LA SVOLTA DI GIOTTO
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DIBATTITO SU GIOTTOI - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV - XVI - XVII - XVIII - XIX - XX - XXI - XXII - XXIII - XXIV - XXV - XXVI - XXVII - XXVIII - XXIX - XXX - XXXI Io non ho mai detto che fossi favorevole all’arte per l’arte. In ogni modo ti traduco dal mio libro: Le arti, questi paragrafi. Durante il Rinascimento si ebbero delle polemiche accese tra due tendenze, una a favore del contenuto dell’opera d’arte, l’altra a favore degli elementi formali (la tecnica). In ogni modo i termini "Arte per l’arte" e "Arte in funzione sociale", dettero origine a dispute violente che si scatenarono durante il Romanticismo. Si trattò perciò di un fenomeno che apparve in una situazione storica precisa e particolare del secolo XIX, sebbene riapparve, di quando in quando, anche nella prima parte del secolo XX. In opposizione all’Illuminismo della Rivoluzione francese, durante il Romanticismo nacque la teoria dell’arte per l’arte che prese lo spunto dalla filosofia del disinteresse estetico di Kant e dall’assolutismo estetico dell’Idealismo. Il romanzo de Téophile Gautier: Mademoiselle de Maupin (1835) fu considerato la prima opera del movimento dell’arte por l’arte, e rappresentò la protesta e la negazione dell’artista di produrre merce in un mondo dove tutto era (ed è) merce. In questo modo reagì anche Baudelaire, contro l’utilitarismo volgare e pacchiano, ribellandosi alla moda di considerar l’arte come qualsiasi prodotto commerciale, sebbene fosse cosciente che lo era in realtà, dato che dipendeva dalle leggi dell’offerta e della domanda, e che comunque dava all’artista la possibilità di sussistere come tale. Gautier, Baudelaire, Leconte de Lisle, Mallarmé ed altri poeti e scrittori crearono allora il movimento Parnassiano, seguito da altri movimenti simili, come il Simbolismo e l’Ermetismo, ai quali aderirono Verlaine, Rimbaud, Huysmanns, Barrés, Pater, Oscar Wilde, Thomas Mann, Stefan George, Nietzsche e d’Annunzio, i quali esaltarono gli elementi formali in funzione della bellezza (e non come si scrive spesso "la forma per la forma"), al margine di ogni dottrina ed utilità pratica, considerando il lato estetico come valore per eccellenza e l’obiettivo ultimo della cultura, al quale dovevano subordinarsi la religione, la morale, la scienza e la politica. L’estetismo si fece portavoce dell’arte per l’arte, esaltando al massimo le idee di Nietzsche sulla separazione dell’arte dal mondo reale, obbligando l’artista all’isolamento e racchiudendolo nella sua torre d’avorio, una "prigione" volontaria che lo proteggeva dalla realtà che lo circondava e lo minacciava con il suo pessimo gusto, la sua bruttezza e il suo mercantilismo. Leconte de Lisle, Mallarmé, Flaubert, Stendhal e Baudelaire difesero e presagirono un’arte come gioco supremo, che si doveva godere come un paradiso segreto, escluso ai comuni mortali (da qui l’idea dell’arte elitista, nel suo senso più privilegiato ed aristocratico, che si disinteressava dei problemi politico-sociali). Oscar Wilde portò queste idee alle sue estreme conseguenze, Mallarmé si rifugiò in se stesso, Stefan George si rinchiuse in un club esclusivo per pochi privilegiati, disprezzando le masse. La borghesia nella sua fase rivoluzionaria contro la monarchia e la nobiltà, preferì "l’arte in funzione sociale", ma, una volta conquistato il potere, cominciò a diffidare dell’arte progressista e difese la tesi "dell‘arte per l’arte", estranea alla politica, sebbene, più tardi, tornò a respingerla quando il Realismo cominciò a rappresentare temi crudi e volgari, e l’impressionismo si vantava dei suoi temi banali e delle sue tecniche antiaccademiche. Queste idee "dell’arte per l’arte" servirono anche alla "bohemienne" nella sua lotta contro la borghesia ed anche contro i residui dell’antico regime, della nobiltà e del governo assolutista. Il suo credo fu l’anticonvenzionalismo, esaltando la posizione dell’artista come un essere libero e indipendente. All'opposto "l’arte in funzione sociale" fu difesa da Proudhon e da Saint-Simon, i quali seguivano direttamente le idee di Schiller, che valutavano l’opera d’arte per il suo contenuto e la tematica, disprezzando la forma. Proudhon scrisse che l’arte non doveva essere una vana diversione, ma che doveva servire per perfezionare la società, scoprendo e denunciando le piaghe sociali, la miseria, l’ipocrisia e le innumerevoli forme d’immoralità. Altri difensori dell’arte in funzione sociale furono Tolstoi, Ruskin e Karl Marx. Quando i critici, la borghesia e il popolo cominciarono a rifiutare l’impressionismo, come reazione a quanto detto sopra, cominciò a diffondersi un’altra teoria, chiamata "la scuola del buon senso", in opposizione tanto all’arte per l’arte quanto all’arte in funzione sociale, la quale desiderava un classicismo sobrio e borghese, che dovesse esaltare gli ideali dell’epoca, ma in modo conformista e tradizionale. Nel secolo XX le critiche più importanti contro le tendenze anteriori si possono desumere dal pensiero di Benedetto Croce, il quale affermò che se l’arte dipende dalla morale, dalla religione, dal piacere o dalla filosofia, sarà morale, religione, piacere o filosofia, ma non arte. Se, in cambio, è indipendente si dovrà vedere in che consiste e che valore ha; in ogni modo un'indipendenza e libertà totali e pure non possono esistere, perché, in tal caso, non sarebbero nulla... Anche Jacques Maritain condanna le due tendenze, dato che secondo lui l’arte per l’arte è una pura astrazione assurda, che implica che l’uomo è divorziato dall’artista, dimenticando gli importanti valori sociali, mentre l’arte in funzione sociale è ugualmente un errore, dato che l’artista si dimentica che è un artista e che la sua funzione è quella di creare un’opera d’arte con valore estetico. Secondo lui il vero artista deve continuare a camminare in una specie di equilibrio, accettando l’aiuto per non cadere, ovunque gli provenga e se gli conviene. |