LA SVOLTA DI GIOTTO
LA NASCITA BORGHESE DELL'ARTE MODERNA

DIBATTITO SU GIOTTO

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E.G.) L'arte da noi è libera, libera di servire il capitale.

G.N.) L’arte non è stata mai completamente libera. Oggi dipende dal mercato, come ieri dipendeva dalla chiesa, dai re, dai nobili. In ogni modo credo che il mercato sia un po’ più malleabile, si può giungere a determinati compromessi.

E.G.) L'arte per l'arte io l'ho sempre considerata come una fuga dalla realtà, come un tentativo, un po' superficiale, di sopravvivere a contraddizioni sociali giudicate irrisolvibili. Questo tipo di arte ha un senso nell'immediato, nel provvisorio, perché in fondo a nessuno dispiace l'idea che - come disse Turghenev - "la Venere di Milo sia meno contestabile dei principi del 1789", e se vuoi posso anche accettare la pop art di Andy Warhol come una forma transitoria di provocazione estetica, ma solo nella consapevolezza che prima o poi bisogna riprendere i temi forti della vita sociale, per il bene stesso dell'arte, altrimenti destinata a vivere nell'effimero.

G.N.) Qui non sono completamente d’accordo. Intervennero, dopo la seconda guerra mondiale, vari fattori: commercializzazione dell’arte, volgarizzazione dell’arte, demitizzazione dell’arte, sdivinizzazione dell’artista, esaurimento di tutte le possibilità di qualsiasi nuovo cammino artistico e incluso antiartistico dopo l’arte concettuale, la land-art, la body-art, ecc. Al punto tale che a un certo momento si dovette far marcia indietro con la transavanguardia.

E.G.) ... quasi tutti i nostri manuali scolastici di letteratura sono impostati sull'arte per l'arte, nel senso ch'essi preferiscono mettere in evidenza non l'artista impegnato civilmente, socialmente, politicamente, ma quello più capace di usare la tecnica del poetare e capace di trasmettere, attraverso questa tecnica, sentimenti umani di tipo psicologico, emotivo, intimistico o interiore, comunque soggettivo, esistenziale...

G.N.) Il tuo è un concetto politico-sociologico dell’arte. Il mio è un concetto artistico-estetico. L’artista può, ma non deve obbligatoriamente, sentirsi compromesso con le idee politico-economiche del momento. E, in ogni modo, non è tale compromesso che aggiunge un valore estetico alla sua opera: il sovrappiù propagandistico-simbolico avrà valore solo se l’artista lo sentirà, interpreterà e trasformerà in forme estetico-artistiche.

E.G.) Per te l'arte è legata alla creatività innata dell'artista, di cui egli deve prendere consapevolezza, cercando di esprimerla nel migliore dei modi ...

G.N.) ... soprattutto inconsapevolmente... il caso e le stesse leggi della materia intervengono e lo obbligano a seguire un cammino e a giungere ad un risultato al quale non aveva pensato o voluto, che possono non essere quelli che il pubblico si aspetta (al gran pubblico piace la pacchianeria e non capisce nulla dell’arte).

E.G.) Per me arte è ciò che l'artista deve rappresentare, indipendentemente in un certo senso dalla sua particolare creatività. Un artista è tale, per me, solo nella misura in cui nella sua opera sa riflettere un sentimento comune, di una comune tradizione ...

G.N.) ... dal punto di vista della filosofia dell’arte, dell’estetica e della critica artistica, credo che sbagli. Tu non vuoi degli artisti liberi e creatori di forme personali nuove ed originali, ma semplici ed abili strumenti propagandistici, teoricamente al servizio del popolo, ma praticamente al servizio delle autorità di turno.

E.G.) La tecnica è un aspetto secondario, anche se non marginale, poiché è evidente che maggiore è la padronanza della materia, maggiori sono le possibilità che il sentire comune venga espresso nella maniera più adeguata.

G.N.) Allora -secondo te- aveva ragione Cicerone quando affermava che non si potevano comparare gli artisti di ieri con quelli d’oggi (cioè del suo tempo). Quelli d’oggi dovevano necessariamente essere migliori perché utilizzavano tecniche più perfezionate e avanzate di quelle degli artisti del passato che non le conoscevano. Ma oggigiorno le teorie della bellezza, della tecnica e dell’imitazione della natura sono morte e sepolte.

E.G.) ... escludo a priori che una maggiore padronanza della materia implichi di per sé, cioè in maniera necessaria, una migliore rappresentazione del sentire comune. Un artista può essere geniale quanto vuole, grandissimo esperto sul piano tecnico, ma se vive in maniera isolata, inevitabilmente le sue opere avranno un'importanza molto relativa...

G.N.) ... a prescindere dal valore commerciale che possono avere in un mercato borghese. Anche se l’artista non è completamente libero, dal punto di vista del mercato, è liberissimo d’esprimere le sue idee e di creare ciò che sente. In caso contrario sparirebbe l’artista e l’arte, e artigiano e artigianato prenderebbero il loro posto, semplici strumenti sovvenzionati o mantenuti dalle autorità di turno e/o dal gusto grossolano del gran pubblico...

E.G.) L'artista deve far parte di una tradizione di popolo, altrimenti non può pretendere d'essere capito.

G.N.) L’artista se ne frega. Come ti dissi l’artista crea per se stesso e per quelli che lo comprendono: se l’artista dovesse… (non importa che), sparirebbe come artista.

E.G.) D'altra parte non c'è alcuna possibilità di creazione libera neppure se l'artista procede per conto proprio, senza tener conto della realtà. Una produzione artistica del tutto soggettiva sarà arbitraria e quindi inutile ai fini della valorizzazione dell'esistente. O forse tu vuoi considerare artistiche "Le scatolette" di Piero Manzoni o l'orinatoio di Duchamp?

G.N.) Tu prendi degli ‘esempi limite’. Duchamp era un grand'artista e quando presentò nell’Armory Show il suo orinatoio fu per burlarsi dei giudici. Più tardi con la diffusione della fama di Duchamp si ricercarono tutte le sue opere anteriori, tra le quali anche quelle che ridicolizzavano l’arte e i giudici, e restarono come esempi d’un atteggiamento, un fatto, d’una epoca, e il feticismo fece il resto. Manzoni appartiene alla reazione post-bellica contro la divinizzazione dell’artista e dell’opera d’arte. Ad un certo punto, quando si giunge a un vicolo cieco, bisogna distruggere tutto, e allora l’uomo si rende conto che non può distruggere all’infinito, anche se lo vuole, e coscientemente o incoscientemente ricomincia a ricostruire. Non è forse questa la benedizione o la maledizione dell’uomo?

E.G.) Il sistema socialista avrebbe dovuto sapere che di fronte a un'espressione artistica meramente individuale non occorrono direttive di governo, forme di censura, restrizioni amministrative (come d'altra parte fece il nazismo qualificando col termine "degenerata" l'arte non conforme all'ideologia del superuomo). E' il popolo stesso che, spontaneamente, rifiuta un'arte che non gli appartiene, che non sente come sua.

G.N.) ... una parte del popolo, col passo del tempo e con l’aiuto dei critici, riuscirà a comprendere (o fingerà di comprendere) l’arte del suo tempo. In caso contrario importa ben poco, il popolo soddisferà il suo sentimentalismo semplicista con la pacchianeria che lo circonda.

E.G.) Le tradizioni popolari devono potersi autorappresentare, cioè decidere autonomamente come devono essere interpretate, anche sul piano artistico...

G.N.) Qui pesa ancora la tradizione romantica del secolo XIX, che bisogna prendere con molte riserve...

E.G.) Sotto questo aspetto non capisco il motivo per cui tu consideri "artigianale" l'arte che vuole rispecchiare le tradizioni popolari.

G.N.) Generalmente la cosiddetta arte popolare, che poi è in definitiva artigianato popolare, è sempre un’imitazione più o meno volgarizzata dell’arte elitista.

E.G.) Anch'io allora potrei dire che l'arte di Van Gogh o di Michelangelo, essendo del tutto soggettiva, non è arte, ma esercitazione arbitraria di individui che hanno vissuto la loro esistenza odiando il mondo intero. Perché devo considerare "artistica" l'opera di un folle, di un suicida, di un violento, di un maschilista che nei confronti delle donne aveva un milione di complessi freudiani?

G.N.) Semplicemente perché è arte. Anche qui cadi nei casi limite. Solo pochi artisti importanti, durante tutta la storia, furono folli, suicidi, violenti, ecc. E si deve anche al fatto che sono rimasti in noi i ricordi di casi relativamente ‘recenti’, come quelli di van Gogh, Toulouse-Lautrec e Gauguin, che vennero chiamati i pittori maledetti. Dopo tutto l’artista non conta oggi per noi, contano le sue opere. Ripassa un po’ la storia e la vita dei cosiddetti ‘grandi uomini’ che ebbero (ed hanno) le redini dei loro popoli, da Alessandro ai governanti attuali, troverai un bel mucchio di psicopatici … eppure li leggiamo, li studiamo, li imitiamo a volte o, peggio ancora, li applaudiamo e li seguiamo.

E.G.) Perché vuoi concedere così tanto spazio all'individualismo dell'artista quando tu stesso dici che questo individualismo è frutto di un'alienazione sociale, quella borghese, che lo stesso artista è costretto a subire?

G.N.) Non può esistere un artista individualista senza essere alienato? E poi - già l’ho detto – ciò che interessa è la sua opera, non la sua vita.

E.G.) ... secondo me è bello ciò che è bello, e in tal senso sono un hegeliano contro Kant. E, aggiungo, ciò che è bello non può non piacere.

G.N.) Dovresti spiegarmi che cosa è questo bello che deve piacere universalmente, in ogni persona e in ogni epoca, anche perché quando dici che "Non esiste un canone ufficiale per stabilire la bellezza", mi sembra che tu cada in un'evidente contraddizione.

E.G.) ... se valesse solo la regola soggettiva secondo cui è bello ciò che piace, l'arte non potrebbe comunicare alcunché di veramente significativo e l'artista non si sforzerebbe di rendere la propria arte conforme al sentire comune.

G.N.) Il vero artista non si sforza, crea perché lo sente istintivamente e perchè non ne può fare a meno, se ne frega dell’opinione del pubblico se non lo comprende...

Giancarlo Nacher


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 11/09/2014