Il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri

Il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante Alighieri

I - II

(Vita Nova XXVI)

Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand’ella altrui saluta,

ch’ogne lingua deven tremando muta,

4 e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,

benignamente d’umiltà vestuta;

e par che sia una cosa venuta

8 da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,

che dà per li occhi una dolcezza al core,

11 che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova

un spirito soave pien d’amore,

14 che va dicendo a l’anima: Sospira.

Analisi

Metrica

Date le strutture metriche sostanzialmente sovrapponibili, anche per questo sonetto si ripete necessariamente quanto già scritto per la metrica del sonetto di Guido Cavalcanti Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira, ovvero: breve componimento poetico di 14 versi con struttura “classica 4 4 3 3”: due quartine e due terzine di endecasillabi con rime di schema ABBA ABBA CDE EDC; pertanto quartine con rima incrociata, ripetuta nella seconda quartina, e terzine in cui la rima è invertita nella seconda terzina.

Parafrasi

Dopo la splendida parafrasi del sonetto, da parte di Gianfranco Contini, davvero non sembra il caso di farne una propria. Viene riportata per maggior chiarezza e per guida nel successivo commento critico:

Tale è l’evidenza della nobiltà e del decoro, di colei che è mia signora, nel suo salutare che ogni lingua trema, tanto da ammutolire e gli occhi non osano guardarla. Essa procede, mentre sente le parole di lode, esternamente atteggiata alla sua interna benevolenza e si fa evidente la sua natura di essere venuto di cielo in terra per rappresentare in concreto la potenza divina. Questa rappresentazione è, per chi la contempla, così carica di bellezza che, per il canale degli occhi, entra in cuore una dolcezza conoscibile solo per diretta esperienza; e dalla sua fisionomia muove, oggettivata e fatta visibile, una soave ispirazione amorosa che non fa se non suggerire all’anima di sospirare.

Contestualizzazione e commento critico

Dante inserisce questo sonetto all’interno della propria opera giovanile La Vita Nova, componimento prosastico e lirico, in cui narra le vicende amorose, e tragiche, di e verso Beatrice, della sua visione giovanile e della morte di lei, nonché del proprio personale iter spirituale e affettivo successivo.

Il sonetto appartiene al ciclo stilistico e di ispirazione definito “poesia della lode” di Dante, secondo cui, successivamente alle prime forme espressive di tipo cortese, evolve la propria sensibilità poetica, secondo tematiche e una espressività che, solo successivamente in epoca di Commedia, egli stesso definirà Dolce Stil Novo.

Il contesto e clima culturali sono stilnovisti, pertanto sostanzialmente i medesimi di quelli descritti per il sonetto di Cavalcanti. Non volendo qui ripetere sostanzialmente la medesima analisi, si sottolineano, oltre al concetto di divinità fatta donna con gli aspetti derivanti e connessi, alcune piccole differenze come, ad esempio: nel sonetto di Cavalcanti si parla della donna “al cui passaggio l’aria vibra di luminosità” mentre in quello di Dante, al passaggio della donna, “ogni lingua trema, tanto da ammutolire”. Tuttavia questi, sinceramente, appaiono elementi tutto sommato marginali, piccoli accenti poetici secondari rispetto ai contenuti e, francamente, anche sintomatici di una forma profondamente vicina e quasi sovrapponibile al sonetto di Cavalcanti. Segno che, come per la metrica, anche per la semantica Dante, almeno questa volta, non ha brillato di originalità, o non l’ha cercata affatto, ma ha, probabilmente, voluto rendere omaggio all’amico e cimentarsi, senza dubbio raggiungendo comunque alti risultati, con un analogo compito e una similare ispirazione poetica; non esclusa, probabilmente, anche l’ammirazione per l’amico più anziano e fortemente carismatico.

Il sonetto è senza dubbio uno dei “manifesti giovanili” poetici che siamo stati abituati a memorizzare, almeno nell’incipit iniziale; quel Tanto gentile e tanto onesta pare, nelle nostre memorie fa il “paio” con le Chiare fresche e dolci acque della canzone petrarchesca e con altre opere del nostro patrimonio letterario. Tuttavia, si può confessare, dopo essersi mossi nella profondità dei significati del sonetto di Cavalcanti, la poesia della lode dantesca, pur parzialmente, appare meno godibile e, in una certa misura, deludente! Certamente, pur passando attraverso l’esperienza esistenziale e stilistica delle “rime petrose”, da quanto concerne la poesia della lode prenderà comunque le mosse la consapevolezza della pur iniziale concezione dell’autonomia dell’arte; a tal fine si veda il colloquio che Dante immagina nel Purgatorio tra lui e Bonagiunta Orbicciani (Canto XXIV). Tuttavia, appunto, sarà solo nella maturità che Dante potrà, semmai, rivalutare e recuperare, in un’ottica artistica maggiormente consapevole e senza dubbio modificata, anche il proprio giovanile periodo stilnovista (mentre qualcuno dei suoi residui vecchi compagni di cenacolo letterario continuerà, pur sporadicamente, a poetar coscientemente secondo lo Stil Novo).

Saranno le opere successive, pertanto, a fornire a Dante la vastità delle tematiche per le quali egli è da considerare il Maestro morale e poetico che conosciamo: la sua concezione politica, legata all’impero come guida terrena, da contraltare alla fede spirituale papale, per la conduzione dell’uomo verso una dimensione di felicità; lo sforzo per il concepimento di una lingua volgare nazionale; l’offerta culturale, all’interno di un immaginario convivio intellettuale, per il nutrimento dei convitati; il confronto, tra mondo vecchio e mondo nuovo (dilemma e conflitto eterno: si pensi, sei secoli dopo, al pirandelliano affresco siciliano de I vecchi e i giovani, con le speranze deluse e le lacerazioni del post unità d’Italia!), in un faticoso percorso di conoscenza nei regni dell’al di là.

Siamo completamente persuasi che, in tutta questa congerie di tematiche della maturità e personali lacerazioni esistenziali, l’anima stilnovista non abbia nulla a che fare? Intanto sarà di nuovo Beatrice, donna gentile, a guidarlo; stavolta lungo le luminose ascese del paradiso!

Fabio Sommella - www.fabiosommella.it


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019