizzabile l'idea di una fine del mondo o dell'Universo, risulterebbe poco spiegabile la fine della progressiva consapevolezza di sé.

Se esiste infatti un percorso evolutivo, allora il mutamento delle forme non può incidere in maniera determinante su questo percorso. L'autocoscienza, lo sviluppo progressivo della consapevolezza di sé deve procedere in rapporto alle condizioni esterne, ma anche indipendentemente da queste condizioni.

Cioè in ultima istanza non può essere la forma esterna a determinare lo sviluppo di quella interna. Se esistono forme esterne che impediscono al genere umano di essere se stesso, non sono forme naturali, ma forme che l'uomo stesso si è dato, usando la propria libertà in modo negativo.

L'unico nemico dell'uomo è l'uomo stesso. E la percezione stessa della negatività, che è negazione dell'esercizio generale della libertà, è un indizio tanto più sicuro della presenza di un rapporto umano innaturale, quanto più la percezione è patrimonio di un soggetto collettivo.

Oggi, sulla base delle conoscenze che abbiamo, possiamo dire, con relativa sicurezza, che nell'universo esiste un processo evolutivo il cui esito ultimo, sul piano naturale, è la consapevolezza dell'identità umana. Questo ci deve portare ad affermare, con non meno sicurezza, che nell'intero universo non esiste altra consapevolezza che non sia umana.

Se esiste una consapevolezza superiore o anche solo diversa da quella umana, essa non può far parte dell'universo, cioè della forma in cui la coscienza è nata e si è sviluppata, o comunque essa non potrebbe mettersi in rapporto con le condizioni umane dell'esistenza, che sono quelle che permettono all'essere umano di vivere.

La coscienza umana è il fine dell'intero universo, poiché non esiste nulla che possa raggiungere la complessità, la profondità e la vastità di questo elemento dell'identità umana. Qualunque ricerca l'uomo faccia di altri esseri viventi nell'universo è destinata all'insuccesso, poiché se esistono altri esseri viventi, in forme diverse da quelle che concepiamo secondo natura, esse non fanno parte dell'universo.

La nascita dell'universo ha come scopo ultimo lo sviluppo dell'autocoscienza umana, quindi nell'intero universo il genere umano si trova in una posizione centrale.

Lo stesso universo è soggetto a una linea evolutiva, che segna lo scorrere del tempo e lo sviluppo della coscienza umana, al punto che dobbiamo supporre una stretta correlazione tra l'attuale configurazione dell'universo e l'attuale stadio di sviluppo della coscienza umana. Quindi noi potremmo anche supporre, volendo, che l'ulteriore sviluppo della coscienza umana possa richiedere una diversa configurazione dell'universo, più idonea a contenere livelli superiori di consapevolezza.

Il tempo è un processo irreversibile all'interno del quale la coscienza umana, per essere se stessa, può soltanto svilupparsi. Questo non significa che non possono esserci "ritorni alle origini", ma significa che, in casi del genere, il "ritorno" avverrebbe in forme diverse,  tant'è che si parla del tempo non come di una linea retta o di un circolo ma come di una spirale, in cui c'è sì il ricongiungimento dell'alfa con l'omega, ma in forme e modi diversi da quelli originari.

Una coscienza che non voglia svilupparsi in senso umano, procede contro le leggi del tempo, ovvero si pone in maniera innaturale: detto in parole semplici, "perde tempo". L'essere umano è destinato a diventare quello che è, perché solo quello che è e quindi quello che deve essere, lo rende conforme a natura. Ogni violazione di questa legge non fa che rallentare un processo irreversibile, che va comunque compiuto in libertà.

Sotto questo aspetto non è esatto dire che l'evoluzione del genere umano coincide di per sé con l'esperienza sempre più profonda della libertà, dell'autoconsapevolezza umana. Proprio perché sul piano storico si ha a che fare con un elemento sconosciuto al mondo animale, e cioè la libertà, gli esseri umani devono affrontare un problema che gli animali non conoscono, se non indirettamente, come conseguenza subìta: i condizionamenti di una libertà vissuta negativamente, contro natura.

Ora, se la natura ha bisogno di una libertà che non la neghi, ma anzi che le permetta di riprodursi agevolmente, di perpetuare le sue proprie leggi, è evidente che di tutte le formazioni sociali esistite fino ad oggi, quella capitalistica è la meno adatta a offrire garanzie del genere.

Se consideriamo che dal punto di vista ideale il socialismo va considerato decisamente superiore al capitalismo (in quanto al capitale oppone il primato del lavoro o al profitto privato il bisogno sociale) e se, nonostante questo, il socialismo s'è trovato ad un certo punto a dover ammettere il proprio fallimento storico, in quanto l'esercizio negativo della libertà alla fine ha prevalso su quello positivo, ancor più bisogna credere che il capitalismo sia privo di futuro ai fini dello sviluppo dell'autoconsapevolezza umana.

Con il crollo del socialismo amministrato l'umanità, da un lato, è andata avanti, in quanto ha preso consapevolezza che non era possibile, in quella forma autoritaria, sviluppare la libertà umana; dall'altro però l'umanità è andata indietro, poiché non ha saputo trovare un'alternativa vera al crollo del socialismo di Stato che non fosse una pura e semplice riedizione delle modalità obsolete del capitalismo.

L'unico modo di garantire alla natura la propria sopravvivenza e, con questa, quella del genere umano, non è quello d'inventarsi forme inedite di esistenza vitale, ma quello di ripristinare le forme più antiche della civiltà umana, che gli storici definiscono, con pregiudizio, col termine di "preistoria", quelle forme in cui valori come la proprietà sociale dei mezzi produttivi, il senso dell'appartenenza a un collettivo, la stretta correlazione dell'agire umano coi ritmi e le leggi della natura, erano prassi dominante, i cui significati vitali venivano trasmessi oralmente, di generazione in generazione. Come noto, queste forme sono durate migliaia e migliaia di anni.

*

Perché tutto questo incredibile movimento nello spazio dell'universo? Perché tutta questa materia ed energia di dimensione e di potenza enormi, incalcolabili?

Probabilmente l'essere umano deve comprendere che nell'universo non vi è nulla di statico e nulla di finito o di definito o semplicemente nulla di limitato.

Tutto è in perenne movimento e trasformazione. Probabilmente proprio questo fatto garantisce a qualunque oggetto del cosmo assoluta libertà e creatività.

Il movimento e la trasformazione sembrano non avere limiti né di spazio né di tempo, né di sostanza né di forma. Anche gli esseri umani sembrano essere destinati all'eternità, in una perenne trasformazione del loro essere.

Tuttavia c'è un altro aspetto da considerare: ogni elemento dell'universo fa parte di un elemento più grande che lo contiene. Non esistono cose che vivono separatamente. Gli oggetti dell'universo sono disposti in ordine concentrico, a volte gerarchico, molte altre volte sono soggetti a reciproche influenze.

Tutto sembra essere strettamente interconnesso, interdipendente, come se l'universo fosse una gigantesca rete, e tutte queste caratteristiche fisiche, materiali sembrano essere concentrate nell'oggetto più importante dell'intero universo: l'essere umano.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Antico Testamento - Genesi
 - Stampa pagina
Scarica PDF

Ricerca nel libro

powered by TinyLetter

Translate:

Acquista il libro su Amazon
La colpa originaria. Analisi della caduta


Info | Note legali | Contatto | Facebook | Twitter | Youtube