La Ciociara


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La Ciociara - Dato e processo: genesi del romanzo

1. L'avantesto - 2. Genesi del romanzo - 3. Tesi della letteratura critica - 4. La realtà, la memoria, i simboli: complessità della fase avantestuale de La ciociara - 5. Parafrasi riassuntiva dei capitoli - 6. Aspetti della struttura del romanzo: il "parallelismo antitetico" - 7. La categoria dell'autore implicito

Se si vuole considerare il problema con correttezza, credo sia necessario, in primo luogo, fissare bene il seguente punto: il processo di genesi e di stesura definitiva del romanzo, che complessivamente va dal 1946 al 1957, comprende due fasi:

  • la prima fase (le prime cinquanta pagine) si colloca fra racconti come Andare verso il popolo e Ritorno al mare da una parte, e La romana dall'altra;
  • la seconda fase (ripresa e stesura definitiva del romanzo) si colloca fra Il disprezzo e il tentativo di romanzo successivo a Il disprezzo da una parte, e La noia dall'altra.
Dunque, nell'ambito dell'opera di Moravia il contesto tematico delle prime cinquanta pagine è costituito da quel giro d'orizzonte sulla realtà italiana dell'immediato dopoguerra che caratterizza i racconti che segnano la ripresa dell'attività dello scrittore, e da quello che è ad un tempo il primo romanzo 'romano' e il primo romanzo ambientato nel periodo fascista; da un punto di vista tecnico-narrativo, abbiamo la situazione narrativa in terza persona (i racconti) e quella in prima persona femminile e popolare (La romana); infine, il contesto storico, sociale e culturale è costituito dall'immediato dopoguerra e dalla temperie neorealista.

La Romana

La seconda fase si inserisce in tutt'altro contesto: per quanto riguarda l'opera dello scrittore, abbiamo i temi della crisi del neorealismo, dello sviluppo della società dei consumi, dell'incomunicabilità in tale società (Il disprezzo), della perdita della fede nel comunismo (il tentativo di romanzo successivo a Il disprezzo), dell'alienazione (La noia); prevale la situazione narrativa in prima persona, maschile borghese ed intellettuale (1); il contesto storico, sociale e culturale è quello dell'egemonia democristiana, dell'assetto economico neocapitalista, della dissoluzione del neorealismo.

La noia

Inoltre, si deve osservare che la produzione di Moravia fra le due fasi (La romana, Il conformista, ecc.) può anche essere considerata quale ‘avantesto' della seconda fase, cioè come una serie di `tappe' che precedono e in un certo senso rendono possibile la ripresa del lavoro a La ciociara (2).

Perché nel 1946 il lavoro a La ciociara non andò avanti? Perché dopo quasi dieci anni lo scrittore poté riprendere le pagine lasciate nel cassetto nel '46 e portare a termine il romanzo?

Ne La ciociara compare un ‘eroe positivo', l'unico `eroe positivo' nell'opera di Moravia, secondo Salinari [3]. Si tratta di Michele, un giovane intellettuale antifascista, saldo nella sua ideologia cristiano-comunista, insensibile a qualsiasi lusinga economica e a qualsiasi tentazione di carattere erotico.

Ebbene, come si spiega che Moravia lavorò ad un tale ‘eroe' immediatamente dopo aver abbozzato un soggetto in cui compare un giovane comunista che perde la fede nella sua ideologia dopo aver avuto un rapporto erotico con la moglie bellissima di un uomo molto ricco, cioè una figura totalmente antitetica a Michele? Esiste un rapporto? In generale, che significato hanno l'interruzione e la ripresa del lavoro al romanzo? E tale significato è da ricercare solo nell'ambito dell'opera di Moravia o anche nel sistema letterario e culturale italiano del secondo dopoguerra? - Queste mi sembrano le domande centrali, a cui si dovrà tentare di dare una risposta.

Ho già accennato ad un'intervista concessa da Moravia a Manacorda nel 1957. Nel corso di quel colloquio lo scrittore ha detto:

La pura cronaca [...] non può essere arte. L'arte deve nutrire i fatti di simboli e di memorie. Scrissi le prime cinquanta pagine della Ciociara nel 1946, prima ancora della Romana. Poi smisi perché non sapevo come continuare. Mi resi conto che l'estrema vicinanza dell'esperienza vissuta era un impaccio e un ingombro che mi impediva il sereno ripensamento dei fatti e delle figure. Ora è diverso: sono passati dieci anni e quella cronaca violenta e brutale può essere collocata su un piano più distaccato e obiettivo. (4)

Dunque, Moravia smise di lavorare al romanzo perché non sapeva come andare avanti, vale a dire non sapeva come "nutrire i fatti di simboli e di memorie", e questo per la vicinanza degli avvenimenti, vissuti di persona, che voleva raccontare.

La questione, però, non va vista solo sul piano della personale vicenda di Moravia in Ciociaria, la quale non poteva essere rielaborata artisticamente con distacco perché troppo recente, né solo sul piano dell'opinione che Moravia ha dell'opera d'arte.

L'accenno dello scrittore alla cronaca, quella sorta di "paura della cronaca" (così, acutamente, Seroni [op. cit., 1967, p. 39]) che sembra emergere dalle sue parole, induce ad inquadrare il problema nella temperie culturale e letteraria italiana del periodo in cui quelle pagine furono scritte.

Gli anni 1946-47 sono anni centrali per quanto riguarda quel fenomeno culturale complesso che si suole chiamare neorealismo (cfr. Appunti sul neorealismo). Ora, la cronaca, "o asciutta registrazione di eventi, con frequente struttura diaristica nei casi in cui il cronista è direttamente implicato a livello tematico-psicologico e linguistico" Corti [5], è una caratteristica tipica dei moduli narrativi neorealisti ed esprime la fiducia sia "nell'esemplarità dell'esperienza personale", sia "nelle cose che parlano da sé" (ivi: p. 36): vale a dire la "grande fiducia nella resa dei referenti, nella riproduzione scrittoria dei fatti, che si codificherà lentamente nei minori come una sorta di poetica del neorealismo." (ivi: p. 37)

Sicché, quando Moravia, molti anni dopo, rispondendo ad una domanda di Siciliano circa i motivi che lo avevano spinto ad abbandonare le prime pagine de La ciociara, risponde: "Non me lo ricordo neanche più. Forse per saturazione" (6), bisognerà molto probabilmente cogliere in quel "per saturazione" anche la saturazione di quella fiducia nella resa dei referenti che specialmente dal 1946 al 1948 aveva caratterizzato buona parte della narrativa italiana. Alla fiducia nella resa dei referenti Moravia opponeva l'esigenza di nutrire il reale (appunto: i referenti) di simboli: una caratteristica, questa, essenziale dell'arte del nostro scrittore e di importanza decisiva per capire La ciociara.

A proposito della ripresa del lavoro al romanzo, Moravia ha detto:

Quando le [le pagine scritte nel 1946] rilessi [...] mi piacquero e finii il libro in un'estate. (Siciliano [op. cit., 1982: p. 80])

Dunque, è lecito ipotizzare che quando rilesse le sue vecchie pagine egli intravide la possibilità di "nutrire i fatti di simboli e di memorie": ecco cosa significa propriamente quel "mi piacquero", ed ecco come si spiega che, dopo anni di pausa, il romanzo fu concluso nel giro di un'estate. Che cosa intravide lo scrittore in quelle pagine? Perché e in che senso gli piacquero?

Alla domanda di Siciliano: "Ma c'è, secondo te, un motivo più profondo, più interno al tuo lavoro, per cui sei tornato su quelle pagine una volta abbandonate?", Moravia ha risposto (ivi):

Forse il motivo è questo: che con La ciociara si chiude idealmente la mia fase di apertura e di fede senza incrinatura nei confronti del comunismo. Si consumava dentro di me l'identificazione fra comunista e intellettuale. In altri termini il personaggio di Michele, il Michele di Gli indifferenti, si conclude là, con La ciociara. Non a caso, il protagonista maschile del romanzo l'ho chiamato Michele.

D'altra parte, a Manacorda nel 1957, a proposito de La ciociara Moravia diceva:

E' il mio omaggio di romanziere alla Resistenza [...] alla Resistenza come fatto collettivo che ha investito la grande maggioranza della popolazione. Quel periodo è certamente il più notevole della nostra storia recente e avrebbe dovuto avere ben altri sviluppi. Oggi, invece, le ragioni stesse della Resistenza, da più parti vengono messe in dubbio e con esse le esigenze di un'arte realistica che da quei fatti sembrava dovessero prendere origine. (Manacorda [op. cit., 1957])

I dubbi sulla "pura cronaca" non impediscono, come si vede, allo scrittore di avvertire l'esigenza di un'arte realistica; d'altra parte, il romanzo viene concluso e pubblicato in anni in cui il neorealismo è ormai in crisi.

Ancora: abbiamo un "omaggio alla Resistenza", cioè un omaggio al periodo "più notevole della nostra storia recente", reso quando "le ragioni stesse della Resistenza da più parti vengono messe in dubbio", e questo significa che, poiché non ha avuto gli sviluppi che avrebbe dovuto avere, quel periodo, anche se recente, sembra, almeno per il momento, concluso, e di conseguenza l'"omaggio" di Moravia tende ad assumere il carattere della storicizzazione. Allo stesso tempo, questo "omaggio" alla Resistenza chiude la fase di fiducia, da parte dello scrittore, nel comunismo, una fiducia che aveva animato vasti gruppi della Resistenza. Sono questioni che bisognerà tenere presenti.

Ciò che qui vorrei sottolineare è l'emergere dei fattori interni all'opera dell’autore, degli elementi del continuum ideologico e artistico di Moravia. La ciociara si ricollega a Gli indifferenti, il Michele de La ciociara costituisce l'evoluzione e la conclusione della vicenda del Michele de Gli indifferenti: anche questa "intertestualità" d'autore è uno dei simboli, delle memorie con cui Moravia ha nutrito la realtà.

Il ritorno alle pagine del '46 ha significato una ricerca ideologica, artistico-conoscitiva. Moravia sentiva di dover fare i conti con il Michele de Gli indifferenti prima di poter andare avanti, cioè prima di poter sviluppare e approfondire quella figura di intellettuale già abbozzata ne L'amore coniugale e meglio definita ne Il disprezzo: l'intellettuale (molto spesso con aspirazioni artistiche) dell'epoca neocapitalista, il Dino de La noia.

Questo potrebbe spiegare l'interruzione del lavoro al soggetto del giovane comunista che perde la fede andando a letto con la bella moglie di un uomo ricco. Prima di approfondire il problema della perdita della fede comunista (in generale, il problema della fede in un'ideologia) in epoca neocapitalista, bisognava analizzare le caratteristiche di quella fede (in generale, le caratteristiche della fede in un'ideologia) nel periodo decisivo dell'antifascismo e della Resistenza.

Prima di cercare quell' "altrove", che già cercava il Giacomo de La romana, bisognava chiarire, per così dire, il 'qui' del Michele che vince la sua 'indifferenza' diventando antifascista. Non a caso dopo questo lavoro di scavo e di chiarimento nasce il romanzo La noia.

La ricerca sul personaggio (Michele) e l'evolversi del continuum dell'opera di Moravia (in particolare la tematica dell' `indifferenza') si saldano con la ricerca su un periodo di storia italiana e di storia degli intellettuali italiani, e portano lo scrittore da un lato a fare i conti, in un primo momento forse suo malgrado, con il neorealismo e con l'epoca della speranza e dell'impegno, dall'altro lato ad agganciare le tematiche e i modi narrativi neorealisti ad una più ampia esigenza di storicizzazione.

La complessa fase avantestuale de La ciociara pone, dunque, in evidenza tre nodi problematici:

  • a) la questione del "realismo nutrito di simboli" e quindi il problema della ripresa del romanzo, dei motivi interni ed esterni all'opera di Moravia che la resero possibile, direi necessaria;
  • b) la questione di Michele e della conclusione della sua parabola;
  • c) la questione della Resistenza, delle speranze che essa determinò e della loro crisi, non solo quali tematiche neorealiste, ma anche quali fatti storici.

Il discorso fin qui fatto, pur con il suo carattere introduttivo, credo indichi con chiarezza la centralità de La ciociara, il valore segnico di questo romanzo nell'opera di Moravia e nella letteratura italiana del dopoguerra.

La ciociara esige e merita un'analisi puntuale e minuziosa, un'analisi, però, che deve essere anche molto umile, che deve proporre - pur prendendo posizione in modo chiaro e netto - solo un' interpretazione, non l' interpretazione dell'opera, un'analisi a cui sono più di ammonimento che di incoraggiamento le parole di Moravia (7):

Nel 1957 pubblicai La ciociara, che forse è il mio romanzo, a parte Le ambizioni sbagliate, che è stato meno capito dalla critica.


(1) Dico: prevale la narrazione in prima persona, perché evidentemente non sappiamo quale situazione narrativa avrebbe caratterizzato il romanzo successivo a Il disprezzo, se Moravia lo avesse portato a termine, né conosciamo la situazione narrativa di quel primo abbozzo. (torna su)
(2) Suggestivo pensare con Adriano Seroni, "La ciociara" di Moravia, in Esperimenti critici sul Novecento letterario, Mursia, Milano 1967, pp. 39-43, che le pagine del '46 siano state per Moravia, mentre egli lavorava ad altre opere, una tentazione; direi meglio: un punto di riferimento, la coscienza di un discorso aperto e, prima o poi, da chiudere. (torna su)
(3) Salinari, Carlo, I romanzi di Moravia, ora in Preludio e fine del realismo in Italia, Morano, Napoli 1961/1967, p. 303. (torna su)
(4) Manacorda, Giuliano, Clandestino in Ciociaria, in "Contemporaneo", anno IV, Serie II, n. 1, 18 maggio 1957, p. 6. (torna su)
(5) Corti, Maria, Il viaggio testuale. Le ideologie e le strutture semiotiche, Einaudi, Torino 1978, p. 52 (torna su)
(6) Siciliano, Enzo, Alberto Moravia. Vita, parole e idee di un romanziere, Bompiani, Milano 1982, p. 80 (torna su)
(7) Del Buono, Oreste, Moravia, Feltrinelli, Milano 1962, p. 15 (torna su)
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L'autore di questo ipertesto è Giovanni Lanza il cui sito è qui: www.giovanni-lanza.de/alberto moravia.htm
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Ultimo aggiornamento: 17-04-12.