LA SVOLTA DI GIOTTO
LA NASCITA BORGHESE DELL'ARTE MODERNA

DIBATTITO SU GIOTTO

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G.N.) Del resto sono anche d'accordo che l'iconografia bizantina trasmetteva 'qualcosa di più intenso che il realismo giottesco'...

E.G.) Prima di iniziare una discussione bisogna precisare il significato delle parole, ma se la gente facesse così non ci sarebbe nessuna discussione, perché si starebbe infinitamente a discutere su questi significati.

Questo è appunto indice del fatto che non essendoci una tradizione comune, condivisa, ognuno dà alle parole le interpretazioni che crede e quando si discute si spera sempre che l'altro riesca a capire, ma anche se non capisce non se ne fa un dramma, proprio perché non si ha più una tradizione comune da difendere, da far rispettare: ognuno marcia per conto proprio, a seconda dei propri interessi... E alla fine prevalgono i significati che la classe dominante ha saputo imporre su tutte le altre.

E' appunto questo quello che è accaduto nel passaggio dalla pittura bizantina a quella giottesca.

Un paese come l'Italia che, primo in Europa, stava abbandonando la tradizione ecclesiale comune ad oriente ed occidente, prima in nome del potere temporale pontificio, poi in nome dei commerci mediterranei, e ad un certo punto in nome delle crociate che col pretesto di liberare la Palestina finirono col saccheggiare tutto il Vicino Oriente, devastando lo stesso Impero bizantino, come avrebbe potuto proseguire la tradizione bizantina, la cui influenza si fece sentire in tutta l'Europa altomedievale?

Dunque che significa "pittura obbligata"? Gli iconografi appartenevano a una tradizione che condividevano nei suoi ideali di fondo, erano persone che prima di fare gli artisti avevano messo in pratica nella loro vita personale quegli ideali.

Giotto aveva per soggetto temi religiosi, ma nella sua vita pratica era un borghese, anzi uno sfruttatore della peggior risma e perfino un usuraio. La religione gli serviva solo per fare quattrini. Giotto seppe diventare il primo grande imprenditore della pittura.

Lo troviamo conteso da una committenza facoltosa e illustre, come nessuno prima: oltre ai Francescani, alleati della borghesia delle città, e ai grandi finanzieri, lo vollero papi e alti prelati, il Comune di Firenze, le corti più brillanti; una committenza disposta a forti investimenti, decisa a lasciare il segno. Prendiamo Enrico Scrovegni, il banchiere di Padova: per salvare l’anima del padre, che Dante aveva precipitato all’Inferno per usura, fonda e fa affrescare da Giotto una cappella così sontuosa che i frati della vicina chiesa degli Eremitani, temendo la concorrenza, lo accusano di cercare "pompa, vanagloria e guadagno più della lode di Dio"; per di più, vi si fa ritrarre tre volte: da Giotto nel Giudizio Universale, e poi in preghiera, in una statua in piedi, e, giacente, sulla tomba. Né, forse, è un caso che tra i Vizi dipinti nella cappella manchi l’Avarizia.

Per soddisfare una tale clientela, il "cervello più efficiente della pittura italiana" mise in piedi una macchina produttiva in grado di assicurare un’offerta duttile e impeccabile: decine di metri quadri di eccelsa pittura murale, mosaici, curatissime tavole di varie forme e dimensioni, disegni per sculture e architetture.
A Firenze è proprietario di immobili e terreni, acquista, vende, affitta campi e case; garantisce prestiti, intesta un podere alla figlia Bice e dota più che decorosamente Chiara; litiga con un notaio per certi appezzamenti, nomina procuratori per riscuotere crediti, arrotonda affittando telai a poveri tessitori, a tassi del 120%.

Nel 1328, sessantenne, si trasferisce a Napoli, e il re lo tratta come un ospite di riguardo. Non l’avrà reso "il primo uomo di Napoli" (Vasari), ma gli dà "protezione… onori… privilegi", vitto e alloggio come a un "familiaris" e, nella speranza di tenerselo per sempre, una pensione annua.

Nelle raccolte di poesia trecentesca c’è una canzone, Molti son quei che lodan povertade, attribuita a Giotto, in cui egli non fa mistero di aborrire la povertà.

Ma con questo cosa voglio dirti? Che l'Italia non doveva abbandonare la tradizione bizantina? Certo che doveva farlo, ma il modo borghese di farlo (realistico in pittura) per me non costituisce affatto un superamento degli ideali che sostenevano quella pittura.

Cioè - e qui veniamo al punto - per me non può esserci superamento di una tradizione condivisa quando quella che si vuol porre in alternativa è in realtà solo il genio dell'artista. Nessun talento individuale può giustificare il superamento di una tradizione.

Non c'è mortificazione quando ci si sente legati a una tradizione comune, anzi l'artista convinto del valore di questa tradizione farà di tutto per rispettarla sino in fondo, soprattutto nei suoi canoni fondamentali, mettendo del suo solo negli aspetti marginali o comunque solo in quelli che non costituiscono una minaccia a ciò che è stato acquisito nell'arco di secoli.

Un iconografo rispetta la tradizione proprio perché ha il senso della storia, come i contadini rispettavano i loro padri. Giotto e tutta la pittura moderna hanno soltanto il senso di se stessi, della loro solitudine e disperazione o, se si preferisce, dei loro affari commerciali.

Certo, m'incanto a guardare Van Gogh, ma se avessi in casa tutti Van Gogh mi sentirei a disagio, perché i suoi quadri mettono ansia, sembrano dipinti come se nell'ambiente in cui sono maturati ci fosse stata, continuamente, una minaccia incombente, come se l'artista avesse sulla testa la spada di Damocle. I ragionamenti di un folle ti incuriosiscono, puoi anche considerarli paradossalmente veri, ma poi ti stancano, perché sono troppo egocentrici.

Tutta la pittura occidentale è egocentrica. Anche quando non è figurativa.

Perché dunque dici che un iconografo non era un "pittore"? Un'icona è un'opera d'arte già nel momento in cui si deve preparare il legno su cui fare il dipinto. Se un iconografo non sapeva dipingere la trasfigurazione, era meglio per lui cambiare mestiere. Dipingere per lui era come pregare e doveva farlo a digiuno. Le sue opere furono così odiate dai cristiani influenzati dall'ebraismo e dall'islam che per alcuni secoli l'arte divenne una questione di alta politica: ci vollero due secoli prima che si capisse la differenza tra "adorare" e "venerare". Il volto della sindone, che pur s'intravedeva appena, fu considerato il prototipo di tutti i volti dipinti del Cristo.

Mi sai spiegare il motivo per cui non dobbiamo considerare "arte" l'iconografia russa che proprio nel momento in cui in Italia s'affermava la pittura rinascimentale, produceva con Rublev delle opere che oggi vengono unanimemente considerate ai vertici della pittura mondiale di tutti i tempi?

G.N.) Dal punto di vista critico, e in prospettiva storica hai ragione, ma da Giotto in poi si parla con un altro 'linguaggio'...

E.G.) E' proprio questo il punto! Noi occidentali abbiamo accettato un diverso registro estetico con una superficialità disarmante. E in nome di questo abbiamo detto che quanto era diverso andava considerato superato o non era artistico, era superficiale, piatto (la bidimensionalità delle icone, che poi col tempo i critici hanno capito essere più profonda della nostra tridimensionalità geometrico-matematica, hanno cioè capito che la profondità è un concetto dello spirito e non della materia).

Quante volte abbiamo letto nei manuali scolastici che le icone erano banali, statiche, fisse, vuote, convenzionali, formali... Quanti aggettivi insulsi da parte di Argan (io), De Vecchi (mia figlia), ma anche Zeri, Sgarbi...

Hai citato il famoso quadro di Picasso: proprio quello mi dice che i canoni occidentali portano a un vicolo cieco, alla fine dell'arte e della pittura in particolare.

Senza volerlo (e comunque grazie all'arte africana) Picasso aveva riscoperto qualcosa che era stato eliminato nel corso di secoli, solo che non avendo alcuna tradizione alle spalle, la riscoperta è stata per così dire al negativo. Picasso fece sua una tradizione (quella africana) in maniera del tutto formale, servendosene per distruggere definitivamente i canoni occidentali e in realtà riproducendone altri (la scomposizione assoluta della figura) che poi porteranno all'assenza totale di qualsiasi figura umana come nell'astrattismo di Kandisky, che è un'operazione del tutto intellettuale.

Anche la pittura bizantina prese le mosse dall'arte parietale egizia del tempo dei faraoni, ma qui lo sviluppo fu enormemente positivo e proprio perché non ci fu un individuo singolo dietro o una piccola corrente di artisti ma un intero movimento storico di persone impegnate intorno a ideali di vita.

G.N.) Io direi che s'è umanizzata, riappare la natura...

E.G.) Qui vorrei fare un discorso a parte che però ci porterebbe molto lontano. Noi occidentali tendiamo a equiparare forma a contenuto. Poiché siamo poveri di contenuto, non riusciamo a capire quei contenuti che non abbiano una forma corrispondente.

P.es. se in una situazione drammatica uno resta freddo diciamo che è cinico, se invece si commuove diciamo che è umano. L'esterno per noi coincide con l'interno.

Quando non coincidono è perché secondo noi c'è inganno. P.es. un politico, un commerciante... sono persone che ingannano, in quanto il loro aspetto esterno appare positivo (sono educati, sorridenti ecc.) mentre quello interno è negativo (fazioso, ideologico, legato all'interesse privato, al profitto ecc.).

Molto raramente riusciamo a vedere un interno positivo quando l'esterno non gli corrisponde. P.es. un contadino o un montanaro, che è rozzo nei modi di fare, viene giudicato rozzo anche dentro, con sentimenti elementari, un'umanità quasi primitiva.

Se noti, nella pittura è successo la stessa cosa: il volto bizantino che ti guarda con quegli occhi grandi è stato giudicato freddo, vuoto, inespressivo; invece le donne che piangono ai piedi della croce sono altamente espressive. Il Cristo impassibile sulla croce è per noi del tutto incomprensibile (anche se di fatto esprime la teologia giovannea), meglio dunque metterne uno che soffre da morire, che si contorce e spasima.
Insomma siamo molto limitati...

G.N.) ... Ma la storia dell'arte è quella che è, e non quella che sarebbe stata o avrebbe dovuto essere.

E.G.) Su questo, in riferimento al marxismo che dice la stessa cosa, ho scritto parecchio. E' vero, la storia non si fa coi se e i ma, eppure esistono anche i se e i ma, e se ci abituassimo di più a ragionare coi i se e i ma, forse nel momento in cui si deve scegliere saremmo più ponderati e faremmo meno errori, perché se noti gli errori sono dovuti proprio al fatto che vengono sempre compiute scelte unilaterali.

Se accettiamo Giotto come alternativa unica al mondo bizantino, noi alla fine dovremmo ammettere che il feudalesimo non poteva evolvere che verso il capitalismo. Ma questo contraddice tante realtà che invece hanno saltato la fase del capitalismo e sono passate dal feudalesimo al socialismo (Russia, Cina ecc.). Il fatto che poi oggi queste realtà abbiamo introdotto elementi di capitalismo nei loro sistemi, non significa che il capitalismo in queste realtà abbia un peso così rilevante come da noi, che ne siamo determinati dalla culla alla tomba.

G.N.) In tal caso la 'colpa' non è di Giotto, ma dell'epoca nella quale nacque e visse.

E.G.) Sì anch'io penso che se non fosse nato Giotto prima o poi ne sarebbe nato un altro. In fondo siamo tutti figli del nostro tempo. Magari non sarebbe nato in Italia ma nelle Fiandre o nelle città della Lega Anseatica, cioè là dove più forte erano i commerci nel tardo Medioevo.

E tuttavia questo non toglie che qualcuno debba assumersi le colpe del proprio tempo e che, nel farlo, lo faccia liberamente. Giotto era discepolo di Cimabue che tutto sommato rispettava i canoni bizantini. I volti di s. Francesco dipinti alla maniera bizantina, prima della svolta giottesca, per me sono più intensi di quelli dipinti da lui.

G.N.) Credo che la critica debba registrare e giudicare le persone e i fatti di una epoca nel contesto specifico...

E.G.) Considera che in questo caso le norme non sono quelle del critico, ma quelle di una tradizione consolidata, precedente a quella che s'è venuta formando in antagonismo ad essa.

Vuoi che ti dica il motivo secondo cui per me la chiesa romana ci mise così tanti secoli prima di rompere con la tradizione iconografica bizantina, visto che con essa aveva già rotto sul piano politico nell'800 con l'incoronazione di Carlo Magno e ideologico con la questione del Filioque nel Credo e che sanzionò definitivamente tutte le altre sue deviazioni con la rottura del 1054?

Il motivo è che in ambito religioso si considerava l'arte bizantina un modello insuperabile, cioè talmente bello e affascinante da non poter essere sostituito con alcunché. Il popolo era legato a questa tradizione come non mai. I testi di teologia si potevano modificare a uso e consumo della chiesa romana, perché in fondo solo gli intellettuali li leggevano, ma per questa tradizione occorreva una soluzione molto più convincente.

E la soluzione fu trovata in ambito urbano, tra la classe borghese, che s'era imposta su quella contadina e che stava cercando d'imporsi anche su quella aristocratica, laica ed ecclesiastica.

Ci volle un'emancipazione in direzione dell'ambiguo ateismo borghese, che mentre sul piano formale resta religioso, sul piano sostanziale è agnostico. Un'ambiguità dovuta al fatto che gli interessi della borghesia non possono coincidere con quelli di tutto il popolo.

G.N.) Il popolo non comprenderà mai i valori estetici d'un'opera d'arte...

E.G.) Sono le dittature che non credono nel valore estetico e culturale delle opere d'arte. Infatti cercano sempre di imporre dei criteri uniformi agli artisti. Non avendo tradizioni di popolo, pensano di poterle creare con la forza.


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L'arte bizantina, Giunti (Gruppo Editoriale)

Enrico Galavotti


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Aggiornamento: 11/09/2014