Puzzo Tanfo Lezzo nel Canto XI dell'Inferno della Divina Commedia

Inferno: Canto XI

In su l'estremità d'un'alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio
venimmo sopra più crudele stipa;

e quivi, per l'orribile soperchio
del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio

d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta
che dicea: "Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta".

«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».

Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli:«Vedi ch'a ciò penso».

Sull’orlo di un alto pendio, formato da grandi
macigni spaccati disposti circolarmente,
giungemmo sopra una folla ancor più tormentata;

e qui per lo spaventoso insopportabile fetore
che esala il basso inferno, cercammo riparo
dietro il coperchio di una grande tomba,

sul quale vidi questa scritta: "Custodisco
papa Anastasio, che Fotino allontanò
dalla giusta strada".

"Occorre che la nostra discesa sia ritardata,
per avvezzarvi a poco a poco il nostro olfatto;
poi più vi baderemo."

Così parlò Virgilio; e io gli dissi: "Trova qualcosa
che ci occupi utilmente, senza lasciar passare
il tempo invano". E lui: "Ci sto appunto pensando".


PUZZO FIATO E LEZZO NELLA COMMEDIA

Appare un po' incredibile che Dante chiuda un Canto serissimo come il decimo, parlando di un orribile lezzo che veniva dai cerchi più bassi. L'associazione fogna-peccato diventa fortissima nel Canto XI, al punto da raggiungere livelli alti di comicità, com'è giusto che sia in questi casi.

Quanto più aumentano le pene, tanto più si fa sentire il puzzo che l'abisso profondo esala. Era anzi così forte, una volta cessato il dialogo con Farinata, che i due viaggiatori sono costretti a ripararsi dietro il coperchio d'una grande tomba, dove l'epitaffio diceva: "Custodisco papa Anastasio, traviato da Fotino fuori della diritta via della vera fede".

Cioè mentre cercano di ripararsi da quel tanfo mefitico, dietro una lapide il cattolico Dante scopre che un altro papa giace all'inferno: è l'ennesimo di una lunga serie, i cui nomi però raramente vengono citati.

Non andrebbe in crisi una coscienza obiettiva? Non è sufficiente, per smettere di credere, tutta questa presenza di prelati di alto rango nei meandri più orripilanti dell'aldilà? O forse il peggio per la coscienza dei cattolici deve ancora venire in questa Cantica?

Ma chi era questo Anastasio II, pontefice dal 496 al 498? Che bisogno aveva Dante di ricordare un illustre sconosciuto della chiesa romana? E chi era il diacono Fotino di Tessalonica, poi vescovo di Sirmio, sabelliano e adozionista? I due (ma Dante cita soltanto il papa) stanno, come Farinata, nel VI Cerchio degli Eresiarchi e degli Epicurei (altrimenti detta "Citta di Dite"). Probabilmente però stanno peggio di Farinata, proprio perché Dante, parlando con quest'ultimo, non aveva notato quell'incredibile puzza di fogna (tristo fiato) che ora gli impedisce addirittura di muoversi.

Stanno peggio sicuramente perché sono ecclesiastici: Dante non ha perdonato l'ateismo di Farinata e Cavalcante, come potrebbe perdonare quello d'un papa che della divinoumanità del Cristo vede solo l'umanità? o comunque lo scetticismo d'un papa che cercò un'intesa con Acacio, patriarca monofisita di Costantinopoli?

Dante, non dimentichiamolo, era stato un politico cattolico: qui ora vuole dimostrare che la propria eticità era superiore a quella degli atei, rappresentati da Farinata. E cerca di farlo proprio condannando alle pene dell'inferno un ecclesiastico di altissimo rango, come già aveva fatto nei Canti precedenti con altri pontefici e cardinali e come farà in quelli successivi.

In realtà Anastasio II era stato un uomo molto diplomatico, in quanto aveva cercato, dopo lo scisma di Acacio (484), con cui si riconosceva al Cristo la sola natura umana, di ristabilire i rapporti con le chiese d'oriente, in contrasto con le intenzioni della curia romana, che già col suo predecessore, Gelasio I, li aveva compromessi, sostenendo che l'imperatore doveva restare subordinato al pontefice.

Di origine ellenica, Anastasio II fu probabilmente assassinato a Roma perché troppo arrendevole nei confronti di Bisanzio. Le sue spoglie furono sepolte sul sagrato di San Pietro ma il suo nome non comparirà mai né sul martirologio né sul calendario universale.

Ora, a causa di quella imbarazzante situazione, in cui Dante colloca se stesso e la sua guida, in procinto di scendere al cerchio successivo, il commentatore, se non vuole lasciarsi sfuggire il lato comico o ironico di questi versi, non può limitarsi a offrire una semplice interpretazione letterale.

Infatti, da dietro il coperchio della tomba del pontefice, è come se Virgilio avesse detto: "Con un fetore così terribile ci conviene aspettare qui un po' di tempo e poi scendere lentamente, così il nostro naso ci si abitua".

E Dante, al sentire questa magra proposta, è come se gli avesse risposto: "E' tutto qui quello che hai da dire? Ci vorrebbe qualcosa per distrarci. In queste condizioni non resisteremo. Una puzza di merda così grande non l'ho mai sentita. Non c'è nessun vantaggio a restare fermi qui. Che razza di peccati han fatto questi merdosi: me lo vuoi spiegare?".

"Ora te lo spiego, ribatte subito Virgilio. Te lo dirò strada facendo, così mentre io parlerò, tu potrai ascoltare tenendo chiuso il naso. Altre idee non ne ho".

A dir il vero però non si capisce con sicurezza se i due si sono mossi subito o se sono rimasti lì, sotto il coperchio del tumulo, per un po', poiché è solo al verso 112 che Virgilio dice a Dante di seguirlo, e glielo dice quando s'accorge che al sorgere della costellazione dei Pesci sull'orizzonte, l'Orsa Maggiore si trovava nel cielo di nord-ovest, da dove spirava il vento maestrale (vv. 113-4). E' stato quindi il vento che, aiutandoli a respirare, li aveva fatti uscire da quella tomba. Al verso 115 viene detto che potevano iniziare a discendere.

Ma se questa è la lettura, la frase di Dante, in risposta a Virgilio, andrebbe riscritta così: "Visto che per un po' dobbiamo rimanere qui e che nessuno può venirci in aiuto, per non perdere tempo e non star lì a pensare al tanfo che ci opprime, spiegami bene dove ci troviamo, chi sono esattamente i dannati e quali sono di preciso le loro colpe".

In effetti sarebbe poco plausibile che Virgilio tenesse una lezione cattedratica di teologia scolastica mentre camminava, con Dante alle spalle. E' molto più probabile che la lezione Dante se la sia immaginata dentro la tomba, mentre loro se ne stavano in qualche modo riparati sotto la lapide, facendo una breve sosta.

Il problema che a questo punto si pone è il seguente: perché Dante non è stato subito chiaro sulla dinamica di questa incresciosa situazione, sicuramente molto particolare? Probabilmente perché voleva tenere la cosa in dubbio per impedire che qualcuno la potesse considerare di minor pregio. Decidendo di mettere, per rassicurare circa la propria ortodossia, una lezione cattedratica di tomismo, che sicuramente avrebbe avuto un effetto soporifero su molti lettori, con astuzia egli l'ha intrecciata con qualcosa di semplicemente esilarante.

Virgilio tiene una lezione di teologia dentro la tomba di un papa eretico, quasi ateo, mentre fuori vi è un tanfo bestiale, che toglie addirittura il respiro. L'ironia è massima. Proprio mentre spiega la verità delle cose, queste sono immerse in una puzza incredibile, a testimonianza che il cattedratico scolastico, pur con tutta la sua scienza, non sa come uscire da quella situazione vomitevole. E alla fine vi riuscirà soltanto grazie all'aiuto di un vento provvidenziale.

Dante insomma aveva fatto capire che dei due ateismi, quello laico di Farinata e quello ecclesiastico dei papi, preferiva assolutamente il primo, che non puzzava affatto.

p.s. Una curiosità che meriterebbe d'essere approfondita con un'analisi specifica. In quali Canti e quante volte appaiono le seguenti parole nella Commedia: puzzo, puzza, lezzo, fiato, merda, sterco?

PUZZO 6 VOLTE

INFERNO: CANTO IX. v. 31 : Questa palude che 'l gran puzzo spira
INFERNO: CANTO XI. v. 5 : del puzzo che 'l profondo abisso gitta,
INFERNO: CANTO XXIX. v. 50 : tal era quivi, e tal puzzo n'usciva
PURGATORIO: CANTO XIX. v. 33 : quel mi svegliò col puzzo che n'uscia.
PARADISO: CANTO XVI. v. 55 : che averle dentro e sostener lo puzzo
PARADISO: CANTO XX. v. 125 : da indi il puzzo più del paganesmo;

PUZZA 1 volta

PARADISO: CANTO XXVII. v. 26 : del sangue e de la puzza; onde 'l perverso

LEZZO 1 volta

INFERNO: CANTO X. v. 136 : che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.

FIATO 6 volte

INFERNO: CANTO V. v. 42 : così quel fiato li spiriti mali
INFERNO: CANTO XI. v. 12 : al tristo fiato; e poi no i fia riguardo".
INFERNO: CANTO XXVII. v. 60 : di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
INFERNO: CANTO XXXIII. v. 108 : veggendo la cagion che 'l fiato piove".
PURGATORIO: CANTO XI. v. 100 : Non è il mondan romore altro ch'un fiato
PURGATORIO: CANTO XXV. v. 113 : e la cornice spira fiato in suso

MERDA 2 volte

INFERNO: CANTO XVIII. v. 116 : vidi un col capo sì di merda lordo,
INFERNO: CANTO XXVIII. v. 27 : che merda fa di quel che si trangugia.

STERCO 1 volta

INFERNO: CANTO XVIII. v. 113 : vidi gente attuffata in uno sterco

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Fonti

Opere di Dante Alighieri

La critica

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019