IL GRANDE LENIN

Per un socialismo democratico

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Il testamento politico

Le note che Lenin dettò tra la fine del 1922 e l'inizio del 1923, un anno prima di morire, sono conosciute sotto il nome di “Lettera al Congresso” (del partito bolscevico-russo). La famiglia di Lenin e i suoi più intimi collaboratori diedero ad esse il nome di “Testamento”. Come noto, ancora oggi l'interpretazione di questo documento da parte della storiografia sovietica e occidentale è piuttosto controversa. Avvolto da ogni sorta di miti e leggende, esso venne rivelato solo al XX Congresso del Pcus, da Chruščёv, e pubblicato integralmente nel 1956. Questa è la breve cronistoria della formazione di tale documento: ad essa faranno seguito alcune riflessioni di merito.

Agli inizi del 1921 cominciano ad apparire i primi sintomi dell'arteriosclerosi di Lenin, che i medici attribuivano all'eccessivo lavoro. Aveva subìto anche un attentato da parte della socialista-rivoluzionaria Fanny Kaplan.1 Verso la fine dell'anno egli era già gravemente debilitato e costretto a lasciare l'attività pubblica per molte settimane. Nell'aprile 1922 gli viene estratta una delle due pallottole con cui era stato colpito dalla Kaplan. Il 25 maggio la mano e la gamba destre si erano paralizzate e aveva difficoltà a parlare. Cedendo malvolentieri alle sollecitazioni dei medici, si era trasferito a Gor'kij. Nel giugno il suo stato di salute era migliorato, sicché all'inizio di ottobre può tornare a Mosca per riprendere il lavoro. Ma il 13 dicembre viene colpito da nuovi attacchi cerebrali.

Decide finalmente di curarsi. Nei tre giorni seguenti, pur immobilizzato nel letto, ha diverse conversazioni telefoniche, riceve i suoi più stretti collaboratori, prepara l'intervento per il X Congresso dei soviet, scrive diverse lettere e alcune note relative al monopolio del commercio estero, alla distribuzione dei compiti fra i sostituti del presidente del consiglio dei commissari del popolo, del consiglio del lavoro e della difesa, chiede d'indagare sul modo come s'effettuava lo stoccaggio della raccolta del grano, s'informa di ciò che viene fatto in materia di sicurezza sociale, del censimento della popolazione e di altre questioni.

Sulla questione del commercio estero, Lenin, che pur aveva contribuito alla nomina di Stalin alla carica di segretario generale del partito, si scontra duramente con quest'ultimo, che patrocinava le tesi di Bucharin, Sokolnikov, Frumkin... relative alla attenuazione, se non abolizione, del regime di monopolio. Trotsky invece parteggiava per Lenin.

Nella notte dal 15 al 16 dicembre il suo stato di salute s'aggrava seriamente. Il mattino del 16 Lenin detta una lettera alla moglie, Nadežda K. Krupskaja. I medici gli propongono di trasferirsi di nuovo a Gor'kij, ma lui decide di restare a Mosca. Chiede a Nadežda di far sapere a Stalin che la malattia gli impediva d'intervenire al X Congresso.

Il 18 dicembre si riunisce il plenum del C.C. Viene deciso di comunicare a Lenin, con l'assenso dei medici, il testo delle risoluzioni adottate al plenum. Per decisione speciale dello stesso, Stalin viene investito della responsabilità personale relativa al controllo della terapia prescritta dai medici. A partire da questo momento le visite gli vengono vietate. Soprattutto Stalin non vuole che Lenin interagisca con Trotsky. Alle persone che assistono: la moglie, la sorella, alcune segretarie e il personale medico, viene proibito di trasmettergli qualsiasi lettera o di informarlo dei correnti affari di Stato, al fine – questa la giustificazione – di “non preoccuparlo”. Non dimentichiamo che Stalin aveva iniziato a tenere Lenin sotto controllo anche attraverso la propria (seconda) moglie, Nadežda Allilueva, che fungerà da segretaria fino al 18 dicembre 1922 (morirà suicida nel 1932, poco più che trentenne).

Il 21 dicembre Lenin detta a Nadežda una lettera indirizzata a Trotsky, in cui si dichiara soddisfatto della decisione del plenum circa la conferma dell'intangibilità del monopolio del commercio estero e suggerisce che venga posta al Congresso del partito la questione del consolidamento di tale commercio e delle misure da prendere per migliorarne l'efficienza.

Avendo saputo di questa lettera, Stalin, al telefono, rimprovera duramente Nadežda d'aver trasgredito l'ordine di riposo assoluto impartito dai medici. Nadežda reagisce inviando il 23 dicembre una lettera a Kamenev, allora vice-presidente del consiglio dei ministri: “Stalin s'è permesso ieri un attacco assai rozzo nei miei riguardi, sotto il pretesto che avevo autorizzato Ilich a dettarmi una breve lettera – ciò che io ho fatto col consenso dei medici. Non è da oggi che sono membra del partito, ma in 30 anni non avevo mai sentito nulla di simile. Gli interessi del partito e dello stesso Ilich mi stanno a cuore tanto quanto a Stalin. So bene ciò di cui si può o non si può parlare con Ilich, poiché so che cosa lo preoccupa, lo so meglio di qualunque medico, in tutti i casi meglio di Stalin... Non sono di marmo e i miei nervi sono al limite”.

La Krupskaja non disse niente a Lenin dell'incidente, per cui è da escludere ch'essa l'abbia influenzato nel ritratto che di Stalin egli fece in una nota del 4 gennaio 1923. Solo il 5 marzo egli viene a conoscenza dell'incidente, per il quale dettò subito una lettera indirizzata a Stalin: “Compagno Stalin, voi avete avuto l'impudenza di chiamare mia moglie al telefono per insultarla. Benché essa vi abbia promesso di dimenticare l'incidente, il fatto tuttavia, per mezzo di lei, è venuto a conoscenza di Zinoviev e Kamenev. Io non ho intenzione di dimenticare così facilmente ciò che è stato fatto contro di me: va da sé infatti che quanto viene fatto contro mia moglie è come se fosse fatto contro di me. Ecco perché vi chiedo di farmi sapere se siete disposto a ritirare ciò che avete detto e a scusarvi, o se invece preferite interrompere le relazioni tra noi. Con i miei rispetti, Lenin”. Stando a una lettera della sorella di Lenin, Maria Ulianova, Stalin presentò le sue scuse.

Ma torniamo al 22 dicembre 1922. Il braccio e la gamba destri si erano paralizzati. Lenin non poteva più scrivere. Il giorno dopo chiede ai medici il permesso di dettare alla stenografa per cinque minuti, poiché una questione assai importante gli impediva di dormire. Fu così che Lenin cominciò a dettare la prima parte della sua cosiddetta “Lettera al Congresso”. In questa parte, mostrando d'aver intuito che il partito, nelle mani di Stalin, si stava trasformando in un organo burocratico e autoritario, egli avanzava la necessità di aumentare l'effettivo del CC facendovi entrare degli operai e dei contadini (50-100 membri).

Poi, sempre per evitare le ingerenze amministrative del partito in tutti i settori statali, chiede di assegnare “un carattere legislativo alle decisioni del Gosplan”, la commissione preposta alla pianificazione economica. Su questo specifico aspetto avviene la prima manipolazione operata dagli agenti di Stalin. Il testo infatti diceva che Lenin voleva andare incontro alle esigenze di Trotsky, ma nella versione ufficiale dattiloscritta furono aggiunte le parole “fino a un certo punto e a certe condizioni”.2 Di questa interpolazione Trotsky non saprà mai nulla, come non sospetterà mai che l'appunto di Lenin del 27 dicembre 1922, in cui veniva detto che Trotsky non doveva essere presidente del Gosplan, era un altro falso.

Il 24 dicembre, davanti alle insistenze dei medici che imponevano di cessare ogni incontro con la stenografa, Lenin pone un ultimatum: o lo si autorizza a dettare il suo “diario” per qualche minuto al giorno, oppure rifiuterà categoricamente ogni cura. Lenin in pratica supponeva che la parola innocente “diario” gli avrebbe permesso più facilmente d'ottenere l'assenso dei medici.

Lo stesso giorno, dopo essersi consigliati coi medici, Stalin, Kamenev e Bucharin, prendono la seguente decisione: “1) Lenin è autorizzato a dettare per 5-10 minuti al giorno, ma non deve dettare delle lettere e non deve aspettarsi una replica alle sue note. Le visite sono proibite. 2) Né i suoi amici, né le persone del suo più vicino entourage debbono dargli informazioni sulla vita politica, per non dargli modo di inquietarsi”. Neppure la lettura dei giornali gli viene consentita.

Lenin può comunque dettare la seconda parte della “Lettera” in cui delinea i ritratti dei maggiori leader del partito. La stenografa, Maria Volodicheva, annota nel suo diario che Lenin le ha più volte ribadito il carattere assolutamente confidenziale di quanto le aveva dettato i giorni 23 e 24 dicembre e che le note dovevano essere preparate in cinque esemplari: uno per gli archivi segreti, uno per lui e tre per la Krupskaja, e poste in buste sigillate. La stenografa racconterà, nel 1929, d'aver bruciato la minuta e che sulla busta sigillata con la cera avrebbe dovuto scrivere che solo Lenin poteva aprirla e, dopo la sua morte, solo N. Krupskaja, ma che le parole “dopo la sua morte” le aveva tralasciate.

Il segreto dunque verteva esclusivamente sulla seconda parte della “Lettera”, poiché la prima (riguardante l'ampliamento del CC) era già stata consegnata il 23 dicembre al CC. Nel marzo 1923, a causa del secondo ictus, Lenin non era neanche più in grado di parlare.

Il 2 giugno 1923 la Krupskaja consegnò tutte le carte di Lenin a Zinov'ev. I membri dell'ufficio politico e una parte dei membri del CC erano già al corrente dei giudizi che Lenin aveva di taluni responsabili di partito, per cui ritennero opportuno non rendere pubblico il documento. Le volontà di Lenin non vennero rispettate. Infatti, se si esclude l'ampliamento dei membri del CC, si trascurarono completamente le proposte di rimuovere Stalin dalla carica di segretario del partito; di rivendere completamente il rapporto con le nazionalità dell'ex impero russo; di far assumere a Trotsky la difesa della questione georgiana (in quanto Lenin non si fidava dell'imparzialità di Stalin e di Dzeržinskij); di rivedere completamente la gestione dell'Ispezione operaia e contadina; di assegnare poteri legislativi al Gosplan.

La Krupskaja dichiarò che gli appunti di Lenin dovevano essere letti al XIII Congresso del partito, ma la trojka Stalin, Kamenev e Zinov'ev si oppose. Di fronte alle sue insistenze, si decise di leggerli in una riunione del Consiglio degli anziani (i capi delle delegazioni provinciali) il 24 maggio 1924.

La malattia aveva colto Lenin in un momento cruciale della storia del partito comunista e dello Stato sovietico. La guerra civile (1918-20) non si era ancora conclusa, le truppe d'intervento straniere continuavano ad occupare l'Estremo Oriente della nazione, la controrivoluzione interna non s'era ancora rassegnata a deporre le armi, i kulaki manifestavano nella Russia centrale, in Ucraina e in Siberia, il movimento dei Basmaci manifestava in Asia centrale, vi erano sollevazioni in diverse città. La fame e il disastro dell'economia venivano a peggiorare la situazione. E, ciononostante, le norme e le regole del “comunismo di guerra” (tutte le forze e le risorse messe al servizio della difesa, grazie alla nazionalizzazione della grossa e media industria, alla centralizzazione della produzione e della distribuzione, al divieto del commercio privato, al lavoro obbligatorio, all'uguaglianza dei salari, ecc.) facevano sempre più posto alla Nuova Politica Economica elaborata da Lenin.3

Lenin prevedeva che se il CC del partito non fosse stato ben saldo e compatto, l'accerchiamento della Russia sovietica da parte degli Stati imperialisti avrebbe potuto determinare il fallimento della rivoluzione. Temeva infatti che i conflitti interni al partito, fino a quel momento insignificanti, avrebbero potuto, di fronte alle pressioni del nemico esterno, diventare molto gravi. Di qui la richiesta di aumentare il CC fino a 50-100 unità, reclutando “operai e contadini medi” che non avessero un “lungo funzionariato sovietico” e che non appartenessero, né direttamente né indirettamente, alla casta degli sfruttatori. Probabilmente Lenin s'era accorto che in sua assenza, a causa della malattia, lo stato maggiore del partito non riusciva a superare le divergenze di opinioni per organizzare un lavoro intelligente, proficuo. Egli temeva soprattutto la minaccia d'una scissione nel momento più critico del Paese.

Lenin, in sostanza, auspicava la creazione di uno staff in grado di garantire il partito contro l'influenza dei tratti negativi di certi suoi dirigenti, in grado cioè di diminuire l'impatto sia dei fattori puramente soggettivi, che delle circostanze accidentali nella soluzione delle questioni più importanti, ma anche in grado di creare le condizioni in cui il contenuto del lavoro di gruppo, rigorosamente centralizzato, del CC, non superasse il quadro, non meno rigorosamente definito, delle sue competenze.

Sintomatico è il fatto che la frase di Lenin: “né il segretario generale, né alcun altro membro del CC” dovevano essere in grado d'impedire un controllo sulla loro attività, fu soppressa dalla “Pravda” del 25 gennaio 1923 e mai pubblicata in nessuna delle successive raccolte di scritti di Lenin, fino a quando è stata ripristinata, secondo il manoscritto originale, nel 45° volume della V edizione delle sue opere, apparso a Mosca nel 1970.

Relativamente ai tratti soggettivi dei leader del partito, Lenin, nell'ultima nota del 4 gennaio, rilevava che il difetto principale di Stalin: la “grossolanità” (“tollerabile” nei rapporti fra comunisti) era “inammissibile” per un segretario generale, per cui proponeva la sua sostituzione, anche per evitare che il dissidio fra Stalin e Trotsky, il più grave tra i dirigenti comunisti, rischiasse di danneggiare l'intero partito.

Quanto, su questa decisione, avesse influito il pericoloso atteggiamento assunto da Stalin (ma anche da Ordžonikidze e Dzeržinskij) nella questione delle nazionalità, era facile intuirlo. Le note del 30-31 dicembre su tale questione e sul progetto di autonomizzazione sono tra le più importanti del Testamento. Lenin temeva che il regime sovietico si sarebbe comportato in maniera imperialistica nei confronti delle nazioni più piccole o più arretrate. Stalin, in tal senso, s'era mostrato “fatalmente precipitoso”, “nefastamente collerico” verso il preteso “social-nazionalismo”; Dzeržinskij aveva dato prova di preconcetti imperdonabili; per Ordžonikidze, che aveva addirittura malmenato pubblicamente un compagno di partito, Lenin chiedeva una “punizione esemplare”.

Stalin, come noto, era stato eletto segretario generale del CC del partito nella primavera del 1922. Prima d'accedere a questo posto, egli dirigeva, quale membro dell'ufficio politico a partire dal marzo 1919, il commissariato per gli affari delle nazionalità e l'Ispezione operaia e contadina. Durante la guerra civile e fino a qualche anno dopo, Stalin si era mostrato un leader energico, volitivo, un grande organizzatore. A motivo di queste qualità, l'ufficio politico, nella seconda metà del 1921, gli aveva affidato il lavoro organizzativo in seno al CC. Lo si era incaricato di preparare i plenum del CC, le sessioni del comitato esecutivo centrale e di fare altre cose ancora: sicché, in pratica, egli veniva ad assumere le funzioni del segretario del CC.

Lenin, dal canto suo, era il capo del governo sovietico. Non occupava ufficialmente alcun ruolo nel partito, nel CC, ma dirigeva le sedute dei plenum del CC e dell'ufficio politico. Di fatto egli era a capo non soltanto del consiglio dei commissari del popolo, ma anche del CC del partito. In queste attività egli aveva come assistente il segretario del CC. Questa funzione non era ufficiale (non esisteva prima di Stalin un segretario “generale” del partito), ma, in pratica, uno dei segretari era stato scelto per dirigere il lavoro della segreteria.

Quando la salute di Lenin peggiorò in modo irreversibile, si prese la decisione di rafforzare la segreteria del partito. Il plenum del CC nominò Stalin, perché sembrava fosse il più idoneo a proseguire i lavori del partito in assenza di Lenin. Fu allora che si decise di dare il nome di “segretario generale” al titolare del nuovo posto, per accrescerne il prestigio e per distinguerlo dagli altri segretari. Col passare del tempo Lenin s'accorse che Stalin aveva concentrato nelle sue mani “un potere illimitato”, sia nell'ambito del partito che dello Stato. Per questo propose, senza fare nomi, di sostituirlo.

Difficilmente però avrebbero potuto sostituirlo Zinoviev o Kamenev, che nel Testamento vengono ricordati da Lenin per il loro comportamento tenuto nel 1917, allorché si opposero alla sollevazione armata, divulgando presso un giornale non comunista la decisione segreta del partito. Tuttavia, nonostante questa defezione, sia l'uno che l'altro erano rimasti membri del CC e dell'ufficio politico. Kamenev era addirittura vicepresidente del consiglio dei commissari del popolo, del consiglio del lavoro e della difesa, mentre Zinoviev era presidente del comitato esecutivo del Komintern. Era stato proprio Lenin ad appoggiare la candidatura di Kamenev, in seno al CC, nell'aprile del 1917, a motivo dell'ascendente ch'egli aveva su certi strati sociali popolari. Lenin non ha mai accettato di considerare il tradimento dei due come un “crimine personale”. Peraltro nel Testamento egli dice a chiare lettere che non si poteva rimproverare loro tale comportamento “più di quanto si possa rimproverare a Trotsky il suo non-bolscevismo” (Zinoviev e Kamenev furono fatti fucilare da Stalin nel 1936).

Quanto a Trotsky, Lenin conosceva bene la lunga, complessa e tortuosa lotta ch'egli aveva condotto contro il bolscevismo, ma sapeva anche che ciò non dipendeva tanto dai tratti negativi della personalità egocentrica di Trotsky, quanto dal fatto ch'egli rifletteva l'umore di certi militanti del partito e di vasti strati sociali. Grazie al suo talento d'oratore, egli conosceva i modi di galvanizzare quelle masse (specie i più giovani) sensibili alla fraseologia di sinistra. Trotsky era senza dubbio una personalità di rilievo: era stato, nel 1922, membro dell'ufficio politico, commissario del popolo alla difesa e alla marina militare, presidente del consiglio militare rivoluzionario della Repubblica. Il partito lo aveva anche incaricato di svolgere diverse funzioni nell'ambito dell'economia nazionale, anche se – come dice Lenin nel Testamento – “la sua eccessiva sicurezza e infatuazione per l'aspetto puramente amministrativo degli affari” rischiava di condurlo “troppo lontano”. Lenin sapeva bene che a Trotsky mancavano alcune qualità politiche fondamentali, quali p.es. la duttilità con gli uomini, il gusto della tattica, la capacità di manovra ecc.4

Trotsky non riuscirà mai ad agire con risolutezza contro Stalin anche perché fino al 1917 s'era posto contro Lenin. Quando questi aveva scritto, nei suoi ultimi appunti, che non si poteva rimproverare a Trotsky il suo “non bolscevismo”, voleva appunto dire che solo a partire dall'Ottobre era diventato “bolscevico”; ma voleva anche dire che, nonostante questo, egli, a differenza di Stalin, sapeva riconoscergli delle qualità di dirigente all'interno del nuovo Stato sovietico.

Probabilmente Lenin si rendeva conto che nessun leader, da solo, era in grado di sostituirlo e, forse proprio per questo, sperava che, allargando la partecipazione agli organi di direzione politica, l'esigenza di avere un leader con altissime capacità sarebbe venuta meno. Sottoponendo tutti i leader a un maggiore controllo e facendo ruotare le cariche, il problema della successione sarebbe stato meno gravoso.

Non a caso nelle note del 27-28-29 dicembre, riferendosi alla lettera del 28 dicembre sul carattere legislativo delle decisioni del Gosplan, Lenin disse ch'era difficile trovare in una sola persona la combinazione di queste qualità: solida preparazione scientifica in uno dei rami dell'economia e della tecnologia, visione d'insieme della realtà, forte ascendente sulle persone, capacità organizzative e amministrative. Ma forse – diceva ancora Lenin – se si fossero rispettate le sue condizioni, non ci sarebbe stato bisogno di cercare una persona del genere. D'altra parte egli si rifiutò di designare un proprio successore alla guida del partito.

Nel Testamento Lenin cita altri due leader: Bucharin e Pjatakov. Del primo esprime due giudizi apparentemente contraddittori. Da un lato infatti afferma che “non è soltanto il maggiore e il più prezioso teorico del partito, è anche, a ragione, il compagno più benvoluto”; dall'altro però sostiene ch'egli non ha mai ben compreso la “dialettica” e che le sue concezioni del marxismo sono un po' “scolastiche”. In effetti, la posizione assunta da Bucharin durante la conclusione della pace di Brest-Litovsk con la Germania (egli, insistendo sul rifiuto delle condizioni di pace tedesche, rischiò di portare la repubblica allo sfascio), era una testimonianza esplicita della sua carente dialettica: ciò che riconobbe, d'altra parte, lo stesso Bucharin. Non solo, ma Lenin aveva giudicato “scolastica ed eclettica” l'analisi dei fenomeni sociali che Bucharin aveva condotto in alcuni capitoli del suo libro L'economia del periodo di transizione (Bucharin morirà sotto la repressione staliniana del 1938).

Quanto a Pjatakov, Lenin gli riconosceva “volontà e capacità notevoli”, ma anche la stessa tendenza di Trotsky ad accentuare l'aspetto amministrativo (autoritario) delle cose, per cui non si poteva “contare su di lui su una seria questione politica”. Tuttavia, sia per questo caso che per quello precedente, Lenin sperava che i difetti avrebbero potuto, col tempo, essere superati: in fondo Bucharin aveva solo 34 anni e Pjatakov 32; si può quindi pensare che i due, col tempo, avrebbero potuto costituire un tandem vincente, benché al momento i leader più importanti fossero Trotsky e Stalin.5

Il 23 gennaio 1923 egli detta un lungo articolo sull'Ispezione operaia e contadina, destinato alla “Pravda”, da discutere in congresso. Bucharin non aveva intenzione di pubblicarlo. Quando lo si fece, il 25 gennaio, fu omesso l'attacco esplicito contro Stalin. La stessa Krupskaja s'era accorta che quando Lenin criticava esplicitamente Stalin, quest'ultimo veniva sempre difeso, negli anni della malattia di Lenin, da Kamenev, Zinov'ev, Bucharin, Dzeržinskij, Kujbyšev, Ordžonikidze... Tutti meno che da Trotsky. In una sua lettera a Zinov'ev del 31 ottobre 1923 lei si chiedeva: “che senso avrebbe la sua guarigione se i suoi amici più intimi hanno un simile atteggiamento nei suoi confronti e prendono a malapena in considerazione il suo punto di vista, e lo distorcono?”.6

La sorte del testamento

Che cosa accadde dopo che la Krupskaja presentò alla commissione del CC il Testamento di Lenin? La commissione era composta da Stalin, Kamenev, Zinoviev e altri ancora. Il plenum del CC del 21 maggio 1924 adottò la risoluzione, dopo aver ascoltato il rapporto di Kamenev, di divulgare il contenuto della “Lettera” non alla seduta dello stesso Congresso, ma separatamente, alle riunioni delle varie delegazioni. Si precisò anche che i documenti di Lenin non sarebbero stati riprodotti, e per questa ragione non vennero pubblicati.

I rapporti sulla “Lettera” vennero fatti alle delegazioni da Kamenev, Zinoviev e Stalin. Stando alla loro interpretazione, Lenin, riferendosi alla rimozione di Stalin dalla funzione di segretario generale, la considerava come un'ipotesi di cui tener conto, non come una necessità. In fondo Lenin non aveva trovato niente di preciso, di oggettivo, da rimproverare a Stalin: la sua riserva verteva su questioni di carattere soggettivo (anche se, ma questo non fu mai sottolineato, egli le riteneva particolarmente gravi, avendo intuito che si stavano trasformando in un problema politico).

Kamenev comunque espose il contenuto della “Lettera” in modo da far credere che soltanto i tratti personali del carattere di Stalin erano stati messi in discussione e non anche il fatto ch'egli aveva concentrato su di sé un enorme potere e che aveva gestito malissimo la questione delle nazionalità. Dal canto suo, Stalin giurò di tener conto delle osservazioni critiche mossegli da Lenin.

Alcuni storici hanno sostenuto che non si provvide a sostituire Stalin perché si temeva che il suo posto l'avrebbe preso Trotsky, il quale, non meno di Stalin, aspirava a una leadership maggiore in seno al partito e in più era di tendenza “menscevica”. Ma questa versione dei fatti contrasta proprio con l'affermazione di Lenin secondo cui Trotsky era caratterizzato dal suo “non-bolscevismo”: il che doveva escludere a priori la proposta di una sua candidatura a un posto così importante.

Il Testamento avrebbe sicuramente meritato una più attenta discussione, ma non essendo stato riprodotto, nessun delegato ebbe mai modo di leggerlo personalmente. In sostanza, il dibattito venne indirizzato unicamente sulle proposte di Lenin riguardanti la struttura organizzativa degli organi dirigenti del partito. Trotsky s'era allora risolutamente opposto all'idea di ampliare il CC agli operai. Formalmente però la proposta di Lenin venne accettata. Il XII Congresso del partito (1923) fece passare il numero dei membri del CC da 27 a 40; il XIII Congresso (1924) li portò a 53. Tuttavia, il progetto di Lenin di associare gli operai e i contadini alla direzione del partito non si realizzò, in quanto a quelle classi sociali si preferirono gli appartenenti alla piccola borghesia, più facilmente manovrabili.

Nel 1927 il XV Congresso adottò la risoluzione di pubblicare la “Lettera” di Lenin in una Raccolta delle sue opere, ma poi il testo venne pubblicato solo in un “bollettino segreto”. Nell'ottobre dello stesso anno, al plenum del CC, Stalin parzialmente citò e commentò nel suo discorso la “Lettera” di Lenin. Il discorso venne poi inserito nelle Opere di Stalin in maniera sintetica: totalmente esclusi furono i passaggi relativi alla proposta della sua rimozione. Durante il periodo della dittatura staliniana il Testamento fu addirittura considerato inesistente, benché nel 1927 fosse apparso all'estero per opera di alcuni simpatizzanti trotzchisti. Sarà solo nel 1956 che la rivista Kommunist pubblicherà integralmente questo testamento politico, che ora si trova anche nella V edizione delle Opere complete di Lenin (in lingua russa). Nel 1957 e nel 1963 apparvero altre due importanti testimonianze a favore dell'autenticità del documento, di una delle segretarie di Lenin, L. A. Fotieva: Dai ricordi su Lenin e Diario delle segretarie di turno di Lenin.7

Dal leninismo allo stalinismo

In astratto ci si può anche chiedere se la burocrazia montante nell'apparato del partito avrebbe subito una battuta d'arresto rimuovendo Stalin dal suo incarico di segretario generale, ma in concreto è difficile rispondere a una domanda del genere. Probabilmente il rischio si sarebbe riproposto anche con un altro dirigente. Era infatti la struttura centralizzata del partito, sicuramente indispensabile per compiere la rivoluzione e vincere la controrivoluzione, a ostacolare la realizzazione di un socialismo veramente democratico: essa, prima o poi, avrebbe creato un nuovo “Stalin”. Lo dimostrano due fatti: 1) i compagni di partito che sostennero Stalin contro Trotzky non si resero conto, se non quando era troppo tardi, che Stalin non aveva alcun senso né della democrazia né dell'etica; 2) lo “stalinismo” andò avanti per altri 30 anni dopo la morte del dittatore (come “stagnazione”), anche a dispetto della destalinizzazione avviata da Chruščëv.

Con quella struttura centralizzata (sicuramente indispensabile per compiere la rivoluzione e per difenderla) si volle imporre a tutta la società una pianificazione statale dell'economia del tutto favorevole alla grande industria, che il mondo contadino avrebbe dovuto pagare in prima persona, o con le buone o con le cattive. Probabilmente con altri dirigenti, meno rozzi e brutali di Stalin, le cose sarebbero procedute più lentamente: forse non ci sarebbe stata una collettivizzazione forzata dell'agricoltura, né lo sterminio dei kulaki, né il periodo del terrore; sicuramente la questione delle etnie e delle nazionalità sarebbe stata affrontata diversamente e altrettanto certamente la Russia avrebbe vinto con più facilità la II guerra mondiale. Ma prima o poi i nodi fondamentali (come p.es. le ricadute dell'industrializzazione sull'ambiente naturale o l'insufficiente democrazia diretta) sarebbero venuti al pettine.

L'ideologia staliniana era decisionista proprio nel senso che, nel costruire un socialismo meramente “statale”, non voleva perdere tempo in inutili discussioni. Stalin creò un partito le cui funzioni coincidevano sostanzialmente con quelle dello Stato: quest'ultimo era lo strumento principale con cui il partito realizzava la propria volontà. E il partito, nelle mani di Stalin, eliminava “fisicamente” non solo gli oppositori politici, ma anche tutti quelli che davano fastidio alla personalità meschina e rancorosa del suo leader.

Lenin era circondato da compagni di partito che, quanto a senso della democrazia e dell'etica, erano piuttosto scarsi. Probabilmente la più ferrata in materia era sua moglie. Purtroppo egli non ebbe il tempo per impostare in maniera concreta la democrazia diretta, che è quella forma di gestione politica delle risorse e dei problemi che non ha bisogno di leader specifici.

Il socialismo scientifico era l'ideologia degli operai, che nutriva  un certo culto per il progresso tecnico-scientifico, così ben visibile nella forma dell'industrializzazione e nello sviluppo dell'urbanizzazione. La differenza tra socialismo e capitalismo stava soltanto nella gestione della proprietà dei mezzi produttivi. Qualunque altra idea contraria al socialismo statale sarebbe stata considerata favorevole al “socialismo della miseria” o a una restaurazione del capitalismo, eventualmente con un parziale controllo da parte dello Stato.

Non solo, ma si pensava anche che qualunque altra idea contraria allo statalismo non avrebbe fatto altro che destinare l'Urss a perdere il confronto economico e militare col capitalismo occidentale, semplicemente perché l'occidente disponeva di un immenso impero coloniale da sfruttare, con cui peraltro aveva saputo imborghesire il proprio proletariato industriale e i dirigenti dei partiti di sinistra. Il proletariato industriale dell'occidente è sempre stato complice (in maniera diretta o indiretta) dell'imperialismo borghese nello sfruttamento delle colonie del Terzo mondo.

Lo stalinismo non fu una creazione del leninismo, ma sicuramente il leninismo non fu in grado d'impedire (non ne ebbe il tempo) la formazione di un socialismo meramente statale, benché Lenin avesse pienamente accettato l'idea di Marx ed Engels secondo cui lo Stato doveva progressivamente “estinguersi”. La storia però ha dimostrato che a “estinguersi” è stato proprio il “socialismo statale”, che inevitabilmente, a prescindere dalle intenzioni soggettive di chi lo edifica, presenta caratteristiche dittatoriali, totalmente incapaci di democrazia.8

L'insegnamento che si può trarre dagli avvenimenti degli anni 1922-24 è che il socialismo democratico non può essere affidato alle caratteristiche soggettive dei leader politici. Occorre saper porre delle condizioni oggettive, di tipo eminentemente sociale, che prescindano totalmente da tali caratteristiche. Non ci si può affidare alla casualità dei temperamenti, delle inclinazioni, delle qualità psicologiche o morali di questo o quel leader carismatico. Occorre creare delle comunità in cui la gestione delle risorse venga affidata alla comunità stessa, in cui le decisioni vengano prese da un collettivo locale, che è responsabile del proprio destino, essendo situato in un determinato e circoscritto luogo fisico. La proprietà collettiva dei mezzi produttivi va gestita dalla società civile in autonomia, senza alcuna presenza statale. Qualunque decisione collegiale che vada al di là delle singole comunità, non può implicare l'istituzione di organismi permanenti.

Non solo lo Stato deve scomparire e, con esso, qualunque istituzione burocratica e amministrativa, ma deve scomparire anche il partito, la cui presenza indica, in maniera inequivocabile, la separazione tra lavoro intellettuale e manuale, originata dallo sviluppo dei sistemi sociali antagonistici.

Se non esiste proprietà privata, non esistono classi sociali contrapposte. Di conseguenza la politica intesa come scontro di potere tra classi del genere perde la sua ragion d'essere. La politica deve diventare il momento e il luogo delle decisioni comuni, mentre la realtà quotidiana deve riguardare la gestione delle risorse comuni. Soltanto quando tale gestione incontra dei problemi, che non possono essere risolti individualmente o da una realtà locale, la politica riacquista il proprio senso. Tuttavia essa deve limitarsi a porre le condizioni esteriori che permettono alle persone di risolvere i loro problemi comuni. Deve porre le condizioni che permettono alla libertà di coscienza di esprimersi adeguatamente. Non può indicare alla coscienza come “deve” esprimersi, poiché la coscienza viene definita “umana” solo se può esprimersi liberamente.

La coscienza umana può esprimersi liberamente solo se sa quali sono le condizioni formali, esteriori, in cui può farlo, che sono poi le condizioni in cui si deve tener conto delle esigenze di ogni componente della comunità. Non c'è libertà senza necessità. Le condizioni formali sono una necessità oggettiva di cui si deve tener conto per essere liberi. Le condizioni ovviamente possono variare, ma una comunità, se vuole restare libera, deve farlo con una decisione collettiva. La politica serve appunto per prendere decisioni collettive, vincolanti quel tanto che basta per continuare a sentirsi liberi.


1 Il 30 agosto 1918, Lenin, dopo aver parlato presso una fabbrica di Mosca e prima di entrare nella sua auto, venne chiamato dalla Kaplan, che, appena lui si girò, gli sparò tre colpi di pistola: un proiettile gli attraversò il cappotto, un altro gli attraversò il collo, bucando parte del polmone sinistro e fermandosi vicino alla clavicola destra; l'ultimo si ficcò nella spalla sinistra. La Kaplan, che si dichiarava socialista-rivoluzionaria di destra, disse d'aver agito da sola, in quanto considerava Lenin un traditore della rivoluzione e non gli perdonava d'aver sciolto l'Assemblea Costituente. Aveva già trascorso 11 anni di lavori forzati per aver tentato di uccidere un ufficiale zarista a Kiev. Era stata liberata dopo la rivoluzione. Fu giustiziata il 3 settembre 1918.

2 Da notare che Stalin ricevette il testo della prima parte della lettera al congresso il giorno stesso in cui fu dettata e poté modificarla grazia alla complicità della stenografa Volodičeva e del responsabile degli archivi segreti del partito, Kamenev.

3 La NEP prevedeva un certo sviluppo del capitalismo e la sostituzione della requisizione dei prodotti agricoli con un'imposta in natura. Misure, queste, che neppure alcuni membri dell'ufficio politico e del CC riuscivano ad accettare. Ecco perché Lenin, nella sua prima parte della “Lettera”, raccomandava di procedere a una serie di importanti cambiamenti politici e organizzativi.

4 Trotsky morirà assassinato in Messico nel 1940, da un sicario di Stalin, Ramon Mercader.

5 Pjatakov venne condannato a morte nel cosiddetto “processo dei diciassette”, voluto da Stalin, e fucilato nel gennaio 1937. Pochi giorni dopo anche Ordžonikidze, oppostosi al processo e alla condanna del suo collaboratore, fu trovato morto, ufficialmente suicida. Solo nel 1988, sotto il governo di M. Gorbačev, venne riabilitato, insieme a Bucharin, Rykov e Rakovskij, imputati nel cosiddetto “processo dei ventuno” di Mosca nel marzo 1938,

6 Si noti che nella sua biografia di Lenin, pubblicati in volume nel 1926, mancano proprio le pagine inerenti agli ultimi sette anni di vita del marito, quelli decisivi per capire il suo rapporto con Stalin. Che il libro sia stato oggetto di censura o di interpolazione da parte dei revisori appare evidente in più parti. A titolo dimostrativo basta riportare questa frase, riferita a Trotsky: “Il'ič stesso non pensava in quel momento che Trotsky avrebbe tradito in avvenire” (La mia vita con Lenin, ed. Red Star Press, Milano 2019, p. 85). In occasione del II Congresso del Posdr Trotsky non era affatto un bolscevico, ma un menscevico, per cui non poteva certo tradire Lenin. Trotsky divenne davvero un bolscevico solo nell'imminenza dell'Ottobre, e Lenin, finché rimase in vita, non fu mai tradito da lui; anzi, Trotsky divenne un suo stretto collaboratore, persino in antitesi a Stalin.

7 Su questo argomento si possono consultare M. Lewin, L'ultima battaglia di Lenin, ed. Laterza 1969; E. H. Carr, La morte di Lenin. L'interregno 1923-24, ed. Einaudi 1965 e J. A. Buranov, Il “testamento” di Lenin: falsificato e proibito, ed. Prospettiva Marxista, Milano 2019.

8Stalinista” era anche il maoismo in Cina, benché la collettivizzazione forzata dell'agricoltura non fosse capace, a causa dell'arretratezza culturale del Paese, di uno sviluppo industriale paragonabile a quello sovietico.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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