STUDI LAICI SUL NUOVO TESTAMENTO


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I VOLTI DI GESU'

NICOLA PALERMO

Gesù era il primo cristiano?

Dai Vangeli è possibile individuare ritratti diversi della personalità e missione di Gesù.

1. Il più noto è il Gesù raffigurato nell’immaginetta del Sacro Cuore, un Gesù dolce, se non sdolcinato, che dona e desidera amore. Un Gesù tutto preso e identificato dalla natura spirituale della sua missione centrata sul “regno dei Cieli”e sulla redenzione dal peccato; nella sua qualità di compassionevole e misericordioso “salvatore” che si fa carico delle miserie umane, abbraccia e frequenta i peccatori pubblici e privati, e guarisce ogni sorta di mali fisici e psichici coi suoi miracoli, indica nel perdono e nell’aiuto reciproco incondizionato la via per la guarigione dei mali morali. È il Gesù che toglie le pietre dalle mani degli ipocriti lapidatori dell’adultera, che rinvia a casa sua l’adultera stessa senza minacciare né l’inferno né un castigo qualsiasi e col solo invito a “non peccare più”; il Gesù che lava i piedi ai discepoli; e si lascia crocifiggere in “remissione dei peccati” e che persino sulla croce pensa agli altri: alla madre che affida a Giovanni, e al ladrone che si pente e “ruba” il paradiso. Un Gesù che si rivolge a tutti coloro che accettano nel suo nome le sofferenze di questo mondo e promette loro “una ricompensa grande nel regno dei cieli”. Insomma un Gesù che apre le braccia a tutti, il consolatore degli afflitti.

2. Vi è poi il Gesù che non si presenta col cuore in mano, ma col braccio alzato michelangiolesco; il Gesù intransigente contro alcune categorie di peccatori, come nei furiosi battibecchi coi farisei o come quando passa dalle parole ai fatti, manda all’aria le bancarelle dei mercanti e cambiavalute nell’atrio del Tempio, ed è pronto a ingaggiare e colpire in uno scontro fisico. Il Gesù che minaccia di “gettare fuori dal regno dei cieli, nelle tenebre esteriori” una parte dell’umanità e abbandonarla ai “pianti e stridore di denti” (Mt 8,12; 13,42; 13,50; 22,13). Il Gesù che sembra scordarsi di essere venuto per tutti e dividerà l’umanità in buoni e cattivi, in credenti e infedeli, in battezzati e non, e ne precipiterà una buona parte nel “fuoco eterno” (eterno!) non solo per non aver dato da mangiare agli affamati, ma anche semplicemente per non aver creduto o addirittura non aver conosciuto il Vangelo. È il Gesù che sembra non avere più pietà delle miserie umane, non cerca di eliminarle ed anzi, paradossalmente, le ingigantisce all’ennesima potenza con l’inferno eterno. Un Gesù non più compassionevole redentore, ma spietato castigamatti?

3. Vi è poi un Gesù nazionalista, quello che dichiara di “essere stato inviato solo per i figli di Abramo” e non per tutti i figli di Adamo e respinge, per il solo motivo di non essere ebrea e in maniera scandalosamente offensiva, una povera Cananea supplicante (Mt 15,22 ss), sebbene poi si commuova davanti alla sua insistenza e le guarisca la figlia. Ci sono altri passi dai quali risulta in maniera inequivoca il suo nazionalismo, come quando impone ai discepoli di annunciare “la buona novella” “solo alla pecore smarrite di Israele” e non anche ai Samaritani e a maggior ragione ai pagani, (Mt 10, 5-6). Dopo la resurrezione però Gesù ordinerà di andare a predicare a tutte le nazioni (Mt 28,19): vi è dunque stata una evoluzione nel pensiero di Gesù? Sarebbe strano. A sua volta San Paolo sembra avallare sia il nazionalismo di Gesù sia l’apertura universale, affermando che gli Ebrei hanno perso il loro privilegio, avendo rifiutato e ucciso Gesù. (Romani, 11,11).

4. Vi è poi il Gesù radicale riformatore sociale. Radicale perché, sebbene profondamente colpito dalla disuguaglianze sociali, non tenta solo di porre rimedio a qualcuna di esse (sfruttamento dei lavoratori, arroganza del potere, emancipazione femminile, aspetti più disumani dello schiavismo…); propone invece l’eliminazione di tutti i mali di origine sociale e ne individua la radice nella ricchezza, l’accumulazione dei beni, la distinzione del mio e del tuo, con conseguente necessità di difenderlo dai potenziali ladri, la nascita di gente specializzata nell’uso delle armi, la corsa agli armamenti, la guerra di tutti contro tutti, la concentrazione e il monopolio del potere di costrizione in alcune persone, la nascita di monarchie e stati e la distinzione fra violenza legittima istituzionalizzata e violenza privata illegittima, ecc. ecc.: tutto questo è il discorso della montagna, il sogno di una società di uomini liberi e uguali, senza ricchi né poveri, senza strutture di potere, senza classi sociali, e perciò pacifica e pacificata, non anarchica ma acefala, senza capi perché tutti sanno cosa fare e lo fanno. (Notiamo per inciso che oggi questa è onirica utopia, ma storicamente siamo vissuti per sette milioni di anni in gruppi che vi assomigliavano: fino a che siamo stati raccoglitori di frutti; le fatali disuguaglianze sono iniziate “recentemente”, solo 10.000 anni fa, col passaggio all’agricoltura e allevamento del bestiame).

5. Nei vangeli poi vi sono molti episodi sorprendenti perché assolutamente non si inquadrano in nessuno delle quattro precedenti descrizioni e postulano l’esistenza di un quinto e sconosciuto o almeno misterioso profilo della figura storica di Gesù. Per esempio, perché mai Caifa propone: “è meglio che un uomo solo muoia per tutto il popolo“?; una affermazione che si può spiegare solo col timore che le parole e le azioni di Gesù potessero provocare una violenta reazione romana; ma i Romani si guardavano bene dall’intervenire nelle diatribe religiose, erano invece inesorabili ed efficienti contro ogni sedizione di natura politica. Forse Caifa aveva qualche buona ragione per ritenere che Gesù non era un profeta disarmato e un disarmato riformatore sociale. Che Gesù fosse (anche) un pericoloso agitatore antiromano?

Ci sono altri fatti che sembrano spiegabili solo con questa ipotesi. Per esempio: i dodici son rimasti con lui non perché speravano nel paradiso celeste (sulla cui esistenza e caratteristiche Gesù non ha speso neanche una parola precisa e informativa), ma perché attratti dal paradiso terrestre della vittoria sui Romani, la restaurazione del trono di Davide, e la conseguente supremazia militare, politica ed economica degli Ebrei; a questa visione tutt’affatto terrena e per niente spirituale del “regno di Dio”, i discepoli hanno continuato a credere per tutti e tre gli anni e persino per tutti i quaranta giorni passati con Gesù dopo la resurrezione! (Atti degli apostoli 1,6-8) : siamo a un minuto prima dell’ascensione, gli apostoli intuiscono che quella è l’ultima occasione per domandare una cosa che si sono tenuti dentro per tre anni e quaranta giorni e sbottano: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”; la risposta di Gesù è ancora più strabiliante: “non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato alla sua scelta”! e con ciò Gesù dichiara di pensare anche lui alle vicende storiche terrene e conferma gli apostoli nella convinzione che “la salvezza” altro non era che una questione di indipendenza e supremazia di Israele.

La stessa conclusione si deve trarre dall’episodio (Mc 10,35 ss) in cui i due figli di Zebedeo sgomitano per assicurarsi i posti migliori nel prossimo venturo regno di Israele; alla loro richiesta, Gesù risponde con una domanda: “potete voi bere il calice che io bevo?” e quelli pensando trattarsi delle fatiche militari imminenti, rispondono “sì”, senza esitazione, e la conclusione di Gesù li conferma nella loro convinzione: “il calice lo berrete... ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo, ma è per quelli per i quali è stato preparato”.

Ci sono molti altri episodi che non si inquadrano affatto nell’immagine puramente spiritualistica di Gesù. I vangeli insistono sulla discendenza davidica di Gesù, cosa senza alcuna importanza se la sua missione fosse stata (solo) spirituale. Si lascia andare a violenta maledizione contro le città (nel loro insieme, non contro i singoli individui) che non accolgono il suo messaggio (Mt 10,15): questo non è modo di parlare di chi vuole convertire i peccatori, ma di un condottiero esasperato costretto ad assediare i ribelli. Uno dei dodici era uno “zelota” (Lc 6,15), e gli zeloti erano veri e propri terroristi sanguinari che, come i terroristi islamici attuali, ammazzavano con uguale piacere gli “incirconcisi” romani e i connazionali collaborazionisti o anche solo riluttanti a seguirli, compresi i sommi sacerdoti. Alcuni apostoli circolavano armati (Mt 26,51) e Gesù certamente lo sapeva; ma che ci facevano le spade in un paradisiaco movimento spiritualistico, pacifico e pacifista? Gesù stesso invita ad armarsi (Lc 22,36). Nella parabola dei talenti (Lc 19,11-28) Gesù non solo si paragona a un durissimo e spietato padrone di schiavi, ma conclude inopinatamente con una inattesa e sanguinaria violenza per motivi politici (Lc 19,27).

Tutta questa materia deve essere apparsa a Gesù stesso abbastanza aggrovigliata; pone infatti due domande che sembrano collegate: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” e “ma voi chi dite che io sia?” (Mt 16,12-13). In realtà sono due domande completamente diverse: la prima sollecita una risposta razionale e fattuale, circa la quale le tesi sono diverse, come abbiamo visto, e nessuna esaustiva; la seconda sollecita una risposta di fede che è tutta un’altra questione.

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