IL GRANDE LENIN

Per un socialismo democratico

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La periodizzazione del socialismo

Se gli storici guardassero il modo che Lenin aveva di scansionare il tempo, dovrebbero riscrivere tutti i manuali scolastici, i quali infatti, nella periodizzazione degli eventi storici europei, relativi ai secoli XIX e XX, partono sempre dall'evoluzione non del socialismo ma del capitalismo.

Il punto di vista privilegiato degli storiografi occidentali, a qualunque corrente culturale essi appartengano, il loro cosiddetto “angolo visuale” è quello dello sviluppo dell'economia produttiva della grande proprietà privata, strettamente connesso allo sviluppo della rivoluzione tecnico-scientifica.

Relativamente ai tempi in cui visse Lenin (1870-1924), le informazioni che si ricavano dai manuali scolastici si focalizzano sulla seconda rivoluzione industriale, sul colonialismo-imperialismo europeo e sulla prima guerra mondiale.

Le vicende riguardanti la formazione e lo sviluppo del movimento operaio (organizzazioni sindacali, scioperi, movimento cooperativo ecc.), dei partiti socialisti (socialdemocratici e comunisti, riformisti e rivoluzionari), della seconda e terza Internazionale, delle rivoluzioni comuniste (vittoriose o sconfitte) rappresentano soltanto un corollario, l'appendice di una più ampia trattazione riguardante l'affermazione del capitalismo su scala mondiale.

L'importanza di una periodizzazione rispetto a un'altra è indice del modo con cui si guardano i processi storici. Se si accetta quella del capitalismo si è necessariamente dei “conservatori”, anche se politicamente si è orientati a sinistra (come in genere sono gli autori dei manuali scolastici di storia), poiché oggi il capitalismo non può più essere considerato “progressivo” rispetto al tardo-feudalesimo (caratterizzato com'era da rendite, privilegi e clericalismi). Oggi è il capitalismo stesso che si pone a favore della “rendita”, ancorché finanziaria.

Se si accetta la prospettiva interpretativa del socialismo, non si è ovviamente “rivoluzionari” ipso facto, poiché bisogna comunque intendersi sul significato da dare alla parola “socialismo”. Ma sarebbe comunque un passo avanti partire da una visione delle cose proiettata verso il futuro.

Oggi purtroppo la cultura dominante, p.es. quella che produce i manuali scolastici è così arretrata che l'oggetto del contendere non è tanto il futuro di un socialismo davvero “democratico”, cioè in sostanza la discussione sul modello da scegliere, ma è l'apologia di un sistema la cui unica preoccupazione è quella di conservare il presente così com'è. Di qui i continui riferimenti dei manuali scolastici al socialismo come “sistema fallimentare”, incapace di produrre alternative reali (cosa che si riscontra non solo nei manuali di storia, ma anche in quelli di filosofia, geografia, economia politica ecc.).

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Ne I destini storici della dottrina di Karl Marx (1913), Lenin suddivide in tre principali periodi storici nientedimeno che la stessa “storia universale”, a testimonianza del particolare valore ch'egli attribuiva alle idee del socialismo scientifico:

1. dalla rivoluzione del 1848 alla Comune di Parigi (1871). Qui Lenin si riferisce ovviamente alle rivoluzioni democratico-borghesi europee, con partecipazione operaio-contadina, svoltesi in Italia, Francia, Germania, Austria e Ungheria nel biennio 1848-49. Quanto alla Comune, essa fu la prima esperienza di dittatura del proletariato nella storia e durò 73 giorni, dal 18 marzo al 28 maggio del 1871.

In particolare Lenin distingue in questa prima fase quattro sottoperiodi:

a) nella prima metà del decennio (1840-50) Marx ed Engels sottopongono a critica la Sinistra hegeliana;

b) verso la fine di questo decennio la critica è indirizzata al proudhonismo, spostandosi così dalla filosofia all'economia politica. Proudhon è il teorico del socialismo piccolo-borghese, a sfondo anarchico;

c) negli anni 1850-60 vengono sottoposti a critica i partiti socialisti che avevano fallito il tentativo di trasformare la rivoluzione del 1848 da borghese a proletaria;

d) dal 1860 al 1870 l'impegno di Marx ed Engels si concentra sulla cacciata del bakunismo (altra corrente anarchica e avventuristica) dalla I Internazionale, cosa che avverrà nel 1872.

In questo primo periodo prevale in tutta Europa il socialismo utopistico, che Lenin paragona al populismo. Lo spartiacque tra le correnti utopistico-riformiste e quelle scientifico-rivoluzionarie (in primis il marxismo) è costituito appunto dal 1848, anno in cui la borghesia si rivela per quello che è: una classe che si serve del proletariato per combattere il clero e l'aristocrazia, e che combatte lo stesso proletariato una volta ch'essa ha ottenuto il potere politico. Il biennio 1848-49 è caratterizzato dal tradimento della borghesia nei confronti del proletariato. Finiscono le illusioni sulla natura democratica della borghesia. In questo tradimento la borghesia trova un alleato indiretto nei contadini, che si accontentano della fine del tardo-feudalesimo e che, condizionati dal clero, non vogliono abbracciare teorie materialistiche e rivoluzionarie come quelle del socialismo.

Il proletariato reagisce per conto proprio al tradimento della borghesia, dando vita alla Comune di Parigi, in cui si compiono errori fondamentali di tattica e di strategia politico-militare.

Alla fine del primo periodo muore il socialismo pre-marxista e nascono i partiti proletari indipendenti, che si riconoscono nella I Internazionale (1864-72). Di tutti i partiti operai (socialdemocratici) il più importante è quello tedesco.

2. Dalla Comune di Parigi alla rivoluzione russa del 1905 (sempre di tipo democratico-borghese). In questo secondo periodo (1872-1904) non vi sono rivoluzioni in Europa, ma solo conquiste coloniali e imperiali nei grandi paesi africani, asiatici e americani.

All'inizio del decennio 1870-80 in Germania cercano di farsi strada il proudhonismo di Mühlberger e il positivismo di Dühring, ma in sostanza dominano le teorie del marxismo (il proudhonismo ha miglior fortuna nei paesi latini).

Viceversa, dal 1890 la lotta viene compiuta contro una corrente interna al marxismo stesso: il revisionismo di Bernstein, che si pone come un “ritorno a Kant”, in antitesi palese al materialismo storico-dialettico.

Il difensore principale dell'ortodossia marxista è stato – secondo Lenin – Plechanov. Anche Kautsky critica Bernstein, ma la sua critica viene giudicata “debole” da Lenin e dallo stesso Plechanov, soprattutto agli inizi del 1900. Kautsky infatti arriverà a difendere il socialsciovinismo (socialismo a parole, difesa della borghesia nazionale di fatto) durante la crisi del 1914-15, preludio alla prima guerra mondiale.

Plechanov tradirà il marxismo – secondo Lenin – nel periodo 1905-17, subito dopo la prima rivoluzione russa del 1905.

Il revisionismo di Bernstein si pone anche sul terreno più strettamente economico, con le teorie di Böhm-Bawerk, che idealizzavano la piccola produzione mercantile, specie quella contadina, nonché la funzione interclassista dello Stato e della democrazia parlamentare, ecc.

In Russia il populismo divenne chiaramente anti-marxista negli anni 1880-90, dopo aver riscontrato il mancato appoggio da parte della maggioranza dei contadini. Il populismo diventa espressione degli interessi dei kulaki (contadini ricchi). In questo periodo l'Europa orientale resta sostanzialmente feudale, anche se il capitalismo comincia a penetrare nelle campagne e a mettere in piedi le prime industrie a ritmi forzati.

Il socialismo teorico-politico si diffonde su vasta scala, con le proprie forme di organizzazione sociale, culturale e politica. Tuttavia, durante il periodo pacifico il socialismo tende anche a imborghesirsi, assumendo atteggiamenti opportunistici, mediante i quali si tende a escludere la possibilità di nuove dure battaglie rivoluzionarie contro la borghesia.

L'opportunismo nega che la lotta di classe debba portare a uno scontro armato e si limita a fare semplici rivendicazioni salariali. Contro l'opportunismo lotta il bolscevismo, che negli anni 1903-5, caratterizzati da grandi scontri ideologici, tattici e programmatici tra borghesia liberale, democrazia piccolo-borghese (socialdemocratici, socialisti-rivoluzionari) e democrazia proletaria, si prepara alla rivoluzione.

3. Dalla rivoluzione del 1905 al tempo in cui Lenin scrive l'articolo di cui sopra, del 1913, il fuoco della battaglia si sposta sempre più verso l'Europa orientale. Scoppia la rivoluzione russa del 1905-7, che resta democratico-borghese, ma con ampia partecipazione di strati operai e contadini. Gli scioperi economici si trasformano in scioperi politici e questi in insurrezione. Si genera la forma organizzativa dei Soviet (governo popolare locale). Si sviluppano forme legali e illegali di lotta, parlamentari e non.

Tale rivoluzione influenza il movimento turco, che nel 1908 compie anch'esso una rivoluzione borghese-parlamentare. Stessa cosa avviene nel 1906 in Iran, dove però Inghilterra e Russia riescono a soffocare la rivoluzione, dividendosi il paese in zone d'influenza.

Nella Cina del 1906-11 la borghesia conduce una lotta per l'adozione di una nuova Costituzione, per l'autonomia delle province e contro l'imperialismo delle potenze europee. Nel 1911 viene proclamata la repubblica, ma il democratico Sun Yat-Sen è costretto a cedere il passo al dittatore Yuan Shin-K'ai.

4. Anni di reazione (1907-10), successivi alla sconfitta della prima rivoluzione russa. Lo zarismo vittorioso accelera la distruzione delle ultima vestigia tardo-feudali e si schiera apertamente dalla parte della borghesia. Il capitalismo russo si sviluppa impetuosamente. I bolscevichi sono gli unici a ritirarsi con maggior ordine e disciplina, senza subire forti defezioni e iniziano a lavorare anche nelle organizzazioni più reazionarie, pur di essere presenti nella vita politica.

5. Anni di ripresa (1910-14). È molto forte la lotta dei bolscevichi contro i menscevichi, che si sono schierati apertamente dalla parte della borghesia, dopo la disfatta del 1905. Ormai tutti gli operai sono bolscevichi, benché la maggioranza dei contadini resti menscevica.

6. Il resto lo possiamo aggiungere noi. Guerra mondiale imperialistica (1914-18). I deputati bolscevichi vengono deportati in Siberia. Dura critica alla II Internazionale, che s'è schierata dalla parte delle borghesie nazionali, tradendo il proletariato, mandato a combattere in trincea.

7. Scoppia la seconda rivoluzione russa, dal febbraio all'ottobre del 1917. La Russia diventa un paese democratico-borghese. Lo zarismo è finito. La direzione del governo è in mano ai menscevichi, che non vogliono la classe operaia e contadina povera al potere. S'impadroniscono dei Soviet e li fanno fallire. Non pongono fine alla guerra.

8. Scoppia la rivoluzione d'ottobre del 1917. I bolscevichi vanno al potere e vi resteranno sino al 1991, allorché ha termine l'esperienza del cosiddetto “socialismo reale”, cioè completamente statalizzato. Dopodiché si afferma una sorta di capitalismo privato e poi statale.

La peculiarità del leninismo

Qui si può aggiungere questa affermazione di Lenin, tratta da Tre fonti e tre parti integranti del marxismo (1913): “Le idee di Marx ed Engels sono esposte nel modo più chiaro e circostanziato nelle opere di Engels, Ludovico Feuerbach e Anti-Dühring, che – al pari del Manifesto del partito comunista – sono libri indispensabili a ogni operaio cosciente”.

Si noti però che dice questa cosa in riferimento alla “filosofia” o “ideologia politica” del marxismo (se vogliamo anche in riferimento alla “economia politica”), non alla “pratica politica” in senso stretto. Riconosce al marxismo d'essere infinitamente superiore alle teorie della Sinistra hegeliana, del socialismo utopistico e riformistico e alle teorie anarchiche di Bakunin, ma non riconosce né a Marx né a Engels una particolare capacità organizzativa in senso tattico e strategico.

Anzi, anche dal punto di vista ideologico si prende la libertà di dire le seguenti parole: “Noi non consideriamo affatto la teoria di Marx come qualcosa di definitivo e di intangibile; al contrario, siamo convinti ch'essa ha posto soltanto le pietre angolari della scienza che i socialisti devono far progredire in tutte le direzioni, se non vogliono lasciarsi distanziare dalla vita. Noi pensiamo che per i socialisti russi sia particolarmente necessaria un'elaborazione indipendente della teoria di Marx, poiché questa teoria ci dà soltanto i princìpi direttivi generali, che si applicano in particolare all'Inghilterra in modo diverso che alla Francia, alla Francia in modo diverso che alla Germania, alla Germania in modo diverso che alla Russia” (Il nostro programma, 1899).

In sostanza Lenin stava dicendo che voleva sentirsi libero d'interpretare il marxismo come gli pareva, fatta salva ovviamente l'idea di compiere una rivoluzione politica che mandasse il proletariato al potere; e questo obiettivo va realizzato senza “organizzazioni di congiure”, senza “prediche ai capitalisti”, senza “piani per riorganizzare la società borghese”. “La prassi è il criterio della verità”: questa l'idea di fondo di Lenin. Cioè si può discutere quanto si vuole attorno alle idee di Marx ed Engels, ma lo scopo ultimo di tutte le discussioni deve sempre essere quello di porre le basi per una rivoluzione politica. I suoi stessi scritti non pretendevano di possedere alcunché di dogmatico.

In Marxismo e revisionismo (1908) aveva scritto: “l'unico marxista che, nella socialdemocrazia internazionale, abbia criticato le incredibili banalità spacciate dai revisionisti, mettendosi sulle posizioni del materialismo dialettico conseguente, è stato Plechanov”. Eppure anche Plechanov, nel momento decisivo della rivoluzione bolscevica, si metterà dalla parte dei menscevichi. Praticamente Lenin, dalla morte di Engels in poi, non aveva visto nessuno in Europa occidentale capace di “coerenza ideologica”. Salvò qualcosa soltanto di Kautsky (i testi sulla questione agraria, sul cristianesimo primitivo e poco altro).

Anche in Materialismo ed empiriocriticismo non risparmia critiche ad alcun teorico orientato a favore del socialismo. Quando prende le difese delle fazioni di sinistra che, in seno ai partiti socialisti o al di fuori di essi, lottavano contro il riformismo o il revisionismo, non spende mai molte parole per dire dove queste fazioni erano davvero significative, cioè quali erano i loro pensieri originali.

Lenin si sentiva enormemente più avanti di qualunque marxista occidentale, anche perché i leader della II Internazionale finirono col favorire lo scatenamento della I guerra mondiale e del bolscevismo non capirono nulla.

Per Lenin un vero marxista è colui che si mette dalla parte del proletariato industriale più povero, quello col salario più basso. Chiunque possegga qualcosa in proprietà privata, anche minima, è destinato a rientrare nella categoria della “piccola borghesia”. Persino gli operai industriali specializzati, che prendono alti salari, vengono definiti, sprezzantemente, col termine di “aristocrazia operaia”. L'altra categoria con cui è disposto a cercare un'alleanza è quella del “proletariato agricolo” (i braccianti privi di qualunque proprietà). La rivoluzione poteva essere fatta dall'avanguardia operaia, in alleanza coi salariati agricoli, e considerando la piccola borghesia come un apporto esterno. Per lui andava considerato “un grave errore pensare che per compiere una rivoluzione proletaria fosse necessaria la proletarizzazione 'completa' della maggioranza della popolazione” (in Marxismo e revisionismo).

Il leninismo fu così risoluto probabilmente perché in Russia la situazione era altamente drammatica sul piano sociale, e vergognosamente autoritaria su quello istituzionale, favorevole soltanto ai grandi proprietari terrieri e ai capitalisti.

La sua risolutezza, la sua categoricità si esprime soprattutto nei testi dedicati alla dittatura del proletariato, che era una strategia di transizione con cui eliminare la controrivoluzione interna e l'interventismo straniero in patria. Egli dava per scontato che in quella situazione eccezionale la dittatura avrebbe potuto essere esercitata con qualunque mezzo e in qualunque modo. Ad autorizzare ciò era, per Lenin, il fatto stesso che la volontà della stragrande maggioranza della popolazione ha sempre ragione. D'altra parte quando si è sicuri d'avere ragione – e Lenin ne aveva da vendere –, non ci si può fare molti scrupoli nei confronti di chi fa di tutto per metterla in discussione. Lenin tornava sui suoi passi, accettando soluzioni di compromesso, soltanto quando si accorgeva che il non farlo avrebbe causato problemi maggiori.

Un politico del genere non ha eguali nella storia. Forse potrà essere superato soltanto quando nascerà un leader che, pur sapendo di avere tutte le ragioni di questo mondo, pur avendo ottenuto un consenso enorme, lascerà decidere liberamente alle masse popolari le condizioni in cui vivere il proprio destino.

Se sono le masse popolari a fare la rivoluzione socialista, il potere politico va lasciato immediatamente a loro, cioè non può essere trasferito a organi statali o istituzionali, più o meno centralizzati. Ogniqualvolta si vuole impedire al popolo di esercitare, in autonomia, il proprio diritto di scelta, si finisce con l'assumere un atteggiamento paternalistico, se non autoritario. E questo autoritarismo sarà inevitabile se si tengono in piedi gli organi dello Stato, sotto il pretesto ch'essi servono per combattere i nemici interni ed esterni. È il popolo stesso, in autonomia, che deve combattere i propri nemici, cioè farsi giustizia da sé, e anche nel caso in cui non voglia farlo, va comunque lasciato libero. Gli organi dello Stato devono essere progressivamente smantellati subito dopo la rivoluzione, a tutto vantaggio di un socialismo localmente autogestito.

In un socialismo del genere scompare non solo l'organizzazione statale, ma anche la figura del leader politico carismatico, che, in nome delle idee di giustizia e libertà, “guida” le masse popolari. Il popolo locale va messo in grado di autogestirsi: in caso contrario resterà sempre forte, nei leader intellettuali, la tentazione di volersi imporre.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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