STUDI LAICI SUL NUOVO TESTAMENTO


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GESÙ È IL PRIMO CRISTIANO?

Nicola Palermo

I volti di Gesù

Tutti sanno che su Gesù vi sono le più diverse opinioni. Alcune sono del tutto fantasiose come quella che afferma che egli fu visto in India a imparare dai guru indiani l'arte di fare miracoli. Altre sono sorprendenti, ma fondate su dati biblici neotestamentari e suscitano problemi che forse vanno affrontati.

Una di queste (E. Galavotti, Il cristianesimo primitivo, Amazon) afferma che Gesù non è il primo cristiano, come invece Maometto è il primo musulmano; che l'immagine offerta dai Vangeli è parzialmente falsa; che egli fu in realtà uno dei tanti “messia” armati apparsi in quel torno di tempo in Israele e, come loro, anch'egli si preparava a prendere le armi contro i Romani; ma a differenza da loro, egli non fu dimenticato perché era anche uomo di straordinaria intelligenza e umanità, aveva perciò una affascinante “visione” dell'uomo e della società, vedeva la lotta armata per l'indipendenza nazionale come primo passo di una ben più vasta e profonda lotta di liberazione da qualsiasi forma di oppressione (politica, economica, religiosa, culturale…) e i nemici da abbattere non erano solo i legionari romani, ma anche i sadducei del tempio e gli scribi e farisei delle sinagoghe. Non voleva fare la “rivoluzione” solo per cambiare le élites dominanti e sfruttatrici, come è sempre avvenuto in tutte le rivoluzioni. Egli vagheggiava invece il mondo sognato da Isaia (11,6), Ezechiele (36,26), Geremia (31,33), dove non ci fosse violenza di alcun tipo, né fame né conflitti, né ricchezza né povertà, né imperatori né soldati, e neanche sommi sacerdoti e obbedienti “fedeli”, una società di uomini liberi ed uguali, senza strutture di potere, senza classi né proprietari né proletari, e perciò pacifica e pacificata, non anarchica, ma acefala, che non avesse bisogno di capi perché tutti sanno cosa fare e lo fanno.

Se tutto questo fosse vero, risulterebbe confermata l'accusa di falsità rivolta ai Vangeli, i quali avrebbero tendenziosamente distorto la realtà storica e offerto di Gesù una immagine non solo utopica e onirica, ma anche indifferente ai pressanti problemi politici e sociali che angosciavano i suoi contemporanei ebrei e non ebrei e persino romani, poiché la “pax romana” si basava sullo sfruttamento più sfacciato, capillare e legalizzato degli schiavi e degli altri ceti subalterni in tutta l'immensa vastità dell'Impero. Una immagine anche disossata, eterea, purgata da ogni dimensione materiale-corporea-terrena, completamente spiritualizzata, perfettamente aliena da qualsiasi gesto, anche simbolico, che potesse turbare l'ordine costituito, cioè lo sfruttamento organizzato e sistematico su cui si reggevano (e purtroppo tuttora si reggono) le strutture politiche e sociali. Un profeta disarmato (a differenza di Mosè, e perciò destinato al fallimento) che predica un messaggio non solo pacifico, ma anche pacifista, meramente spiritualistico, ultraterreno ed escatologico. E ai macilenti infelici e diseredati di tutto il mondo promette un paradiso “in cui ogni lacrima sarà asciugata” (Apocalisse 7,17) a condizione di accettare rassegnati qui e ora il “proprio stato” e baciare la mano che li colpisce (Colossesi 3,22).

Ma come fanno costoro a dire che la vera, storica, personalità di Gesù non è quella che ci è propinata dai Vangeli? Che molte delle cose narrate dai Vangeli sono palesemente false? che quelle vere non sono tutta la verità? Che i detti e i fatti veri nascondono altri fatti e detti che gli autori non hanno voluto farci conoscere? Beh, ci sono parecchi indizi negli stessi Vangeli.

Il più corposo indizio è la stridente contraddizione fra il messaggio spiritualistico ultraterreno escatologico proposto dai Vangeli e la concezione militare politica economica che del Messia avevano gli apostoli. Questa visione tutt'affatto terrena e per niente spirituale del “regno di Dio”, era talmente radicata e diffusa che gli apostoli hanno continuato a credevi per tutti e tre gli anni in cui sono stati in compagnia di Gesù e persino per tutti i quaranta giorni che sono stati con Lui dopo la risurrezione! (Atti degli apostoli, 1,6-8). Ma come? Avevano condiviso con Gesù tre anni di vita tutti i giorni; soprattutto avevano vissuto quaranta giorni gomito a gomito con Lui che ormai era “Il Risorto”; già è strana, molto strana, una cosa: quei quaranta giorni avrebbero dovuto essere, secondo me, infinitamente più importanti e interessanti dei tre anni precedenti, il culmine della Rivelazione, e invece gli evangelisti non dicono una parola, che sia una parola, su quello che Gesù abbia insegnato e comunicato in quei quaranta giorni; sembra che abbiano un imbarazzo, una fretta matta di mettere la parola “fine” al loro racconto, come se non avessero niente altro da dire! Ma questo è il meno, poiché gli “Atti degli Apostoli” (1,4-7) riferiscono una cosa che è ancora più strabiliante: i quaranta giorni sono passati, Gesù annuncia agli apostoli che sta per lasciarli, e siamo ormai a un minuto prima dell'Ascensione, gli apostoli intuiscono che questa è l'ultima occasione per domandare a Gesù una cosa che si sono tenuti dentro per tre anni e quaranta giorni e sbottano: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?” e con questo dimostrano che essi erano tuttora fermi alla visione terrestre e terrena: perché mai? Una cosa del genere è impossibile se la vita quotidiana e i comportamenti pratici di Gesù non avessero autorizzato una simile convinzione. Né pare possibile che Gesù, che leggeva nei cuori, sapesse come i suoi discepoli la pensavano e non li ha corretti. Eppure era una questione capitale, la più importante di tutte.

Ma non finisce qui, perché ciò che ci stende letteralmente al tappeto è la risposta di Gesù stesso: “non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta” e con ciò Gesù dichiara di pensare anch'egli alla indipendenza nazionale e conferma gli apostoli nella loro  convinzione che il regno di Dio era una faccenda di questo mondo. Come è possibile? Cosa di preciso pensava Gesù del regno di Dio? Dunque da un lato molte cose attribuite a Gesù smentiscono la visione terrena, ma dall'altro lato Egli non l'ha mai smentita esplicitamente; anzi l'ha implicitamente confermata proprio quando aveva il dovere di sconfessarla: una delle tante incongruenze che fanno rinascere il problema: cosa davvero è stato Gesù? Cosa ha veramente detto e fatto? Tanto più che non era la prima e improvvisa volta in cui la questione veniva fuori: Matteo (20,20ss) e Marco (10, 35ss) narrano che i due apostoli figli di Zebedeo montarono un vero e proprio “intrigo di palazzo” per precostituirsi una posizione di potere alla futura nuova corte reale; ne seguì un mezzo “tumulto di palazzo”, poiché gli altri dieci discepoli si sdegnarono con Giacomo e Giovanni, e dovette intervenire di peso Gesù stesso per riportare la calma. In questo episodio voglio notare due cose: la chiarezza della conclusione finale e l'ambiguità della conclusione intermedia.

- La conclusione finale è l'inequivoco sovvertimento delle gerarchie: Marco 10,42-43“Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete come coloro i quali sono ritenuti capi delle nazioni le tiranneggiano, e come i loro prìncipi le opprimono. Non così dev'essere tra voi; ma piuttosto, se uno tra voi vuole essere grande, sia vostro servo”, oppure, secondo la traduzione della Bibbia di Gerusalemme (Edizioni Dehoniane Bologna): “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di essi il loro potere. Fra voi però non è così, ma chi vuol essere grande fra voi, sarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo fra voi, sarà il servo di tutti”, e prosegue  “Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Una netta presa di posizione contro ogni forma istituzionalizzata di potere e a favore di una società acefala.

- La conclusione intermedia invece è equivoca: alla richiesta dei due discepoli di essere i primi ministri nel suo regno, Gesù domanda loro: “potete bere il calice che io bevo?” ed evidentemente allude alla sua passione e morte, mentre essi pensano alle fatiche militari necessarie per la restaurazione del trono di Davide e rispondono quindi senza esitazione: “Lo possiamo”; a sorpresa Gesù conclude senza chiarire l'equivoco: “Il calice che io bevo lo berrete e anche con il battesimo con cui io sono battezzato sarete battezzati;ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me il concederlo, ma è per quelli per i quali è stato preparato” (Marco, 10,39-40). La conseguenza fu che il discorso sul sovvertimento delle gerarchie da un orecchio è entrato nelle loro teste e dall'altro ne è uscito, mentre non è affatto dissipato l'equivoco circa la natura della missione di Gesù. Né fu dissipato in seguito, nemmeno dopo la risurrezione, come abbiamo testé visto.

Certo nei Vangeli ci sono molti accenni al regno pensato da Gesù, ma appunto accenni sporadici e per niente convincenti, mentre una sola volta, che io sappia, Gesù fu esplicito su questo argomento, e fu quando affermò che “il mio regno non è di questo mondo” (Gv. 18,36), ma lo disse a Pilato, al quale la questione non importava un fico secco. Perché mai Gesù parla chiaro a un pagano che non aveva alcuna voglia di ascoltarlo e alcuna possibilità di capirlo e in modo equivoco ai discepoli che indagano?

Ci sono molti altri episodi evangelici, o indizi, che non si inquadrano affatto nella visione universalistica e spiritualistica e si inquadrano molto bene nella visione nazionalistica e politica, e il discorso si allungherebbe; credo che quanto sopra basti a confermare il sospetto che il Cristo dei Vangeli  non corrisponde del tutto al Gesù della storia.

Voglio invece spendere una parola su un altro problema: chi, come e perché mise da parte il Gesù storico e portò in primo piano il Cristo che troviamo nei vangeli.

Io fui sorpreso nell'apprendere quale inferno fu la vita in Palestina fra il 44 a.C e il 70 d.C (e poi il 135 d.C.). Giulio Cesare aveva un grosso debito di riconoscenza verso gli Ebrei (che l'avevano coraggiosamente salvato dalle mani degli Egiziani in una situazione disperata ad Alessandria nell'inverno del 47) e li ricompensò abolendo le restrizioni imposte da Pompeo nel 63, esentandoli dal pagamento di qualsiasi tributo e lasciando loro larga autonomia amministrativa; questi privilegi furono presto persi alla morte di Cesare avvenuta il 15 marzo 44 a.C. e la situazione degli Ebrei precipitò in una spirale continua e spaventosa di rivolte e repressioni; alcune rivolte furono vaste , ben organizzate e tennero in scacco i Romani, ma poi i Romani riprendevano sempre il controllo della situazione; a dispetto delle migliaia di crocifissioni, si trovavano però sempre molti “zeloti” disposti a sfidare i Romani e la morte, e molto spesso questi zeloti rivolgevano le spade tanto contro gli occupanti quanto contro i compatrioti, proprio come fanno oggi i fondamentalisti islamici e per gli stessi motivi.

Forse Gesù fu uno di tali rivoltosi, ma il suo movimento ebbe un esito singolare; fu proprio il programma di rifondazione dei rapporti umani su nuove basi etiche e morali (cioè quello che i Vangeli chiamano “conversione”, “metànoia”, trasformazione radicale dell'intera persona nel suo rapporto con gli uomini e con Dio: Matteo 4,17; Marco 1,4; Matteo 3,2; Luca 3,8; 5,32; Matteo 11,20; ecc.) a costituire il trampolino di lancio del Cristianesimo.

Quando Pietro (e forse non anche gli altri apostoli) e poi soprattutto Paolo, s'imbatterono nella risurrezione del Maestro, con la risurrezione ebbero anche l'idea fulminante: la lotta armata contro i Romani non ha alcuna possibilità di successo e soprattutto è inutile come una corsa fuori strada perché rivolta verso un falso obiettivo; la liberazione non riguarda tanto l'indipendenza di Israele, quanto la liberazione di tutti gli uomini da ogni oppressione; strumento di tale liberazione è la “conversione” di ogni uomo nel proprio intimo; essa non è frutto degli sforzi umani, ma è dono di Dio e si realizzerà quando il Risorto Figlio di Dio tornerà (parusia) non più nella debolezza umana, ma in tutta la sua gloria e potenza; la parusia era imminente e sarebbe coincisa con la fine del mondo e il Signore avrebbe retribuito ciascuno secondo i suoi meriti; di conseguenza i cristiani non hanno alcun motivo per opporsi né militarmente né politicamente alle autorità romane che possono sparire da un momento all'altro (= parusia) (Romani 13,1; Tito 3,1; 1 Pietro 2,13), ma devono attendere e invocare il “giorno del Signore” (Filippesi 3,20).

Fu così che i cristiani rinunziarono definitivamente a qualsiasi forma di lotta attiva contro gli oppressori; non chiesero ai padroni, nemmeno a quelli che si convertivano, di liberare i loro schiavi; chiesero invece agli schiavi di accettare la loro condizione, senza alcun atto di ribellione o di resistenza passiva e quindi con entusiasmo (Romani 13,5), e anzi rispettare e amare i loro padroni anche se crudeli (Colossesi 3,22 ss); trasformarono il senso e il contenuto del concetto di liberazione che da politica, sociale ed economica divenne spirituale, ultraterrena ed escatologica.

I Vangeli furono scritti tutti dopo che era stata completata la trasformazione del Gesù, che voleva porre rimedio alle sofferenze umane, nel Cristo Risorto che promette di portare con sé nel paradiso celeste, a certe condizioni e in un indeterminato futuro, i malati, i poveri, gli oppressi. Resta tuttora inevaso e aggrovigliato il problema che Gesù stesso pone agli apostoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo” e “Ma voi chi dite che io sia?” (Matteo 16, 12-13).

Contatto

Vedi anche Adamo ed Eva fra storia, mito e Rivelazione e Dalla creazione alla caduta

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Nuovo Testamento
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